PARTE SECONDA
L’INGRESSO AGLI INFERIFig. 15 Dopo il restauro
Fig. 15 a Prima del restauro
Un’altra stranezza notiamo poi, in questo piccolo paesaggio che Leonardo dipinse:
al centro della montagna più scura sottostante la Grande Madre si apre una grotta enorme, fig. 15, part. A (per capirne le dimensioni monumentali basta compararla con la torre del porto), tale da farci pensare di trovarci di fronte all’ingresso di un enorme tumulo funerario (Leonardo ben conosceva questo genere di costruzioni, esiste infatti un suo disegno per un monumento che chiaramente si rifà ad un tumulo funerario etrusco), intuizione che trova poi conferma più in basso, in un altro tumulo più piccolo, ben visibile, con tanto di apertura di accesso, dipinto all’esterno del giardino (fig. 16, part. A).
Fig. 16
Che senso ha questa oscura voragine che sovrasta la città? Non serve molto intuito per capirlo: come la Grande Madre, che sovrasta anch’essa la medesima città, rappresenta l’origine della vita, così questo antro oscuro rappresenta la fine della vita medesima.
Poteva Leonardo, dopo aver concepito la Grande Madre, ignorare l’ultimo porto che alla fine attende ogni manifestazione vitale? L’oscura meta che, dai tempi dei tempi ossessiona e sconvolge ogni nostra individuale speranza? No di certo e, memore delle necropoli etrusche (grotte che questo popolo scavava come propria ultima dimora e che coi loro cupi accessi costellano a migliaia le colline tra Firenze e Roma e che egli non poteva non conoscere) dipinse questo enorme antro oscuro che non può che rappresentare quell’accesso agli inferi che così sempre ci descrissero i narratori antichi.
Ho prodotto la foto del dopo restauro (fig. 15) e quella prima del medesimo (fig. 15a) per evidenziare una cosa: Leonardo dipinse al centro della grotta una zona molto scura, quasi nera, e attorno a questa una zona grigio scura che rappresentava le pareti e la parte superiore della grotta ancora debolmente illuminate per riflesso dalla luce esterna (ciò per rendere la grande profondità della grotta medesima), bene, il restauro ha eliminato la parte superiore del grigio e attenuato la zona scura centrale, attenuando così l’effetto di paurosa profondità di questo antro e facendolo sembrare semplicemente più alto.
Pare quindi delinearsi un preciso percorso: dalla Grande Madre, specificatamente dalle sue sorgenti, fluisce l’acqua che (lungo le linee prospettiche che dal fuoco diramano)da origine alla vita (vegetale ed animale), acqua che si concretizza poi in mare (o lago che sia) sulle rive del quale fiorisce la manifestazione più alta della vita stessa: l’uomo e le sue città, dove giungono a massimo sviluppo l’intelletto e la conoscenza.
Ma dove termina poi, il percorso delle manifestazioni vitali, se non all’interno di quel mortuario antro oscuro che attende la fine di ogni viaggio?
Pare poi, quella grotta immane, di nuovo dirigere, per sotterranee trame, al fuoco prospettico, e quindi alla Grande Madre, in quel circolare ritorno, generato dalla attività riproduttiva, che caratterizza ogni manifestazione vitale.
Non è forse, il fuoco del quadro, contemporaneamente, attraverso le linee che da esso diramano o confluiscono, origine ma anche convergenza di tutte le cose?
Questo piccolo rettangolo che si staglia al centro del quadro, è di per sé, col suo percorso circolare così mirabilmente inteso, una manifestazione di grandiosità immane: isolato dal contesto basterebbe da solo a collocarsi tra le massime manifestazioni pittoriche di tutti i tempi! E non siamo invece che all’inizio, ben altro ci attende, più in basso, in questo dipinto!
L’IMMAGINE IN PRIMO PIANO DELL’ANNUNCIAZIONE
So che potrà sembrare impossibile, ma il fulcro che regge, dal punto di vista significante, tutta la rappresentazione principale del quadro, non è da individuarsi né nella Vergine né nell’Angelo Annunciante bensì in un oggetto da sempre ritenuto meramente decorativo: si tratta infatti del sostegno del leggio.
