Ci tengo a chiarire, prima dell'articolo, per chi non sia pratico della gestione dei restauri dei dipinti custoditi presso la Galleria degli Uffizi, che i restauri sono gestiti dall'Opificio delle Pietre Dure, un ente indipendente dagli Uffizi e che quindi qualsiasi articolo uscito sui quotidiani che afferma che l'Annunciazione è stata distrutta dagli Uffizi è errato. Sottolineo che quindi nessuna colpa hanno il Direttore degli Uffizi, Antonio Natali e Cristina Acidini (Soprintendente ai Poli Museali Fiorentini), ma che anzi, nulla di più corretto potevano fare in quanto hanno hanno affidato il dipinto all'istituto più qualificato del mondo per i restauri, appunto l'Opificio delle Pietre Dure.
Cosa poi dopo sia successo dopo non è quindi colpa loro
L'ANNUNCIAZIONE DI LEONARDO. QUELLA APPESA AGLI UFFIZI E' UNA COPIA O L'ORIGINALE COMPLETAMENTE DISTRUTTO DAL RESTAURO?
- PARTE PRIMA (di 3)-
Fig. 1 Annunciazione prima del restauro
Fig. 2 Annunciazione DOPO IL RESTAURO
Fig. 3 Annunciazione, parte sinistra prima del restauro
Fig. 4 Annunciazione, parte sinistra, DOPO IL RESTAURO
Fig. 5 Annunciazione, parte destra, prima del restauro
Fig. 6 Annunciazione, parte destra, DOPO IL RESTAURO
Dalle immagini appena osservate, ricavate dalle foto ufficiali del dipinto, quindi perfettamente rispondenti ai toni cromatici ed ai valori chiaroscurali effettivi (per le foto prima del restauro si è fatto riferimento a quelle dei Classici d’Arte Rizzoli, utilizzate, per le sue dissertazioni, dallo stesso Carlo Pedretti, Los Angeles University, massimo esperto mondiale di Leonardo, vedi “Corriere della Sera” in un articolo da lui dedicatomi, 4/12/2001, pag. 37, fig. 6ab)
Fig. 6ab
risulta evidente l’abisso che intercorre tra l’aspetto del dipinto, prima del restauro e quello dello stesso dopo il restauro.
Che qualcuno abbia sostituito l’Annunciazione di Leonardo con una copia, per giunta mal eseguita, può sembrare un’ipotesi azzardata, ma perché allora, nulla di ciò che vediamo nel dipinto appeso agli Uffizi corrisponde in alcun modo a quello che fu l’originale? Già nel 2007, in occasione del trasferimento del dipinto in Giappone per una mostra, il quotidiano “Libero” di Feltri dedicò le due pagine centrali con 7 foto a colori all’ipotesi della sostituzione (31/03/2007, fig. 6a)
Fig. 6a
rifacendosi alla mia pubblicazione “Dichiarazione d’amore” riguardante appunto il quadro sopraccitato (fig. 6b)
Fig. 6b
e lo stesso aveva fatto il settimanale “Oggi” nel 2001 con un articolo a 3 pagine sulla mia ipotesi (n. 51 del 19/12/2001, fig. 6c).
Fig. 6c
La mia pubblicazione si occupava però fondamentalmente di argomenti iconografici e trattava solo marginalmente il problema del restauro o della possibile sostituzione: questo “articolo” intende invece portare avanti un’accuratissima comparazione tra i due dipinti (quello appeso agli Uffizi e quello che prima conoscevamo) basata sull’analisi di decine e decine di particolari ingranditi, al fine di poter stabilire se di copia si tratta o di distruzioni, apportate dal restauro, malamente sanate con ridipinture approssimative.
Tale analisi farà si che anche fruitori sospettosi, che potrebbero dubitare delle varianti cromatico-chiaroscurali evidenziate dalle foto, in quanto, pure nella loro macroscopica evidenza, potrebbero essere frutto di elaborazioni computerizzate, abbandonino, già all’inizio del percorso comparativo che segue, ogni dubbio sul disastro incommensurabile che ha coinvolto questo dipinto.
