Quando finalmente prenderemo atto, dopo quasi 140 anni, del fatto che Vincent interpreta questo ponte come lo “scheletro” di una casa, potremo finalmente capire la grandiosità di questo dipinto che rappresenta l’epilogo di tutti i disegni ed i quadri da lui eseguiti col medesimo soggetto.
Ciò che fiorì alla mente sua alla vista di quel ponte ce lo spiegano due disegni (Fig. 2 e 3).
In questo disegno (fig. 2) il protagonista non è il ponte ma i due personaggi, maschile e femminile, noi stessi in fondo, incamminati sulla sterrata strada che conduce al ponte al di là del quale si scorge la casa, meta ideale dei sogni nostri.
Successivamente però, Vincent capisce appieno l’importanza che la struttura di legno può acquisire e il disegno si evolve in un altro (fig. 3)
In questi nuovi, pochi segni di penna, la dimensione emotiva prende finalmente forma grandiosa.
Un viaggio, un viaggio verso il sole che nasce oltre le terre al di là del fiume, là, dove prende concretezza felice il paese e la casa ove vivere assieme.
Il rosa antico della nostra strada par condurci oltre i verdi riflessi dell’acqua che, ignaro impedimento, ci scorre vicino.
Noi, in primo piano abbracciati, poi prospetticamente sempre più lontani, quasi in successione cinematografica, perché oramai prossimi alla nostra meta che brilla sotto un cielo terso trasfuso dei luminosi raggi del sole.
C’è però tra noi e la meta un ponte.
Non di quelli solidi e sicuri, ma un incrociar di legni mobili che possono all’improvviso ritirarsi, alzare le travi loro al cielo ed impedire ogni possibilità di cammino, oppure aprirsi sotto di noi, ignari, e farci miseramente sprofondare.
In questi primi disegni il ponte è interpretato per ciò che veramente è, cioè un “transito” , in questo caso reso simbolicamente pericoloso oltre che per la particolare struttura anche i momenti in cui viene sollevato, ma successivamente, nel dipinto a fig. 1 esso aggiungerà alla sua vera natura un’ulteriore simbologia che ne porterà la dimensione inquietante ai massimi livelli.
Qui molto tempo è trascorso, i due personaggi sono ad una svolta tragica della loro esistenza.
Il punto di vista di questo dipinto non è più quello degli altri tre precedenti, noi vediamo adesso per la prima volta il ponte dall'altra sponda e il moto dei personaggi quindi, per la prima volta separati (lui sulla carrozza e lei sul ponte) è adesso invertito.
La casa, che vediamo simbolicamente dimezzata dal bordo della tela sulla destra, è stata abbandonata, lui pare aver ripreso una solitaria strada sul calesse scuro (forse un carro mortuario?), calato è oramai il sole ed il ponte, una volta gioiosamente attraversato assieme nel luccicar del giorno sotto un cielo felice, si è adesso trasformato in ciò che alla mente di lei della casa è rimasto: tragico scheletro al centro del quale ella, oscura figura in quel paesaggio, che lo stesso persiste nella luce e nei medesimi colori di prima, inutilmente cerca di proteggersi dalla gelida immaginaria pioggia che dallo squarciato tetto alla sua mente scroscia.
Il viaggio di lui non è però lungo diversa strada, verso un altro paese ed un’altra casa forse, ma anche verso un’unica nube e a mortuari cipressi il nero carro si dirige.
La stessa via, felicemente percorsa un tempo in senso opposto, anch’ella riprenderà un giorno.
Una sola è infatti la strada e sempre conduce al precipizio che paziente ci attende al di là dell'orizzone che sancisce lo scomparire di ogni cosa.
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“Vincent carissimo,
te ne sei andato presto, nulla di te hanno capito allora e nulla continuano a capire adesso, eppure, nasce dall’opera tua un canto che, silenzioso, invisibile ed incompreso, lo stesso dilata per campi assolati, per cieli, alberi e strade che dipinto non hai ed ugualmente pervade i petti di coloro che, pur senza capire, attorno ai quadri tuoi si accalcano.
E la tristezza tua della loro felicità si fa germoglio.
Grande tra i grandi ti sia d’orgoglio che questi piccoli uomini a cui hai dato tanto, nulla di te comprendano.”
A.Cottignoli 2017
PONTE DI LAGLOIS, PARTE SINISTRA
Conclusa la lettura della parte destra di questo dipinto, passiamo adesso alla sinistra dove, di nuovo si individua un viaggio che termina come il primo proprio ai due cipressi.
Qui le cose si fanno difficili da credere e solo chi come me utilizzi metodi simili a quelli di Vincent è in grado di capire.