Tutto quanto dipinto in primo piano trae origine da questo blocco marmoreo scolpito che conferma ulteriormente, con la sua natura di sarcofago (è ben noto infatti come per questo oggetto Leonardo si sia rifatto al Sarcofago di Desiderio da Settignano in Santa Croce a Firenze, fig. 17) , la lettura iconografica mortuaria della cavità che domina la città soprastante.
Fig. 17 Il sarcofago di Desiderio da Settignano
Vita e morte sono i motivi pregnanti che fanno da sfondo a quanto avviene in primo piano in questo quadro, né più ne meno di come accade nella vita reale che sempre si sviluppa, in qualsivoglia sua manifestazione, all’interno dei poli inquietanti della vita e della morte.
Osserviamo bene, per la prima volta dopo 500 anni, questo “sarcofago-sostegno”, e per “bene” intendo con estrema attenzione alle sue “decorazioni” e ci accorgiamo, con non poca meraviglia, che la parte sinistra di esso è scolpita in modo diverso da quella destra.
Fig. 18 Il sarcofago su cui poggia il leggio
Spero che, abituati come si è alla pittura mongoloidale contemporanea, non si creda che durante il rinascimento si potesse dipingere un oggetto con decorazioni simmetriche in modo generico (anzi, in questo caso volutamente diverse) e approssimativo nonché prospetticamente errate come potrebbe appunto fare un disgraziato artista contemporaneo: chi avesse così dipinto avrebbe chiuso la sua carriera in modo velocissimo, anzi, la sua carriera non sarebbe nemmeno cominciata in quanto la correttezza e la perfezione sono la base fondamentale della pittura di quel periodo. Bene, questo anticipato, notiamo che, in tutte le decorazioni visibili nel sarcofago, non c’è rilievo di sinistra che non sia stato reso in maniera diversa dal suo simmetrico di destra.
Fig. 19
Cominciamo con l’analizzare il particolare più macroscopico (fig. 19), e cioè le foglie d’acanto che si raccolgono sotto la voluta sinistra: tali foglie si presentano contorte e rigirate in maniera assurda (part.X) e non solo, la foglia più in alto è stata aggiunta (non sussiste nella decorazione di destra) e non dovrebbe esistere, mentre le foglie di destra si presentano disposte in maniera assolutamente regolare, perfettamente centrate una sull’altra come prassi decorativa sottende.
Fig. 20 Le foglie di destra
La disposizione caotica delle foglie d’acanto di sinistra (in contrapposizione alla regolarità di quelle di destra, fig. 20) è macroscopica e non si capisce come mai, in 500 anni nessuno se ne sia accorto,come pure non ci si sia mai accorti di tutte le altre differenze che andrò adesso ad evidenziare.
Ci tengo però prima a chiarire che queste differenze di esecuzione hanno una precisa, importantissima motivazione che ritengo opportuno spiegare solo più avanti, quando altri numerosissimi particolari, da sempre ignorati, interverranno a dimostrare le intenzioni recondite di Leonardo.
Fig. 21
Il secondo particolare anomalo è costituito dalle foglie soprastanti la zampa felina sinistra che funge da piede al sarcofago: notiamo come la foglia centrale sia maggiormente estroflessa (fig. 19, part. G) di quella che vediamo a destra ma soprattutto come siano esageratamente più estroflessi tutti i punti di giuntura tra le foglie (fig. 19, part. F).
Per le comparazioni con la parte destra del sarcofago che seguono, si prega di utilizzare la fig. 21
Non possiamo poi fare a meno di notare come i ciuffi d’erba emergenti dovunque in questa zona in basso presentino un numero maggiore di foglie e per giunta molto più allungate di quanto avviene a destra (fig. 19, part. E).
Una cosa particolarissima la notiamo ancora in basso, nella zampa felina di sinistra, che risulta completamente diversa da quella destra (fig. 18) in quanto la prima si trova in evidente tensione determinata dalla compressione degli artigli sul terreno da cui probabilmente si è già in parte distaccata, mentre la seconda appare praticamente statica e per farci capire come quest’ultima poggi ancora completamente sul prato Leonardo ha provveduto a porle sopra delle foglie.
Notiamo poi come la foglia a sinistra di quelle centrali (fig. 19, part. D) sia esageratamente estroflessa e quindi a noi visibile mentre in una esatta dimensione prospettica non dovrebbe assolutamente essere percepita.