Riguardo alle elaborazioni computerizzate, dimostrerò alla fine della trattazione come non io , ma siano stati invece proprio gli Uffizi stessi a cercare di mascherare il disastro proponendo tristemente nella pubblicazione “L’Annunciazione di Leonardo, la Montagna sul mare” (Antonio Natali, Silvana Editoriale) uscita allo scopo di pubblicizzare l’avvenuto restauro, una foto del quadro antecedente alla “pulitura”, non solo piccolissima (cm. 14,5 x 6,5, cosa professionalmente inconcepibile) ma vistosamente alterata nei colori e nei chiaroscuri da procedimenti computerizzati, al fine di rendere tale immagine il più simile possibile alle condizioni del dopo restauro (vedi fig. 41-42-43-44-45-46-47 - parte terza).
Sia chiaro che l’ipotesi più probabile, visto che il dipinto appeso agli Uffizi si presenta (anche alle analisi più particolari e ravvicinate) completamente diverso dall’originale che conoscevamo, è quella della sostituzione con una copia, ma non essendo stata mai denunciata questa sostituzione, compareremo i due dipinti ipotizzando che la totalità delle differenziazioni che li distinguono sia da imputarsi ad un errato restauro e spiegheremo come tali danni potrebbero essere stati appunto apportati da incredibili, clamorosi ed infiniti errori, commessi durante le operazioni di “pulitura” del quadro, augurandoci però che ciò non sia vero.
La comparazione che segue farà quindi sempre riferimento solamente al restauro, essendo noi obbligati a supporre che questa sia la causa del disastro estetico che ha coinvolto il dipinto, ma alla fine dell’analisi non potrete non prendere atto della prepotenza con cui si manifesta l’ipotesi della sostituzione con una malacopia.
Non nascondiamo però che noi speriamo vivamente di avere a che fare con una copia, perché questo ci induce almeno a sperare che l’opera di Leonardo (forse il massimo capolavoro pittorico di tutti i tempi e di tutte le culture) possa esistere ancora, pur se sepolta nel caveau di un qualche eccentrico miliardario con istinti delinquenziali, perché, in questo caso, resterebbe almeno la speranza di poter un giorno veder ricomparire, questa meraviglia dell’intelletto umano , in tutta la sua sfolgorante, inimitabile grandiosità pittorica ed ideativa.
Ben più grave sarebbe se la stupidità umana avesse provocato la distruzione di questo capolavoro, se ciò che resta cioè, delle sue spoglie dilaniate dall’acetone, si nascondesse al di sotto del grigio fantasma che tristemente ci osserva dalle pareti degli Uffizi.
Paesaggio di fondo prima del restauro DOPO IL RESTAURO
Diamo inizio a questa tragica comparazione partendo dall’analisi dei colori, prima di incredibile brillantezza e di ineguagliabile raffinatezza e che adesso sono, invece, quasi completamente scomparsi per lasciare il posto ad un triste fantasma inscurito, ma, per procedere a fare questo, è necessario spiegare, brevemente, in quale complicatissimo modo Leonardo utilizzasse la tecnica della pittura ad olio, cosa che nessuno si è mai preso la briga di fare.
LEONARDO: IL METODO
Ecco come operava il genio di Vinci: una volta riportato, su tavola o tela, il disegno preparatorio a lungo studiato sulla carta (tale disegno poteva necessitare anche di mesi di studi e ripensamenti) Leonardo procedeva ad eseguire sopra il disegno riportato, una pittura assolutamente perfetta ma utilizzando solamente i colori a olio bianco e bruno.
Il risultato finale era un dipinto, come già detto, perfetto, ma monocromatico, che si manifestava cioè, solo attraverso tutte le sfumature del bruno: un risultato che possiamo assimilare alle prime stampe fotografiche in color seppia di inizio secolo.
Nel caso dell’Annunciazione (dipinto in età giovanile) Leonardo preparò invece una base utilizzando assieme al bianco un verde-grigio.
