ANNUNCIAZIONE DI LEONARDO-IL VERO SIGNIFICATO: UNA DICHIARAZIONE D'AMORE
(PARTE TERZA E ULTIMA)
Che di uomo si tratta e non di angelo, ce lo rivela anche la “non pertinenza” di un particolare mai rilevato, e cioè il ricciolo sbarazzino sulla fronte (fig. 29, part. A) che mai vedemmo in altre figure di questo tipo e che possiamo facilmente assomigliarealla cresta di un gallo.
Fig. 29 Il ricciolo sbarazzino
Ulteriore stranezza di questo modo di trattare la capigliatura di un angelo la rileviamo di nuovo agli infrarossi che mostrano come Leonardo avesse intenzione di coronare fronte e tempie con un numero ben più grande di riccioli (fig. 30),
Fig. 30 I riccioli mai dipinti visti all’infrarosso
riccioli a cui ha poi rinunciato perché assolutamente non pertinenti alla natura angelica bensì a quella umana che tali riccioli utilizza per esaltare la propria avvenenza (vedi ad esempio come la cosa fosse comune nel periodo rococò), ovviamente nei confronti delle donne, e che quindi assolutamente nulla hanno a che fare (come già detto) con la natura angelica e con un’Annunciazione, a meno che l’annunciante non abbia intenzioni ben precise nei confronti di Maria.
L’aureola poi, appare come una delicata struttura in filigrana stranamente non levitante ma appoggiata alla sommità della testa sulla quale potrebbe benissimo essere fissata con una forcina.
Ma un altro particolare ci rivela la natura umana di questo “angelo”, si tratta dell’albero in secondo piano a cui si sovrappone la mano “benedicente” del medesimo (fig. 29, part. D): qui Leonardo si è esibito in una operazione che io esercito abitualmente nei miei dipinti, ha cioè unificato il primo piano prospettico col secondo. Se noi infatti isoliamo la figura dell’angelo dal contesto (fingendo ovviamente di non saper nulla della sua collocazione in questo dipinto) non possiamo non renderci conto di come sembri che egli regga l’albero tra le dita.
Se noi pensiamo a quanto tempo Leonardo avrà dedicato al disegno preparatorio di questo quadro e al fatto che in assenza di colori (nel disegno quindi) l’effetto è molto più esaltato, ci rendiamo conto di come egli non può non essersi reso conto dell’illusione ottica che produce questa sovrapposizione, se poi riflettiamo sul fatto che le sovrapposizioni di oggetti collocati su piani prospettici diversi rappresentano un colossale errore pittorico (errore che è tra i primi che impara ad evitare un allievo appena arrivato in bottega), non possiamo non avere la certezza che questo effetto ottico è stato volutamente creato da Leonardo. Assoluta certezza acquisiamo di questo, quando poi ci rendiamo conto del senso che acquista il fatto che la mano stringa tra le dita l’albero medesimo: non il giglio, simbolo di purezza, offre questo personaggio a Maria, bensì l’albero simbolo della vita!
Non possiamo poi fare a meno di notare il ben strano colore che hanno i gigli che
l’ “angelo” stringe nella mano sinistra: anche se gran parte del cromatismo è stato perso non possiamo non rilevare che sono di un delicatissimo quanto stranissimo ed incongruente, rosa (fig. 30, part. B) ed azzurro (fig. 30, part. C). Ma non sono forse questi i colori con cui da sempre si indicano i maschi e le femmine? E la loro unione in un unico stelo non ci riporta forse al medesimo significato di quanto sta accadendo tra i due personaggi in primo piano? Mio Dio, quanto può essere grande una mente che in una sola figura architetta tutto questo? Ma non è ancora finita, uno dei particolari che subito notai fu lo stranissimo sguardo dell’ “angelo”: questo non è lo sguardo di persona che annuncia qualcosa di estremamente definito ad un’altra, come la sua certa “gravidanza”, questo è lo sguardo, esattamente al contrario, di chi ha fatto una richiesta e che aspetta la risposta con l’evidente timore che possa essere negativa! E, l’albero simbolico che porge, ben ci suggerisce quale possa essere stata la domanda.
