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1 gennaio 2013 2 01 /01 /gennaio /2013 16:33

"MADONNA DEL PARTO" DI PIERO DELLA FRANCESCA:

AD APRIRE LA TENDA NON SONO ANGELI, MA UN UOMO ED UNA DONNA ALATI, LA CUI NATURA RIVELA IL  GRANDIOSO SEGRETO CHE QUESTO AFFRESCO NASCONDE.

 img269                     FIG. 1

Ci tengo ad anticipare che quanto rivelato in questo articolo fu oggetto di una mia pubblicazione: “Il segreto di Piero”, Lalli Editore, Siena 2000, nonché di una conferenza a Monterchi (sede della Madonna del Parto) da me tenuta il 9/12/2000 assieme al dott. Marco Meneguzzo, docente di Storia dell’Arte presso l’ Accademia di Brera (MI), che intervenne per sostenere l’assoluta certezza scientifica della scoperta da me fatta. Medesima cosa il dott. Meneguzzo sostenne successivamente in un’intervista pubblicata dal Corriere di Ravenna (vedi articolo a fig. 2).

      FIG. 2

Ma passiamo ad un’analisi di questo affresco un po’ più seria di quelle, piuttosto superficiali, che lo hanno interessato in questi 500 anni.

Non possiamo non rilevare l’evidenza, già storicamente riconosciuta, del fatto che Piero ottenne le due figure degli angeli che aprono la tenda (fig. 1) applicando alla parete lo stesso cartone rovesciato (il che già sottende a sottolineare un’unità formale che lega i due personaggi) e non possiamo non rilevare che la “trovata” sia di per sé artisticamente discutibile in quanto sembra indicare la volontà dell’artista di risparmiarsi del lavoro.

Bene, anticipato che qualsiasi committente si sarebbe sentito preso in giro dall’utilizzo di un cartone rovesciato, sarebbe bastato a Piero cambiare l’angolazione e la posizione delle braccia e disporre magari una delle due teste di profilo per eliminare il problema e impedire che si capisse che era stato utilizzato lo stesso cartone (è un espediente che i pittori usano comunemente), Piero insistette invece in maniera maniacale nel lasciare assolutamente identiche tutte le parti fondamentali dei due angeli (esaltò addirittura la loro identità con l’uso incrociato di colori complementari) ed agì invece su particolari differenzianti così minuti da non essere mai stati rilevati addirittura nel corso di 500 anni (evidenzierò in seguito questi particolari).

Perché, a questo punto ci chiediamo, Piero non differenziò parti di grande visibilità al fine di non incappare nell’accusa di essere un incapace o uno scansafatiche, ma operò invece con grande impegno ed insistenza delle varianti minute all’interno delle figure (di cui nessuno finora si era addirittura mai accorto) premurandosi di lasciare il loro contorno fondamentale assolutamente identico?

Pensare che Piero volesse ottenere un’esatta simmetria fine a sé stessa è assurdo ed è ipotizzabile solo nella nostra epoca, che ci ha abituato a considerare artistica la ripetitività ossessiva e demenziale di un’immagine: all’epoca di Piero la ripetitività speculare era interpretata solamente come spropositata incapacità di gestire i rapporti tra le figure, un errore colossale quindi, che in tutte le botteghe si insegnava anche agli allievi di primo pelo ad evitare accuratamente.

Eliminata dunque la possibilità che questa perfetta specularità sia un espediente di valore estetico (anzi, accertato che trattasi del contrario e cioè di grave errore estetico): perché Piero operò lo stesso in tal modo? E perché il dipinto, invece di essere denigrato per questa sua caratteristica, fu osannato come inarrivabile capolavoro?

Non è difficile capire, a questo punto, che la perfetta specularità degli angeli doveva nascondere una motivazione a noi ignota ma ben conosciuta all’epoca in cui l’affresco fu eseguito.

Di questo infatti ci occuperemo nelle pagine che seguono: scoprire la motivazione che giustifica questa perfetta specularità che Piero perseguì con tanta determinazione.

La prima caratteristica che ci indirizza sulla giusta via per comprendere le vere motivazioni del genio di Sansepolcro è rappresentata dal colore con cui egli decise di dipingere i personaggi che aprono la tenda: il verde e il rosso, cioè due colori complementari la cui valenza finale vedremo in seguito.

Credo sia inutile sottolineare come, ancora ai nostri tempi ed in gran parte del mondo, si utilizzino, per caratterizzare la differenza dei sessi, due colori complementari che sono solitamente un azzurro-verde (maschio) e un rosa-giallo (femmina). Se a questo aggiungiamo che la complementarietà è caratteristica tipica e primaria degli esseri umani di sesso diverso, mentre non c’entra assolutamente nulla con gli angeli (che si concretizzano in individualità identiche le une alle altre) possiamo rilevare quanto meno una certa stranezza nella decisione di Piero di dipingerli in tal modo.

                                FIG. 3                                        FIG. 4

Viepiù ci inquieta però, il fatto che i colori complementari sono stati usati ad incrocio, infatti l’ angelo con veste verde ha le ali rosa e le calze rosse (fig. 3 , part. B e E  ) e l’altro con veste rossa ha ali verdi e calze verdi (fig. 4, part. D), cosa che aumenta enormemente, da un punto di vista subliminare, la propensione ad unificare le due figure (già determinata dall’essere originate da uno stesso cartone).