Questo dipinse, in primis, Leonardo:
un’Annunciazione in bianco e verde-grigio, cioè priva delle varianti cromatiche.
Leonardo fece poi seccare questa base monocroma, perfettamente eseguita, (occorrevano molti e molti giorni), dopo di che preparò delle paste colorate mescolate con moltissimo olio (praticamente liquide) e cominciò a stenderle sul dipinto in bianco e verde-grigio: una pasta rossa trasparente sul mantello dell’angelo, una blu sulla gonna di Maria, una verde sul prato, etc..
A seconda della quantità di pasta colorata che stendeva, poteva ottenere maggior o minore trasparenza, ma in ogni caso restava sempre visibile il chiaroscuro di fondo in bianco e verde-grigio che però perdeva tali toni e diveniva del colore che gli era stato spalmato sopra.
Bene, una volta seccate le paste trasparenti, egli provvedeva a ripassare i chiaroscuri rinforzando le zone in ombra e le lumeggiature che erano stati indeboliti dal colore sovrapposto, con altri colori trasparenti (bianco-giallo sulle lumeggiature e bruno-verde sulle ombre), aggiungendo in questo modo un fantomatico effetto volumetrico a quello cromatico.
Dopo che anche questi ritocchi si erano seccati, chiunque vedeva il mantello dell’angelo e la gonna di Maria, senza sapere nulla del procedimento utilizzato, aveva la certezza che essi fossero stati dipinti con tutte le sfumature del rosso e del blu e così pensava di ogni altra zona in tal modo trattata:
nessuno avrebbe mai supposto che quello che vedeva fosse il risultato di due strati di colore sovrapposti.
Questo metodo non fu inventato da Leonardo, egli lo portò però ad un livello di complicazione e di perfezione che nessuno si sognò mai di eguagliare.
Il meccanismo che gli permise di realizzare effetti cromatici e tridimensionali di incredibile bellezza fu dunque questo:
l’utilizzo di superfici trasparenti colorate su un fondo monocromo già definito e sfumato.
Ma la vera meraviglia non nasceva al primo strato trasparente, infatti Leonardo, una volta seccate le prime stesure di oli colorati trasparenti, procedeva a passare, sopra a quelle, delle altre e, seccate queste, delle altre ancora e poi ancora e ancora, fino a che l’effetto cromatico di sovrapposizione non fosse divenuto di suo gradimento (personalmente sono arrivato a 14 stesure di olio colorato sulla stessa zona, è quindi difficile immaginare quanti strati arrivasse a sovrapporre Leonardo) solo allora procedeva al ritocco delle lumeggiature e delle zone scure.
Adesso possiamo capire perché la Gioconda rimase tanto tempo nel suo studio prima che il genio di Vinci la giudicasse “finita”.
Ma perché, questo metodo, risultava esteticamente molto superiore a quello normalmente usato, cioè quello di procedere alla stesura diretta sulla tela di pasta di colore molto densa (cioè non trasparente) dei colori finali desiderati, senza curarsi quindi di produrre prima una base preparatoria monocromatica?
La spiegazione è piuttosto semplice: gli strati di oli colorati divengono, una volta essiccati, estremamente simili a sottilissime lastre di vetro sovrapposte e l’occhio, quando guarda un quadro dipinto in tal modo, percepisce, a livello subliminare, di penetrare attraverso qualcosa, si rende conto cioè che quella che sta guardando non è una superficie piatta ma “sente” di avere a che fare con qualcosa che possiede un volume, sente che il suo sguardo “penetra” all’interno delle oggettualità raffigurate sulla tela ed il nostro apparato percettivo è vittima dell’illusione di trovarsi di fronte non ad una cosa “dipinta” ma ad una realtà quasi tridimensionale.
Se a questo si aggiunge l’effetto “cangiante” che si determina a seconda dell’angolazione con cui si guarda il dipinto, in quanto varia l’assetto delle superfici colorate sovrapposte (vedi la bocca della Gioconda), si può ben immaginare quale enorme differenza sussista tra le opere di Leonardo e quelle degli altri pittori.