La dovizia di particolari incongruenti è tale, e particolari tutti concomitanti nel loro significato, che siamo ben oltre la completa certezza del fatto che questo non è un angelo ma un giovane che sta dichiarando il suo amore ad una donna. E che non si creda che tutto ciò “sminuisca” il valore simbolico del dipinto: non è forse il rapporto tra i due sessi la cosa che domina e giustifica le azioni di tutto il genere umano in ogni tempo, passato e futuro? Il substrato subliminare che governa (come Freud intuì) ogni nostro più recondito pensiero? Il “Deus ex machina” che tira i fili di ogni evento che alla nostra debole, carnale umanità si rapporti? Già prima di Freud, Omero ne fu perfettamente cosciente, come possiamo noi, oggi, non riconoscere che anche Leonardo tratta in questo quadro dell’enorme possanza del primo e del più importante degli istinti umani?
L’ “ANGELO INCARNATO”
Se qualche dubbio ci resta, il genio di Vinci compie in questo dipinto un altro portento che completa la tensione sentimentale con quella erotico sessuale.
Fig. 31 L’ “angelo incarnato”
Non molto tempo fa, fu ritrovato in Germania un disegno di Leonardo che è stato chiamato “L’angelo incarnato” (fig. 31) perché trattasi appunto di un angelo (che angelo sia ce lo dimostra un altro disegno di un allievo di Leonardo (fig. 32) , in cui le ali sono perfettamente percepibili) ma pornograficamente dotato di un fallo eretto (vedi freccia in fig. 30).
Fig. 32
Bene, come chiunque si occupi di pittura ben sa, è normale che i pittori nella loro attività puramente disegnativa si scatenino in rappresentazioni estremamente forzate per il semplice motivo che tali rappresentazioni non dovranno (se non storicamente) essere esposte al pubblico, ed è pure noto che tali disegni servono, con la loro violenza, ad inventare nuove strutture, nuove idee che poi, applicate ad affreschi e pitture (che debbano essere esposti al pubblico), vengono filtrate, cioè ne viene estremamente indebolita la violenza e spesso, se l’argomento è ancora troppo violento, il pittore fa si che quanto vuole significare sia percepibile nel dipinto solo da un punto di vista simbolico o subliminare.
Nel dipingere quest’angelo degli Uffizi, vista l’estrema scabrosità se non blasfemia dell’argomento, Leonardo ha optato per la soluzione simbolica ed ha “tradotto” il disegno tedesco in un’immagine di cui solo un’analisi estremamente attenta può rivelare la natura.
Fig. 33 La strana piega illuminata
Vi invito pertanto ad osservare la strana piega presente nella veste dell’angelo
(fig. 33, part. A).
In primis ci rendiamo conto che tale piega non potrebbe essere illuminata (come invece accade) in quanto perfettamente coperta dal busto dell’angelo (tutto il resto attorno ad essa infatti è completamente buio) e questo “errore” ci rivela l’assoluta necessità che Leonardo aveva di renderla evidente, dopodiché, se vogliamo considerare l’ inclinazione virtuale di questa “piega”rispetto al terreno (non l’inclinazione effettiva, dato che tale piega sarebbe, nella realtà, parallela al terreno) ci accorgiamo che essa coincide con quella che ha un fallo in erezione, attributi che, proprio in queste condizioni, così spesso vediamo nei satiri delle ceramiche erotiche greche. Non possiamo poi notare come tale piega abbia, del fallo, anche l’approssimativa lunghezza e lo spessore (circonferenza illusoria), per non parlare del colore rosso, di sicuro non poco pertinente ad una identificazione fallica.
Riguardo alla sua collocazione, se può, ad un neofita, parere un tantino bassa, assicuro che chi di anatomia umana è pratico, sa che si trova nella sua esatta posizione sia per l’altezza sia per la collocazione destra-sinistra.
A parte l’esistenza del disegno dell’angelo incarnato, credete proprio che un genio al pari di Leonardo non si sia reso conto che ad una osservazione indipendente dai canoni prospettici, ciò che lui aveva dipinto assurgeva alla forma, al colore, alle dimensioni, alla posizione nonché alla disposizione di un fallo in erezione? E che casualmente abbia commesso l’errore non solo di illuminare proprio questa piega (che mai avrebbe potuto avere luce) ma di non dipingerne alcun’altra vicino a quella (nemmeno in ombra, esattamente come in gran parte del lago virtuale non appare alcuno stelo d’erba)?
Ma questa falsa illuminazione ha una spiegazione grandiosa: se la piega corresse da una gamba all’altra dell’angelo (com dovrebbe essere) essa sarebbe quasi parallela al terreno e non potrebbe essere illuminata, per arrivare a prendere luce tale piega dovrebbe essere diretta verso l’alto, in posizione pseudo eretta (come il fallo eccitato): solo così si porterebbe fuori dall’ombra del torso dell’angelo nella zona colpita dal sole! Questa piega è un assurdo prospettico che non può che spiegarsi nel modo succitato.