Medesima cosa notiamo per i due “fiori” che sporgono a sinistra (fig.19, part. B), che non dovrebbero prospetticamente essere visibili e pare quindi che essi si siano “allontanati” dalla parete del sarcofago, tanto che ad una osservazione superficiale si tende a viverli addirittura come fiori veri, facenti parte cioè del prato sottostante (tale percezione è favorita dall’aver Leonardo violentemente velato di verde questa zona sinistra del sarcofago, velatura che va ulteriormente a confermare le intenzioni recondite del nostro genio). Come se non bastasse poi, le corolle di questi due fiori non sono più girate l’una verso l’altra, come vediamo in quelli scolpiti nella parte frontale del sarcofago e come prassi decorativa sottende, ma entrambe girate verso lo spettatore.
Non sfugge ad anomalie neppure il festone, in quanto le bacche di sinistra sono molto più estroflesse verso l’esterno di quelle di destra (fig.18, part. B) .
Leonardo ha poi voluto esagerare e ha dipinto in maniera diversa anche i peduncoli che, come corna di lumaca, emergono nella parte finale del nastro decorativo ai lati della conchiglia centrale (fig. 22): a sinistra i peduncoli tirano in alto mentre a sinistra piegano tristemente verso il basso.
Fig. 22
Notiamo poi ancora, dietro la voluta di sinistra, delle foglie assolutamente anomale (fig. 19, part.C) in quanto si inseriscono verticalmente sulla superficie del sarcofago, sembrano cioè essersi sollevate dalla naturale posizione in cui dovevano essere scolpite, cioè parallele alla superficie marmorea da cui sono state ottenute, ed essersi anch’esse (come i due fiori più sotto) girate verso di noi.
Non mancano le differenze anche al centro del sarcofago, dove vediamo le foglie relative allo stelo che assume forma circolare a sinistra (fig. 23, part. A) più grandi delle corrispondenti di destra (fig. 23, part. B).
Fig. 23
Bene, credo che a questo punto sia ben evidente la volontà di Leonardo di dipingere i due lati del sarcofago in maniera diversa, e tale è il suo accanimento che non possiamo non capire come dietro tutta questa sua fatica (dedicata tra l’altro a violare in maniera esasperata ogni legge di corretta decorazione scultorea) debba nascondersi una motivazione di estrema importanza.
Per spiegare l’operato del nostro genio dobbiamo prima analizzare ciò che poggia sopra questo sarcofago, perché da qui dipende ogni altra cosa che si manifesta attorno.
Poggia infatti, sul sarcofago, un elaborato supporto, una specie di sottile cilindro, anch’esso di marmo, modulato e scolpito, che potremmo assimilare ad una specie di grosso stelo.
Fig. 24
Le foglie di cui è rivestito non hanno, come può sembrare a prima vista, l’attaccatura in basso, bensì in alto (fig. 24), sono quindi riverse, ripiegate verso il basso, come parti di un bocciolo oramai aperto, come a sottendere lo sbocciare di qualcosa che al loro interno era contenuto. Cosa sia emerso dall’interno di tal “bocciolo” lo possiamo vedere più sopra, si tratta del libro che sta sfogliando la Vergine, che presenta le pagine esageratamente arricciate, cioè esattamente nello stato in cui si trovano i petali appena disciolti dall’angusta oppressione del bocciolo.
Un libro nato da un bocciolo fiorito da una roccia, cos’altro può essere se non anch’esso l’alter ego del grande libro della vita che, più sopra, la montagna in forma di “Grande Madre” stringe al petto?
Cominciamo ad esserci: una volta capito il senso di quel libro sul leggio, illeggibile e quindi imperscrutabile come il senso della vita, perché scritto con un miscuglio di lettere di vari alfabeti, cosa potrebbe rappresentare quel velo trasparente, anch’esso nato dal bocciolo, che emerge al di sotto del libro e verticalmente discende verso il prato sottostante? Non nascono forse, le sorgenti vivificatrici, dalla viva roccia a discendere verso il piano, arricchendo di vita tutto ciò che vanno toccando?