Ricordo che quando entravo agli Uffizi, più 30 anni or sono, aspettavo solamente il momento in cui mi sarei trovato di fronte all’Annunciazione e quasi baipassavo tutte le opere che me ne separavano nelle varie sale, perché quel capolavoro, al di là delle incredibili capacità di disegno e della profondità di pensiero, trasudava una potenza cromatica inimmaginabile in qualsiasi altro quadro.
I colori parevano emanare, dalla superficie del dipinto, luccicanti al pari di quelli di un l’arcobaleno che, luminoso, si stagli contro le nuvole scure.
L’Annunciazione era il fulcro di abbaglianti colori, attorno al quale tutti gli altri dipinti, opachi pianeti ossequiosi, ruotavano, senza pretese, nell’Universo degli Uffizi.
PRIMA VISIONE DOPO IL RESTAURO
Voi non potete immaginare cosa provai quando, Natali, il direttore del Reparto Rinascimentale degli Uffizi, accompagnò me e James Beck alla sala in cui dipinto era appeso, finalmente ritornato al suo posto dopo il restauro, ma se ne fuggì sulla porta prima che entrassimo e avessimo il tempo di vederlo e noi ci ritrovammo così davanti ad una cornice che, sul principio, io non riuscii nemmeno a capire che cosa contenesse.
Davanti a me stava un cadavere privato di ogni colore, un corpo cromaticamente immoto a cui qualcuno, disperatamente, aveva tentato di restituire una qualche parvenza di vita.
La cornice, assimilata alle bare che occhieggiano dalle vetrine delle Pompe Funebri, non conteneva adesso, nient’altro che una povera salma, oscenamente imbellettata da novelli beccamorti nostrani, emuli di quelli d’America, da sempre disperatamente intenti, con pennelli e tinture loro, a cercar di convincerci che, nei corpi defunti, ancora balbetti la vita.
Cos’era successo?
La prima impressione era quella di trovarsi di fronte ad una copia mal fatta, ma molto probabilmente, era accaduto questo: qualcuno aveva tamponato con soluzioni di acetone tutta la superficie del quadro ed aveva distrutto quasi tutti gli strati di oli colorati che il povero Leonardo aveva steso sul dipinto!
La base in bianco e verde-grigio che egli aveva amorosamente ricoperto di strati colorati fino a renderla non più percepibile se non attraverso il delicatissimo “sfumato” che conferiva in trasparenza alle velature colorate, era riemersa in tutta la sua tragica, inquietante scurezza.
Come si era potuto procedere in modo così dissennato? Semplicissimo, sicuramente si era pensato che il quadro fosse dipinto con la stessa tecnica dei quadri moderni, cioè con un semplice, unicissimo strato di colore e, per giunta, di grosso spessore (la pittura contemporanea si distingue infatti per ciò che viene demenzialmente definita la sua “matericità”, cioè per il fatto di essere costituita da semplici, unici strati di colore di uno spessore che spesso supera addirittura il centimetro). Certamente su queste croste contemporanee di spessore grossolano ed animalesco è possibile agire anche con acetone puro senza alterare in alcun modo la resa cromatica del dipinto, ma poter pensare di fare la stessa cosa su degli strati finissimi di oli colorati senza produrre effetti devastanti è pura follia: la tragedia è inevitabile e vorrei aver visto la faccia del caro Natali quando i tamponi imbevuti di solvente furono tolti da sopra il quadro ed il disastro prodotto apparve in tutta la sua macroscopica, irrimediabile dimensione.
ATTENZIONE ALLA PRIMA IMPRESSIONE
Non mi attarderò qui nell’analisi della sconsiderata perdita cromatica che ha subito il dipinto: il massacro è evidente dalle foto, una cosa sola devo specificare, e cioè che avendo provveduto, i restauratori, a ridipingere quasi in toto la superficie del quadro, che era in certi punti molto danneggiata, la definizione dei bordi delle figure e degli oggetti ed il loro colore compatto, unicamente frutto del restauro, possono, far sembrare più perfetta, ad un osservatore non preparato, la versione attuale, in quanto confrontata con le foto di un dipinto che aveva subito, per ben 500 anni, le ingiurie del tempo e degli uomini.