In primo luogo notiamo, ad un ingrandimento, come la massa terrosa che vediamo in primo piano a sinistra e che viviamo come la salita al ponte, non sia affatto solo tale: Vincent ha infatti dipinto la strada che porta verso il ponte con una evidentissima linea gialla, ma mentre tale strada scompare dietro la massa terrosa per andare dirigersi, là dove non possiamo vederla, verso il ponte, ecco comparire altre due linee gialle di tonalità identica (assolutamente surreali ) ad individuare due masse terrose chiaramente anteposte al ponte ed alla strada in salita che a quello conduce.
A questo punto, anche se le masse terrose nascondono la strada e la base dei cipressi, è possibile capire dove questi due alberi si trovino esattamente: il secondo di sicuro è piantato tra le masse terrose ed il ponte mentre il primo pare trovarsi appena al di là della strada ma ad una visione generale par trovarsi anch’esso appena oltre le masse terrose se non in cima ad esse.
Bene, mi fa poi brillantemente notare una lettrice del mio blog, che si identifica solo come “Valentina”, che è presente una striscia chiara nell’acqua che, dalla base del dipinto, porta fino alle sopraccitate masse terrose (partic. A).
Questa striscia è assolutamente surreale perché non giustificata come riflesso di qualcosa di bianco sull’altra sponda e nemmeno come riflesso del sole, in quanto le pennellate orizzontali gialle presenti nell’acqua a sinistra e a destra di tale striscia, essendo ovviamente riflessi del sole, ci fanno capire che quello è il suo colore e che quindi la striscia biancheggiante non ha nulla a che vedere col sole medesimo.
Vincent ha trasformato in "strada" il riflesso allungato sull'acqua della zona di cielo che si vede tra i due cipressi, annullando praticamente il riflesso loro che sarebbe dovuto essere molto più scuro e determinato e facendo surrealmente proseguire la "luce" fino a noi che guardiamo. Conferma questo suo intento il fatto che la striscia sia molto più larga dello spazio esistente tra i due cipressi, il fatto che si allunghi in modo irreale fino a noi che guardiamo e il fatto che che addirittura essa penetri surrealmente nell'ombra delle masse terrose.
Ci troviamo quindi di fronte ad un immaginario viatico positivo illusoriamente percorribile (come le luci sul Rodano nel quadro omonimo) e dimostra questa sua natura il fatto che per creare la surreale strada Vincent ha dovuto trattare di nuovo in modo surreale anche tutto il movimento delle acque attorno: quella moltitudine di lineette orizzontali gialle infatti non potrebbero esistere perché individuano un movimento dell’acqua nettamente diretto verso le due masse terrose...ma l’acqua di ogni fiume che si rispetti non scorre certo da una riva all’altra ma lungo le stesse!!!!!
Non è ancora finita: la "strada" chiara termina incastrandosi nella zona d’ombra delle masse terrose (a creare l’illusione che di riflesso solare si tratti) ma subito oltre vediamo tale "strada" continuare, trasformata però in due verdi viatici, tra loro separati, diretti in alto, l’uno verso il cipresso di sinistra e l’altro (girando attorno alla massa terrosa) verso quello di destra (partic. B).
Bene, evidenziato il procedere surreale di Vincent, andiamo a cercare di spiegare le motivazioni di tutto questo.
Mentre la parte destra del quadro tratta degli avvenimenti che intercorrono durante la vita tra due specifiche persone di sesso opposto, la parte sinistra tratta invece l’argomento a livello universale: ciò che a tutti accade.
Non parte forse proprio da noi (io e lei), che guardiamo il dipinto, la chiara strada che par alludere ad un viaggio felice? E non va essa a dividersi poi lungo le pendici di quelle due collinette nei due verdi viatici che per naturale ineluttabile sorte, separatamente ai cipressi conducono?
Sorte terribile a cui nessuno, pur pregno in vita delle più grandi, inimmaginate felicità terrene, potrà mai sfuggire.
Non possiamo non capire come Vincent si sia qui ispirato in modo geniale all' "Isola dei morti" di Bocklin.
Eppure, là in alto, proprio alla vostra sinistra, molto al di sopra dei cipressi anche se per illusione prospettica così non pare, c’è una macchia chiara.
Guardatela bene, non di nuvola si tratta (part. C), che mai di simili ne vedemmo, ma di un candido, enorme, sconsiderato fiore che verso il cielo par aprire gli immensi, paradisiaci petali...a nascondere l’alveo magico della corolla sua, là dove miracolosamente si radunano tutti i sogni meravigliosi che sulla terra facemmo .
Vincent carissimo, sempre ci facesti capire nelle lettere tue che l’unico modo per arrivare alla felicità vera, l’unico modo per arrivare al cielo ed alle stelle sue... era la morte. Scrive egli infatti al fratello Theo:
“...guardare il cielo mi fa sempre sognare...Perché, mi chiedo, i punti scintillanti del cielo non sono accessibili come i puntini neri sulla cartina della Francia? Proprio come prendiamo il treno per andare a Tarascon e Rouen, così prendiamo la morte per raggiungere una stella.”