Non dimentichiamo poi che il rinascimento fa riferimento in modo quasi ossessivo alla cultura artistica della Grecia classica e che le ceramiche dipinte di quel periodo (unica testimonianza delle pitture su tavola dei grandi maestri di allora) sono ricchissime di satiri che, col fallo eretto, rincorrono menadi fintamente restie. Si può sostenere che il satiro “itifallico” sia forse il personaggio più comune all’interno della figurativa utilizzata nelle ceramiche a figure nere e rosse tra il 550 ed il 450 a.C.
Dulcis in fundo, anche in questa zona d’ombra non sono presenti altre pieghe, esattamente come nella parte sinistra del prato-lago non esiste erba, cosa che rappresenta un grave errore pittorico e che Leonardo compie, assieme a quello dell’illuminazione impossibile, semplicemente per farci capire le sue intenzioni simboliche.
IL CONTESTO IN CUI AVVIENE LA DICHIARAZIONE D’AMORE
Prima di avventurarci a parlare di Maria è opportuno dare un’occhiata a tutto ciò che circonda i due personaggi principali del dipinto.
La critica storica parla di “giardino” e di uno sfondo cosparso di alberi e cipressi, ed effettivamente così ci appare ad una osservazione superficiale, se però andiamo ad analizzare le varie oggettualità presenti sulla scena e la loro strana disposizione ci accorgiamo che il luogo in cui i due giovani si trovano è ben altro.
La prima cosa che ci inquieta è il fatto che il supporto del leggio sia un sarcofago: il luogo in cui si collocano tali oggetti è normalmente un cimitero.
Che il “giardino” sia circondato da cipressi ancor più ci inquieta in quanto tali alberi sono, fin dall’antichità classica, alberi “mortuari”collocati appunto nei cimiteri, ma se andiamo a controllare la posizione in cui tali cipressi si trovano, la nostra inquietudine si moltiplica ulteriormente: due si trovano ai lati dell’ingresso del “giardino”, un altro all’estrema destra del “muretto” di destra e l’altro all’estrema sinistra del quadro.
Bene, sottolineerò a questo punto che a Leonardo è stato sempre rinfacciato di aver dipinto i muretti di contenimento del giardino “troppo larghi” (e lo si è quindi accusato di aver fatto un errore pittorico), e ciò effettivamente è vero in quanto non solo essi, come “muretti”, risultano insensati di quella larghezza esagerata, ma pure presentano una superficie pittorica troppo vasta che altera i rapporti di massa all’interno del quadro.
Ma Leonardo non era un cretino, se di questo problema ci accorgiamo noi, figurasi se lui stesso non ne fu più che cosciente!
Affrontiamo allora questi due “muretti” in modo differente, immaginiamo che possano essere (soprattutto quello di destra) non parti visibili frammentarie di un muretto che si estenderebbe a sinistra al di fuori del dipinto, ma che si tratti di due monoliti, di due parallelepipedi, tra loro quasi identici per dimensioni e visibili nella loro interezza (per quanto riguarda la loro parte superiore): se così li intendiamo possiamo ben vedere che i cipressi mortuari risultano posizionati esattamente alle loro estremità.
Se poi consideriamo la strana ed “errata” larghezza che presentano tali monoliti, non ci sovviene il sospetto, ampiamente confortato dal sarcofago in primo piano, che anche questi due monoliti possano essere due sarcofaghi? E il fatto che i cipressi, piantati proprio alle loro estremità ad individuarli, siano “giovani” esattamente come i protagonisti del quadro, non ci fa sospettare che si tratti della loro dimora loro futura , dei tristi contenitori all’interno dei quali riposeranno, quando l’afflato vitale li avrà abbandonati per sempre?
Riguardo all’appartenenza dei due sarcofaghi-muretto ai due personaggi in primo piano, non possiamo fare a meno poi di notare come Leonardo provveda a confermarcela: quello di sinistra si va infatti a conficcare nella schiena dell’ “angelo”, mentre quello di destra si incastra frontalmente nel corpo di Maria.
A riconfermare ulteriormente l’ambito mortuario ricordiamo poi come sia presente (già lo avevamo notato), oltre il “muretto”, un tumulo sepolcrale di chiara fattura etrusca.
Non in un giardino si svolge la scena bensì in un cimitero.