Sorvolando sul fatto che anche “solo” per l’abominio cromatico subito, il dipinto leonardesco era da considerarsi completamente perduto, ci rendiamo poi conto che i restauratori hanno infierito ulteriormente in modo gravissimo ed inconcepibile su questo capolavoro: non è bastato ai restauratori trasformare la calda atmosfera di alba dorata che pervadeva il dipinto(probabilmente di un luminoso mattino toscano) in un gelido e grigio paesaggio di fiordo norvegese:
cose incredibili sono accadute, e ci accingiamoci adesso ad analizzare le centinaia di particolari (anche di grandissima estensione) che i restauratori hanno fatto sparire o tragicamente ridipinto in maniera errata.
LA PARTE SUPERIORE DELL’ ANGELO
La comparazione tra le foto che vedrete a fig. XA e YA, è veramente da paura e mi chiedo come sia possibile credere di trovarsi di fronte allo stesso quadro. O siamo di fronte ad una copia oppure non si riesce assolutamente ad immaginare come un intervento di restauro possa aver modificato in tale oscena maniera un dipinto. Perché la comparazione sia ben fruibile anticiperemo due foto appaiate di piccole dimensioni (fig. X e fig. Y)
Fig. X DOPO IL RESTAURO
Fig. Y prima del restauro
Di nuovo premurandoci di ricordare che queste foto rappresentano le condizioni effettive del dipinto (come già detto, quella del dopo restauro è quella ufficiale degli Uffizi e quella del prima del restauro è la medesima dei Classici d’arte Rizzoli che lo stesso Pedretti, massimo esperto mondiale di Leonardo, utilizza per le sue argomentazioni).
Fig. YA prima del restauro
Che Leonardo avesse passato sulla veste dell’angelo uno strato di beige molto chiaro e trasparente è ben evidente dal confronto tra le due condizioni del dipinto: la veste prima del restauro ha un colore caldo (fig. YA) assolutamente agli antipodi del freddo biancore di quella che vediamo dopo il restauro (fig. XA). E’ superfluo aggiungere che tale strato di beige è stato completamente ed accuratamente asportato (fig. XA).
Ma passiamo ad esaminare particolari la cui abnormità non risulta credibile nemmeno ad osservazione diretta.
Possiamo tragicamente vedere come il colore dell’ala fosse, prima del restauro, di un beige chiaro (fig. YA, part. G) e come invece, dopo il restauro, sia incredibilmente diventata verde (fig. XA).
Fig. XA DOPO IL RESTAURO
La cosa acquista però un’evidenza macroscopica nel confronto con la foglia verde sottostante (fig. YA, part. C): prima del restauro la foglia risalta in pieno contrasto con l’ala mentre dopo, divenuta dello stesso colore, rischia invece di confondersi con l’ala medesima (il contrasto avveniva perché la velatura beige passata sull’ala era ottenuta con una mistura di marrone e bianco, ma essendo il marrone ottenuto mescolando verde e rosso, ed essendo il rosso un colore antagonista del verde, si determinava un’evidente reazione ottica di contrasto tra il verde della foglia e il rosso contenuto nel beige ottenuto dal marrone diluito).
Ovviamente il restauro ha asportato interamente la velatura beige dell’ala,mettendo così a nudo la preparazione di fondo bianco-verde che adesso fa tutt’uno col colore della foglia.