Spero, fortissimamente spero di sapere, un giorno, che veramente sei là, tra quei candidi petali, seduto come sempre al cavalletto tuo a far, di semplici tele, viatico eterno alla felicità di chi non ti comprese allora.
A.Cottignoli 17 marzo 2017
BREVE SPECIFICA SULLE MIE QUALIFICHE (vedi poi biografia)
Allego una mail speditami da James Beck, massimo esperto mondiale di pittura rinascimentale italiana, Columbia University, New York, con cui collaborai per 5 anni, in cui egli afferma praticamente che io sarei il più grande Storico dell’Arte esistente.
Allego altresì un’intervista del Corriere a Marco Meneguzzo docente di Storia dell’Arte a Brera che sottolinea la correttezza delle mie analisi, in questo caso relative alla Madonna del Parto di Piero della Francesca
MANZONI IN VATICANO?
Cari colleghi, storici dell’arte, che leggete i capolavori antichi come se fossero tante sciocchezze perché non potete certo mettervi al pari col genio che li produsse, voi, causa l’avvilimento a cui assoggettate la grande pittura, siete i responsabili del tragico accreditarsi nel mondo delle oscene, finte ciofeche dell’arte contemporanea.
Se veramente i capolavori del passato avessero la loro giusta lettura le opere contemporanee apparirebbero in tutta la loro superficialità, faciloneria e stupidaggine, mentre l’incapacità degli addetti al mestiere di capire alcunché delle meraviglie del passato, fa si che avvenga esattamente il contrario.
Verrà il giorno in cui vedremo, in Vaticano, al posto della Pietà di Michelangelo, una scatoletta di merda, si spera almeno ben sigillata?
Ma di chi è la colpa maggiore dell’affermarsi delle porcherie dell’arte contemporanea, oltre a mercanti, critici d’arte e banche, banche che in assoluto anonimato finanziano questo lucroso disastro? I maggiori colpevoli sono i “Grandi Collezionisti”, disgraziati fabbricanti di detersivi, di sardine in scatola, di preservativi e quant’altro, spesso quasi analfabeti e privi di qualsiasi sensibilità estetica che, magari quando cascano loro i capelli rimediano in maniera geniale col “riporto”, sono loro i veri colpevoli: questa razza disgraziata non compra le opere d’arte perché “gli piacciono”, ma semplicemente perché “gli mancano”, come una moneta o un francobollo! Basta che gli si faccia credere che il pittore è famoso ed ecco che questi colossali pirla ne vogliono possedere un’opera, magari semplicemente per non essere secondi all’industriale amico più fesso di loro. Spesso manco gli interessa guardare attentamente l’opera, basta che sia dell’autore che gli manca.
Al mercato dell’arte tutto ciò non sembra vero: la più orrenda ciofeca può diventare così “oggetto artistico da collezione” cosa che permette di ridurre infinitamente le spese di acquisto presso gli artisti.
“Spruzzami una tela tutta d’azzurro con uno spray” dice il mercante all’artista “ci metti pochissimo e puoi farne 50 al giorno, se te le pago € 10 l’una guadagni € 500 al giorno (15.000 al mese) e sei ricco”.
“Io poi” prosegue il mercante “organizzo mostre, articoli sui giornali, pubblicità fittizie con prezzi finti sempre più alti e la gente si convince che sei famoso, allora arrivano quei pirla di “grandi collezionisti” ed il gioco è fatto: sono centinaia di migliaia solo in Italia e non si riuscirà nemmeno ad accontentarli tutti. E man mano che i “pirla collezionisti” abboccano, i prezzi crescono.”
Basterebbe eliminare tutti i grandi collezionisti e l’arte contemporanea tornerebbe finalmente sul binario giusto, quello determinato da chi i quadri li compra perché “gli piacciono”. Che solo questa è la motivazione corretta per acquistare un’opera d’arte.
Miei cari colleghi “Storici dell’Arte”, che non fate che ripetere stancamente ciò che dissero Berenson e Longhi (che mai, di nemmeno di un quadro capirono qualcosa) e che mi ignorate perché troppo vi spavento, a voi mi rivolgo rifacendomi allo splendido Sordi del “Marchese del Grillo” sperando che capiate la “sottile ironia”:
IO SONO CIO’ CHE PRIMA DI ME NON E’ STATO MAI E CHE DOPO DI ME NON POTRA’ MAI PIU’ VENIRE E, VOI ……. NON SIETE UN CAZZO.
Due dipinti miei che si richiamano al concetto di "ponte"