E come può, la commedia della vita e la sua più alta esaltazione, cioè la parabola dell’amore, se considerate nella completezza della sua essenza, non svolgersi all’interno della tragica dimensione mortuaria che attende ogni umana manifestazione alla fine del cammino, come può, vista con occhi consapevoli, non essere vissuta come “sprofondata”, nell’inquietante mistero che tenebroso avvolge ogni nostra, seppur felice, manifestazione vitale, la realtà che veramente trascende, per importanza ogni altra dimensione? Non è forse, il periodo in cui della vita godiamo, una minuscola goccia nell’immenso scorrere dei tempi in cui non esistemmo e in cui più non esisteremo?
Mio Dio, finalmente ci è dato di comprendere appieno perché Leonardo fu ritenuto anche il più grande pittore di tutti i tempi.
I “RIPORTI DI CONFERMA”
Una parentesi merita la metodologia geniale che Leonardo sempre utilizza nei suoi dipinti e che io definisco dei “riporti di conferma”: egli è infatti ben cosciente della difficoltà di lettura dei suoi dipinti, e soprattutto è cosciente del fatto che, anche colui che fosse in grado di penetrarne il recondito significato, potrebbe avere poi il dubbio di essersi sbagliato ma non solo, Leonardo è ben cosciente anche del fatto che, anche ammesso che il fruitore acquisisse l’assoluta certezza di quanto da lui scoperto, avrebbe poi degli enormi problemi a trasmettere tale certezza agli osservatori più sprovveduti.
Leonardo ben sa che una mente normale è impossibilitata a credere che esista un cervello come il suo, in grado di elaborare dati pittorici di tale sconfinata complicazione e grandezza (chi di “arte” oggi si interessa è abituato a demenzialità come tagli nelle tele, plastiche bruciacchiate, escrementi in scatola), è per questo che elabora il procedimento succitato, atto a garantire che ciò che potrebbe essere casuale è invece stato dipinto in assoluta coscienza e finalizzato ad un certo scopo: procedimento che utilizza, come già detto, dei “riporti di conferma”.
Andiamo a verificarne alcuni:
1) Nel Bacco il profilo umano della montagna è confermato, più in basso,dal suo corrispondente di identica forma che già abbiamo citato
2) Il leggio davanti alla Grande Madre è confermato dal leggio più in basso di fronte a Maria
3) La stessa “Grande Madre” è confermata dalla “Piccola Grande Madre” cioè Maria (madre simbolica non di tutto ciò che è vitale ma solo del genere umano), anch’essa intenta a consultare il libro della vita
4) La natura del grande tumulo sopra la città, in cui si apre l’ingresso agli Inferi è confermata, sempre più in basso, dal piccolo tumulo nell’esterno del giardino, su cui vediamo infatti la medesima apertura oscura
5) I “muretti sarcofagi” sono confermati, più sotto, nella loro natura, dal sarcofago che sostiene il leggio
E potrei continuare con altri particolari “riporti di conferma” presenti in questo dipinto che però riguardano problemi non ancora trattati e con altri “riporti”presenti sempre in dipinti di Leonardo di cui però preferisco non parlare in questa sede perché non ho ancora pubblicato nulla in proposito.
LA FIGURA DI MARIA
Fig. 34
Il percorso che abbiamo fin qui osservato, che va dal sarcofago all’ uomo alato, non si interrompe con l’ “angelo”, ma semplicemente inverte il cammino ed inizia un viaggio di ritorno al contrario, questa volta mortuario, individuato dalla linea dei due sarcofaghi-muretto, percorso che riconfluisce, chiudendo il cerchio, di nuovo a Maria, la “Piccola Madre”.
E’ un percorso di ritorno identico a quello intuibile, in secondo piano, dalla città alla Grande Madre attraverso il passaggio agli Inferi.
E che di Maria qui non si tratti ma di semplice donna, allargata al suo concetto universale di “Piccola Madre”, ce lo dimostrano un’infinità di particolari.
La prima cosa che ci colpisce sono la sua espressione ed il suo atteggiamento:
il suo volto non esprime “gioia frammista a stupore” e il suo atteggiamento non è di “arrendevole compiacimento” come nelle raffigurazioni canoniche, ma esattamente il contrario.
Questo volto esprime “dubbioso ripensamento” e l’atteggiamento corporeo poi, agli antipodi dell’ “arrendevole compiacimento” esprime una “ferma ritrosia”, confermata dalla mano sinistra alzata e dal torso eretto che paiono voler fermare l’interlocutore e chiedere tempo (per quel che riguarda l’aureola, di nuovo ricordiamo che non è “levitante”, ma appoggiata alla testa e quindi può benissimo essere fissata ai capelli con una forcina).