Questo effetto viene poi portato al parossismo nella zona B (fig. YA) dell’ala dove Leonardo aveva abbondantemente usato un colore rosso-bruno: l’effetto contrasto con la foglia adiacente, come possiamo apprezzare, era enorme in quanto i colori rosso e verde (come già sottolineato) sono nettamente antagonisti, mentre dopo il restauro la zona B, da rosso-bruno che era, è diventata addirittura verde scuro ed ora la foglia non solo non contrasta più con questa parte dell’ala ma si confonde nettamente con essa. La tragedia è immane perché qui le mutazioni non riguardano tinte similari ma avvengono sostituzioni con colori che sono l’esatto opposto nella scala dei valori cromatici. Siamo all’assurdo totale!!!!
Ma un’altra tragedia la possiamo accertare comparando i risvolti verdi del mantello dell’angelo: prima del restauro tale abbondante risvolto era vastamente ricoperto di ritocchi chiari per renderne la natura traslucida e infatti l’effetto pittorico ad altissimo livello era quello della seta o del raso (fig. Y), dopo il restauro sono sparite completamente le zone luminose e il risvolto pare adesso di opacissimo panno (fig. X).
Il bello è che non è finita qui! Anche il nastro stretto al braccio dell’angelo era di colore beige prima del restauro (fig. YA, part. E-D) mentre, dopo, anch’esso è diventato verde!!! Che la velatura di beige che Leonardo aveva passato sul nastro si fosse leggermente deteriorata e mostrasse, da sotto i cedimenti, qualche riflesso verde, era cosa visibile, ma il restauro avrebbe dovuto reintegrare le zone di beige decadute, non certo operare demenzialmente in senso contrario asportando invece tutto lo strato di colore beige!!!!
Notiamo poi ancora come l’ala nelle zone H (fig. YA) fosse bruna mentre adesso si presenta verde scuro.
Dulcis in fundo, il colletto,che era verde prima dei restauri (fig. YA, part. F), è adesso invece di un grigio azzurrastro .
LE LASTRE DI PIETRA CHE INCORNICIANO MARIA
Proseguiamo con l’asportazione di particolari drammaticamente più estesa, quella che riguarda le lastre decorative di pietra della casa che incorniciano Maria:
FIG. 7 prima del restauro
Fig. 8 DOPO IL RESTAURO
Fig. 9 prima del restauro Fig. 10 DOPO IL RESTAURO
Fig. 10a prima del restauro
Fig. 10b DOPO IL RESTAURO
come si può ben vedere il disastro è incommensurabile, nel dipinto originale (fig. 7 e 9) tutte le lastre erano state accuratamente maculate da Leonardo, al fine di dar loro una struttura venata pseudo-marmorea, mentre dopo il restauro (fig. 8 e 10), di queste venature non resta più la minima traccia.
La maculazione fu ottenuta dipingendo con colori pseudo trasparenti su una base grigia, colori di cui l’acetone non ha risparmiato nemmeno le tracce, riportando così alla luce la base acromatica della preparazione iniziale.
La fig. 10a poi, oltre ad evidenziare le venature dipinte da Leonardo, evidenzia come egli, oltre alle venature, avesse dipinto anche delle piccole irregolarità, quasi delle piccole mancanze atte a rendere la porosità della pietra e l’usura del tempo, mentre la fig. 10b evidenzia come tutto ciò sia completamente scomparso.
La sensazione nettissima è quella di trovarci, adesso, di fronte a dei compatti blocchi di calcestruzzo appena posti in loco.
Se di copia non si tratta ma di restauro errato, l’entità e la vastità del danno sono tali da giustificare un intervento immediato della magistratura.
LE PIEGHE DELLA VESTE DI MARIA CHE COMPARE DA SOTTO IL MANTELLO
Fig. 11 prima del restauro
Fig. 12 DOPO IL RESTAURO
Vediamo poi un’altra cosa che ha dell’assurdo e che, se solo raccontata, non sarebbe creduta da nessuno: prima del restauro le pieghe della gonna rossa di Maria che emergono in basso da sotto il mantello (fig. 11 part. A e B) sono ben 10, mentre dopo il restauro (fig. 12) non ne rimane che una sola!!!!
Nove, dico nove, pieghe su dieci sono completamente scomparse!!
Alberto Cottignoli
FINE PRIMA PARTE (di 3)