Bene, siamo arrivati al dunque, ecco cosa rappresenta il sarcofago:
LA PIETRA DA CUI FIORISCE L’ACQUA VIVIFICATRICE
Leonardo ci da poi anche le prove di quanto vuol significare, infatti come il velo simboleggi l’acqua che discende verso il basso, ce lo prova la disposizione delle erbe immediatamente sottostanti al velo stesso, che cedono sotto l’urto dell’acqua come sotto ad una cascata. Esse si piegano infatti mollemente verso sinistra nella zona centrale (fig. 19, part. A)e verso di noi sui bordi della “cascatella” (fig. 19, part. B) esattamente come accade in natura. Come se non bastasse, le escrescenze erbose tra noi e il sarcofago, nella zona antistate le zampe feline (vedi fig. 18), assomigliano stranamente a delle ninfee e se isolassimo questa parte del quadro dal contesto, chiunque la vedesse sarebbe sicuro di trovarsi di fronte alla raffigurazione di uno stagno, cosparso, appunto, di ninfee.
Che di acqua vivificatrice si tratti ce lo dimostra, come già visto, tutta la parte sinistra del sarcofago: tutto quanto toccato dallo scorrere dell’acqua verso il basso, infatti, “PRENDE VITA” e la dimostrazione più evidente del fatto che Leonardo voglia significare proprio questo, sta proprio nelle foglie che si raccolgono sotto la voluta (di sinistra) che furono così dipinte perché assumessero la forma di una testa di rapace (perfettamente fruibile da una certa distanza), ma non solo la testa è visibile ma anche il petto e le ali (Fig. 19, part. Y) del rapace stesso. L’ala di sinistra poi, ha preso ancor più vita e si è distaccata dal sarcofago come se il rapace si accingesse a prendere il volo.
Non mi dilungherò in questa sede nella dimostrazione della volontà di Leonardo di farci percepire una testa di rapace, mi limito a rinviarvi alla lunga trattazione della mia pubblicazione, mi limiterò qui a sottolineare che gli assurdi ed inconcepibili contorcimenti delle foglie non possono non avere una motivazione altrimenti il genio di Vinci avrebbe dipinto le foglie in assoluta regolarità (come canone decorativo prevede) e non si sarebbe inutilmente affaticato a contorcele in tal modo, oltretutto esteticamente disastroso.
Sempre per vivificazione si estroflettono poi le foglie più in basso sopra la zampa felina (fig. 25), e crescono più rigogliosi i ciuffi d’erba dagli interstizi tra di loro.
Fig. 25
Ancora si girano verso di noi e si estendono i fiori sul lato sinistro del sarcofago addirittura fino a sembrar far parte del prato e, la zampa felina, improvvisamente si tende, nervosa, in procinto di balzare in avanti!
Convergono innaturalmente verso di noi, contro ogni logica, le foglie da dietro la voluta e, nella parte sinistra del festone, le bacche si sono dilatate molto più che quelle di destra ed emergono, turgide ed evidenti tra foglie.
Addirittura i peduncoli dei nastri sopra il festone sono stati trattati come cose vive e, direi ironicamente, si protendono anch’essi verso l’alto, a sinistra, come vivificati.
Cosa dire di più? Non si può certo parlare di coincidenze, non possono, una tale quantità di anomalie concomitanti, che confermare in modo assoluto le intenzioni di Leonardo.
Già questa manifestazione di genio è immane, ma non siamo che all’inizio.
L’ “OMBRA” DELL’ANGELO
Fig. 25a L’ “ombra” dell’angelo
Andiamo infatti ad analizzare l’ombra dell’angelo: in primis ricordiamo che da sempre è parso stranissimo che all’ interno di quella non compaiano fili d’erba (come il restauro ha ben rivelato), l’estensione scura che avrebbe dovuto contenere altra erba anche se molto più scura per via dell’ombra, appare invece assolutamente spoglia e solo sui bordi rintracciamo dei fili d’erba e piccole piante. Fili d’erba che, nella parte superiore, a ben guardare, paiono, alcuni, come se si trovassero sull’orlo di qualcosa, sporgono come sull’orlo di un precipizio (vediamo chiaramente che “penzolano”, non si sa su cosa) e altri, sulla destra, sembrano essere immersi in qualcosa che ne attenua la percezione (acqua?). Ci tengo a sottolineare che il procedimento di dipingere una zona erbosa in ombra eliminando la presenza dell’erba è cosa assolutamente demenziale e agli antipodi della buona pittura: quando mai abbiamo visto, nel rinascimento, un pittore, anche mediocre, operare in tal modo? Come mai Leonardo, il più grande di tutti, dipinge questa “sciocchezza”?