Cosa c’entra tutto questo con la prassi dell’ “Annunciazione” di cristiana memoria? Nulla, assolutamente nulla!
C’entra invece, e come, con la prassi del corteggiamento: è questo infatti l’atteggiamento tipico della donna che si ritrae di fronte alla dichiarazione del pretendente (anche se ne è, magari, perdutamente attratta) e chiede tempo per decidere .
Riesaminando gli atteggiamenti dei due personaggi nel loro complesso dopo queste precisazioni ci rendiamo conto di come i ruoli siano rovesciati se paragonati a qualsivoglia altra Annunciazione:
è chiaro che in questo quadro è la donna che “pontifica”, è lei che decide, ed è chi le sta di fronte che subisce passivamente ciò che lei si appresta a determinare.
A conferma di tutto questo interviene anche l’azione della mano destra di “Maria”, che sta sfogliando il “Libro della Vita” e questo gesto, che nella lettura iconografica tradizionale era assolutamente superfluo e semplicemente decorativo, assume invece adesso enorme importanza:
potrà Leonardo dipingere qualcosa di superfluo e semplicemente decorativo?
È invece una cosa estremamente importante l’atto che ella sta compiendo, cioè quello della consultazione del “Libro della Vita” finalizzato a decidere se dare o no il proprio consenso al pretendente!
Non è forse, una richiesta di rapporto amoroso, sempre soppesata dalla donna in funzione dei pro e dei contro che essa riterrà di avere nella vita in caso di accettazione? Non passano forse in quell’istante nella sua mente tutti i momenti della sua vita passata e di quella a venire che la vedranno in questa nuova condizione?
Fig. 35 Foto a infrarossi della scollatura della Vergine
Conferma ulteriormente l’ “umanità” di questo personaggio femminile l’analisi ad infrarossi (fig. 35) che ci rivela come fosse intenzione di Leonardo sia di dipingerle al collo una ricchissima collana (probabilmente di perle) a triplo giro, con grande medaglione, sia di decorare in maniera molto più ricca l’orlo della scollatura della veste. Con l’aggiunta di questi particolari la “Vergine” si sarebbe trasformata nella perfetta immagine di una nobildonna fiorentina e poco avrebbe avuto a che fare con la proverbiale semplicità del personaggio canonico di Maria.
Ma un altro particolare estremamente inquietante ci convince di trovarci di fronte ad un umanissimo personaggio femminile che nulla ha a che fare con la madre del Redentore: da sempre si è accusato Leonardo di avere commesso un errore madornale in questa figura, quello di aver fatto sembrare che ella abbia tre gambe!
L’impressione è creata dall’aver, il genio di Vinci, dipinto il mantello della Vergine sopra il bracciolo di destra (per chi guarda) dello scranno su cui è seduta.
Sono pienamente d’accordo con questa affermazione, “Maria” sembra effettivamente avere tre gambe (la terza sarebbe nascosta, a destra, sotto il mantello), ma asserire che Leonardo non si sia accorto di questo effetto è semplicemente demenziale, in primis perché se ce ne accorgiamo noi (o un critico che mai si è sognato di esercitare prassi disegnative), figurasi se non se ne accorgeva il nostro genio! E di ciò arriviamo a conferma quando ci rendiamo conto della fatica che deve essere costata a Leonardo dipingere in quel modo anomalo: come poteva non rendersi conto dell’assurda disposizione del mantello? Come si può credere che “casualmente” egli abbia fasciato in maniera demenziale tutto il bracciolo col mantello in modo che ricadesse a terra su entrambi i lati addirittura fino al pavimento, producendo poi, tra il bracciolo e la gamba sinistra di “Maria”, un anomalo insaccamento addirittura di molto superiore a quello tra le due gambe vere?
Smettiamola di dare del cretino al più colossale cervello di tutti i tempi!
Se così “demenzialmente” dipinse, significa che aveva un motivo, sicuramente molto, molto serio per agire in tal modo e che quindi il suo è tutt’altro che un errore.
Fig. 36 La “gamba di mezzo” cancellata
Per capire le ragioni di questo colossale “errore pittorico” rimandiamo a fig. 36 , dove si è provveduto a cancellare la “gamba di mezzo” di “Maria”: non è difficile accorgersi che ella appare adesso in una ben strana posizione, appare cioè con le gambe esageratamente allargate e non possiamo fare a meno di notare che la finta gamba alla nostra destra indica adesso l’entrata della casa e quindi anche l’alcova al suo interno, dove il letto si presenta di un inquietante ed erotico color rosso (colore che domina anche tutto l’interno), guada caso esattamente come la piega nella veste in ombra dell’ “angelo”.
Si rivelano qui le attitudini cinematografiche di Leonardo, tanto care al Pedretti, ma che semplicemente si rifanno ad un giochetto che anch’io ebbi modo di produrre nella mia adolescenza, sicuramente conosciuto già in antico e che è appunto il principio ispiratore dei procedimenti cinematografici contemporanei.
Per chi questo giochetto non conoscesse, lo illustrerò proprio utilizzando questa postura della Vergine dipinta da Leonardo.
Prendete un blocco notes e disegnate, in prossimità dei margini esterni, nel primo foglio “Maria” con la gamba centrale eliminata, nel secondo “Maria” con le tre gambe, nel terzo di nuovo la gamba centrale eliminata , nel terzo le tre gambe e via così sempre in alternanza. Bene, se adesso sfogliate velocemente con le dita il blocco notes, vedrete “Maria”che, in movimento compulsivo, continua a stringere ed allargare le gambe!
Questo è l’unico modo di vivificare il disegno e doveva sicuramente essere conosciuto fin da tempi antichissimi, quando la cinematografia era ben lontana dall’ essere anche solo ipotizzata.
Questo spiegato, diventa chiaro che la terza gamba è stata da introdotta da Leonardo “semplicemente” per rappresentare il movimento di accettazione, da parte di Maria, della proposta che l’ “angelo” le sta facendo: dalla postura normale a gambe unite ella passa, in successione cinematografica, a quella di accettazione, storicamente determinata dall’allargamento delle gambe (vedi la Grande Madre nel dipinto di Piero di Cosimo), allargamento che porta ad indicare l’alcova, con riferimento quindi, oltre che all’atto sessuale anche alla procreazione.
Nessuna meraviglia, non è forse, questo atteggiamento di “Maria”, perfettamente complementare alle condizioni in cui si trova la “piega della veste” dell’ “angelo”?
IL PERCORSO CIRCOLARE IN PRIMO PIANO
Il percorso circolare snodatosi dalla “Piccola Madre” (cioè da Maria e dal suo Libro della Vita), all’ uomo-angelo e quindi ritornato lungo i sarcofaghi alla medesima Maria pare essersi concluso, ma così non è: questo complesso e geniale sunto dei cicli vitali non sarebbe stato completo, Leonardo avrebbe ignorato il meccanismo attraverso il quale la vita riesce a proseguire e perpetuarsi malgrado l’onnipresenza della morte.
E’ per completare veramente tutto il ciclo che Leonardo ha usato l’allargamento delle gambe di “Maria”: la linea indicata dalla terza, finta gamba della donna rappresenta infatti l’uscita dal ciclo chiuso della vita e della morte individuale attraverso la procreazione.
E’ a questo punto poi che Leonardo supera sé stesso: egli è ben cosciente del fatto che anche la vita perpetuata attraverso la procreazione non potrà sfuggire alla morte e quindi far terminare il percorso nell’alcova avrebbe rappresentato un errore., decide allora di proseguire tale percorso attraverso la casa.
Quella dell’inserimento della casa nel viaggio può sembrare un’idea assurda ma Leonardo ci da la conferma di questa sua intenzione attraverso i soliti “errori pittorici”.
Andiamo ad analizzare tutto questo.
Il primo “errore pittorico” è rappresentato dal punto d’unione tra la casa e il primo cipresso di destra: egli ha fatto corrispondere l’asse centrale del cipresso esattamente con lo spigolo terminale della casa, con tanta esasperata precisione che anche il tronco (pur essendo sottilissimo) si sovrappone allo spigolo succitato.