Meno strana ci appare la cosa se consideriamo la direzione ideale in cui l’acqua illusoria della sorgente scorre, cioè proprio in direzione dell’ombra.
Bene, ci troviamo di fronte alla finzione leonardesca forse più difficile da credere, ma non può essere che così perché solo questa spiegazione giustifica l’assurda mancanza di erba, il “penzolamento degli steli su qualcosa e l’impressione di immersione di altri:
l’ombra non è che un minuscolo simbolico stagno creato dalla sorgente che sgorga dal libro (a destra possiamo notare una progressiva sparizione delle tracce d’erba verso sinistra, come se in quella direzione lo stagno divenisse più profondo)!
E’ quindi da questo stagno che traggono esuberante vitalità le piante che crescono attorno a quello nel giardino, una varietà talmente ossessiva che ha fatto pensare ad un giardino botanico ma che semplicemente simboleggia l’universalità della rappresentazione, come le varie lingue in cui è scritto il libro, cioè l’enorme varietà delle piante a cui l’acqua a dato vita nel mondo. Ma non solo a flora e fauna ha dato origine la sorgente: si leva, al suo bordo, anch’esso estremo frutto della potenza creativa dell’acqua, la massima sua manifestazione vitale, l’ Uomo, rappresentato nelle vesti di un angelo appena posatosi sul prato (identica cosa avevamo visto nel paesaggio di fondo, ove alle rive del mare-lago si leva la città dell’uomo).
Che di angelo non si tratti è facilmente arguibile da un particolare che mi chiedo come non sia mai stato notato in 500 anni: le sue ali sono finte, non sono che applicazioni da palcoscenico simili, nell’imbragatura di sostegno, a quelle che io stesso costruii per un film di Pupi Avati, imbragatura la cui conformazione è confermata da un bassorilievo romano rappresentante Icaro e suo padre (fig.26) .
Fig. 26 Icaro (particolare di bassorilievo romano)
Fig. 27
Nessuno sembra essersi mai chiesto a cosa serva il nastro verde (fig. 27, part. L) che, dalla foglia dietro la spalla, le gira poi attorno e dove questo nastro vada a finire, visto che non ricompare sul petto dell’angelo. Essendo ben in trazione, tale nastro non può che ricongiungersi con quello che stringe il braccio (fig. 27, part.E) esattamente come vediamo nel bassorilievo romano (fig. 26) e che esso, sulla schiena, sia fissato all’ala ce lo conferma la foglia dietro (fig. 27, part. B), particolare che mai vedemmo in alcun altro angelo e che può servire solamente a nascondere l’attacco alla tavoletta che regge le ali finte, esattamente come accade in palcoscenico (ci tengo a ricordare che tali foglie sono spesso utilizzate, come Leonardo ben sa, nei vasi di bronzo, per nascondere le saldature dell’attaccatura dei manici). Questo utilizzo (come appiglio per sostenere il peso delle ali) da finalmente risposta al fatto che il nastro legato al braccio sia sempre stato giudicato esteticamente ed illogicamente troppo stretto (quasi un laccio emostatico).
Alla stranezza del nastro che arriva dalla schiena se ne aggiunge poi un altra, quella del nastro anch’esso chiaramente in tensione, che gira attorno al collo (fig. 27, part. F), esso infatti non è un colletto, come può sembrare a prima vista, in quanto si inclina verso il basso dietro il collo (perché trovasi in tensione) per andare anch’esso a ricongiungersi alla tavoletta su cui sono innestate le ali. Questo secondo nastro ha la funzione di tenerle al centro, funzione svolta invece, nel rilievo romano, dall’imbragatura a croce sul petto.
Ulteriore conferma della corrispondenza con il rilievo ci viene data dall’analisi a infrarossi che rivela come Leonardo avesse progettato addirittura i nastri che si incrociavano sul petto (fig. 28, indicati dalle frecce) a cui ha sicuramente rinunciato per la troppa evidenza che avrebbe avuto un’imbragatura esattamente identica a quella di Icaro.
Fig. 28 Foto ad infrarosso
FINE SECONDA PARTE (terza parte di prossima pubblicazione)
Alberto Cottignoli