Fig. 37 Dopo il restauro
Fig. 38 Prima del restauro
Questo è un errore pittorico colossale, , cosicchè le due entità (casa e cipresso) si fondono e sono percepite, guardando il quadro nella sua globalità, come unificati. La volontà di Leonardo di farci percepire casa e cipresso unificati come se l’albero fosse il proseguo del muro è poi confermata dal fatto che dipinse la chioma del cipresso molto scura, praticamente identica al colore della casa in modo che con questa si confondesse (vedi fig. 38), ma il restauro ha insensatamente schiarito (e in maniera esorbitante) il muro della casa (fig. 37), cosa che ha adesso praticamente annullato l’effetto di similitudine chiaroscurale. Ci tengo a spiegare il motivo per cui il restauro ha enormemente schiarito questo muro: il coefficiente di scurezza fu senza dubbio prodotto da Leonardo con una velatura bruna passata su uno strato preesistente più chiaro, allo scopo di portare il colore allo stesso livello di scurezza della chioma, ed è probabile che tale velatura sia stata effettuata sopra uno strato si vernice trasparente protettiva (vernice che sempre deve essere passata sulle velature antecedenti rese opache dal seccaggio che impedisce di vedere le esatte condizioni dei rapporti cromatico-chiaroscurali), ma dato che i moderni restauratori, completamente ignari di tecniche pittoriche complesse, sempre asportano gli strati pittorici che trovano stesi sopra le vernici trasparenti protettive, anche in questo caso hanno asportato completamente la velatura scura che Leonardo aveva dipinto.
Faccio poi notare, a riprova della volontà di Leonardo di operare la fusione
casa-cipresso, che per eliminare tale problema gli sarebbe bastato spostare il cipresso di pochi centimetri a sinistra.
Ma Leonardo portò avanti anche un’operazione che dimostra senza ombra di dubbio la sua volontà di far percepire il cipresso e la casa come un corpo unico:
egli dipinse prima correttamente sul muro della casa l’ombra dell’ultimo cipresso a destra (mi scuso per non aver pubblicato la foto ad infrarossi dove è chiaramente visibile l’ombra, ma essa è andata persa in archivio, sarà comunque pubblicata appena potrò procurarmene una copia. Essa è però fruibile nel libro di Natali “L’Annunciazione di Leonardo. La montagna sul mare”, Silvana Editoriale), ma poi, accortosi che tale ombra esaltava la presenza del cipresso e quindi tendeva a separarlo dalla percezione della casa medesima, decise di cancellarla, cosa che in effetti fece: possiamo infatti veder agli infrarossi in modo chiarissimo come quest’ombra fosse stata dipinta mentre adesso non ne rimane più alcuna traccia.
Ma quest’assenza rappresenta un altro colossale errore pittorico (l’ombra deve esserci), quindi il nostro genio sa benissimo che l’errore vero è cancellarla. Per quale motivo commette volontariamente un errore del genere? E’ ovvio che tale ombra gli dava fastidio, e per quale motivo gli poteva dare fastidio se non per quello succitato? come poteva infatti il cipresso sembrare fare parte della casa se su di essa se ne proiettava l’ombra a dimostrare che era invece da quest’ultima ben distanziato?
E’ chiaro che Leonardo vuole che il viaggio prosegua e infatti adesso il viaggio prosegue e, dalla vita, di nuovo precipita nella morte, simboleggiata dal cipresso mortuario.
Ma se a qualcuno restano delle perplessità Leonardo è sveltissimo a togliergliele con un altro particolare anomalo:
dove finisce il tronco del cipresso? Non sul mortuario sarcofago, come può sembrare osservando da lontano, ma tra le pagine del Libro della Vita (vedi in fig. 37)!!!
Ci dimostra la volontà di Leonardo di operare questo congiungimento il fatto che per ottenerlo ha dovuto rialzare con arricciamenti opportuni le pagine del libro oltre il limite del sarcofago-muretto.
Tutto ciò va ben oltre ogni umana dimensione:
provate infatti a seguire adesso l’intero percorso, dal libro al sarcofago su cui risiede, allo stagno, all’ uomo-angelo e quindi curvate per il ritorno lungo i sarcofaghi-muretto per poi arrivare alla Vergine e da questa all’alcova, poi da qui alla casa intera ed al cipresso e quindi di nuovo al libro:
che forma assume questo tracciato (fig. 39)?
QUELLA DEL SIMBOLO CHE DA TEMPI IMMEMORABILI SIMBOLEGGIA L’INFINITO!
Fig. 39
UN VIAGGIO NELL’INFINITO
Siamo arrivati, alla fine, a definire il senso globale di questo capolavoro, senso che lo colloca senza dubbio al disopra di qualsiasi opera d’arte prodotta in tutti i tempi e in tutte le culture.
Perché, questo eterno moto della vita, che si sviluppa all’interno dell’immensità mortuaria che domina questo freddo universo, non distingue popoli, lingue, culture, né fa distinzione tra le specie viventi della fauna nè tra quelle più basse della flora.
E non è, questa, legge che trovi limiti al di là di questa nostra piccola sfera che, roteando, si perde per l’infinità dell’universo, tutto ciò che di vita palpita in qualsiasi recondito recesso di questo “creato”, che purtroppo creato non è, non può che muoversi lungo le contorte linee individuate da questo simbolo.
Se di universalità deve nutrirsi l’arte, cosa di più si poteva fare?
FINE, NON SOLO DELLA TERZA PARTE
Alberto Cottignoli
BREVE SPECIFICA SULLE MIE QUALIFICHE (vedi poi biografia)
Allego una mail speditami da James Beck, massimo esperto mondiale di pittura rinascimentale italiana, Columbia University, New York, con cui collaborai per 5 anni, in cui egli afferma praticamente che io sarei il più grande Storico dell’Arte esistente.
Allego altresì un’intervista del Corriere a Marco Meneguzzo docente di Storia dell’Arte a Brera che sottolinea la correttezza delle mie analisi, in questo caso relative alla Madonna del Parto di Piero della Francesca
MANZONI IN VATICANO?
Cari colleghi, storici dell’arte, che leggete i capolavori antichi come se fossero tante sciocchezze perché non potete certo mettervi al pari col genio che li produsse, voi, causa l’avvilimento a cui assoggettate la grande pittura, siete i responsabili del tragico accreditarsi nel mondo delle oscene, finte ciofeche dell’arte contemporanea.
Se veramente i capolavori del passato avessero la loro giusta lettura le opere contemporanee apparirebbero in tutta la loro superficialità, faciloneria e stupidaggine, mentre l’incapacità degli addetti al mestiere di capire alcunché delle meraviglie del passato, fa si che avvenga esattamente il contrario.
Verrà il giorno in cui vedremo, in Vaticano, al posto della Pietà di Michelangelo, una scatoletta di merda, si spera almeno ben sigillata?
Ma di chi è la colpa maggiore dell’affermarsi delle porcherie dell’arte contemporanea, oltre a mercanti, critici d’arte e banche, banche che in assoluto anonimato finanziano questo lucroso disastro? I maggiori colpevoli sono i “Grandi Collezionisti”, disgraziati fabbricanti di detersivi, di sardine in scatola, di preservativi e quant’altro, spesso quasi analfabeti e privi di qualsiasi sensibilità estetica che, magari quando cascano loro i capelli rimediano in maniera geniale col “riporto”, sono loro i veri colpevoli: questa razza disgraziata non compra le opere d’arte perché “gli piacciono”, ma semplicemente perché “gli mancano”, come una moneta o un francobollo! Basta che gli si faccia credere che il pittore è famoso ed ecco che questi colossali pirla ne vogliono possedere un’opera, magari semplicemente per non essere secondi all’industriale amico più fesso di loro. Spesso manco gli interessa guardare attentamente l’opera, basta che sia dell’autore che gli manca.
Al mercato dell’arte tutto ciò non sembra vero: la più orrenda ciofeca può diventare così “oggetto artistico da collezione” cosa che permette di ridurre infinitamente le spese di acquisto presso gli artisti.
“Spruzzami una tela tutta d’azzurro con uno spray” dice il mercante all’artista “ci metti pochissimo e puoi farne 50 al giorno, se te le pago € 10 l’una guadagni € 500 al giorno (15.000 al mese) e sei ricco”.
“Io poi” prosegue il mercante “organizzo mostre, articoli sui giornali, pubblicità fittizie con prezzi finti sempre più alti e la gente si convince che sei famoso, allora arrivano quei pirla di “grandi collezionisti” ed il gioco è fatto: sono centinaia di migliaia solo in Italia e non si riuscirà nemmeno ad accontentarli tutti. E man mano che i “pirla collezionisti” abboccano, i prezzi crescono.”
Basterebbe eliminare tutti i grandi collezionisti e l’arte contemporanea tornerebbe finalmente sul binario giusto, quello determinato da chi i quadri li compra perché “gli piacciono”. Che solo questa è la motivazione corretta per acquistare un’opera d’arte.
Miei cari colleghi “Storici dell’Arte”, che non fate che ripetere stancamente ciò che dissero Berenson e Longhi (che mai, di nemmeno di un quadro capirono qualcosa) e che mi ignorate perché troppo vi spavento, a voi mi rivolgo rifacendomi allo splendido Sordi del “Marchese del Grillo” sperando che capiate la “sottile ironia”:
IO SONO CIO’ CHE PRIMA DI ME NON E’ STATO MAI E CHE DOPO DI ME NON POTRA’ MAI PIU’ VENIRE E, VOI ……. NON SIETE UN CAZZO.