Se la cosa si esaurisse qui potremmo pensare di trovarci di fronte ad un caso, ma ci si rende ben presto conto che non è così, Piero usò ben altri espedienti per farci capire che ci troviamo di fronte a due entità complementari, e si tratta a questo punto di espedienti indiscutibilmente geniali.

Piero dipinse infatti un’ala rosa e una verde in massima estensione sul piano della parete in modo da dargli la massima visibilità (fig. 3 e fig. 4 ) mentre le altre due ali (fig. 3, part. A e fig. 4, part. E  )le ridusse invece al minimo, rendendole appena percepibili dietro le spalle dei due angeli: alla visione d’insieme le due figure sembrano così avere un’unica ala, l’uno verde e l’altro rosa, cosa che di nuovo aumenta la tensione alla complementarietà delle due figure.

Ma non è questa la trovata più geniale, Piero procedette in modo simile anche nella resa delle le braccia: dipinse il braccio sinistro (per chi guarda) delle figura di sinistra in completa evidenza nella sua estensione verso l’alto (un procedimento non dissimile da quello utilizzato per le ali che sono  visibili in completa estensione) e la stessa cosa fece col braccio destro dell’angelo di destra (sempre per chi guarda), poi studiò un espediente grandioso per far si che nella visione d’insieme la percezione delle altre due braccia degli angeli venisse ad essere inibita, esattamente come aveva fatto con le ali appena visibili di scorcio dietro le schiene.

Di questo espediente abbiamo addirittura la prova, determinata dall’assurdo, caotico ammassarsi delle vesti sui fianchi degli angeli (fig. 3 – 4, particolari F) : questi ammassi di stoffa sono profondamente antiestetici e soprattutto non si capisce per quale motivo Piero li abbia dipinti (la cosa triste è poi che nessuno sembra esserselo nemmeno mai chiesto).

Solo ad un attento esame infatti, si capisce la dinamica che giustifica quelle masse che sono decisamente agli antipodi del senso estetico: si tratta della parte di veste che normalmente ricade sopra la cintura, stretta in vita nelle normali  raffigurazioni delle tuniche  angeliche, parte di veste che invece, in questo caso, è stata sollevata dal braccio col suo movimento dal basso verso l’alto per aprire la tenda, trascinata in alto  e ammassata all’altezza dei fianchi.

Ci si chiede allora: per quale motivo Piero si arrovellò tanto nell’ideare questo procedimento dinamico (la pressione del braccio che solleva la veste) non solo inutile ma anche errato, in quanto atto a produrre un effetto antiestetico?

Piero non era un cretino, se così operò doveva avere un motivo, ed il motivo lo ritroviamo quando andiamo ad esaminare, in entrambe le figure, l’orlo della manica del braccio che sostiene la parte bassa della tenda:

quest’orlo della manica coincide infatti col proseguo del profilo della stoffa ammassata sui fianchi (fig. 3, part. D e fig. 4, part. C).

Non possono sussistere altre spiegazioni: Piero inventò quelle masse anomale per far si che il loro profilo proseguisse con quello dell’orlo delle maniche su un’unica linea.

Perché? Ci arriveremo, ma mi preme anzitutto sottolineare che della sua volontà abbiamo anche la prova: far proseguire due profili appartenenti a masse differenziate anche per appartenenza a piani prospettici diversi, rappresenta infatti un colossale errore pittorico di cui Piero non può non essersi reso conto: di qui la necessità che egli aveva di procedere in tal modo per rispondere ad altre necessità.

Vorrei anche sottolineare come il commettere “errori” volontari nella dinamica di un quadro rappresenti la prova tangibile che il pittore (un "grande" pittore, naturalmente) ci lascia del fatto che l’immagine dipinta ha anche altri significati diversi da quelli percepibili di primo acchito.

Ma arriviamo al dunque, perché Piero commette ben due errori, quello di arricciare inesteticamente la veste e quello di far proseguire i due profili?

Per capire dobbiamo tornare all’ala di scorcio: per portare a compimento la tensione subliminare al completamento reciproco delle due figure Piero doveva adesso annullare anche la percezione di due delle braccia delle figure, come aveva fatto con le ali di scorcio, e far sembrare che i due angeli avessero un braccio solo, cioè quello sollevato in alto.

Per ottenere questo risultato Piero sovrappose interamente al corpo degli angeli le loro due braccia tese verso il basso in modo che (verde su verde e rosso su rosso), ad una visione globale, le braccia fossero scarsamente percepibili, ma dovendo mantenere le figure entro margini estetici accettabili, non poteva non far uscire una parte della manica dalle vesti, a coprire parte dei polsi delle mani che teneva no, in basso, la tenda: ma quei pezzetti di manica che fuoruscivano dalla veste rivelavano la struttura delle braccia e riaccendevano la percezione di tutta la manica annullando in gran parte l’effetto mimetico, cioè la virtuale “sparizione” del secondo braccio sovrapposto alla veste dello stesso colore.

Per sminuire la percezione generale del braccio, Piero doveva far rientrare anche quei frammenti di manica nel contesto della massa cromatica di tutta la veste e procedette in modo geniale inventandosi, appunto, quello strano ammassamento sui fianchi:

vediamo infatti come le parti di manica emergenti vicino al polso si integrino con la parte di veste raccolta in vita e perdano gran parte del loro impatto percettivo. Basta eliminare l'ammasso sui fianchi per rendersi conto di come quelle maniche emergenti dalla veste avrebbero, nella visione d’assieme, esaltato l’individuazione delle braccia che Piero voleva invece nascondere.

Sulla volontà del genio di Sansepolcro di voler produrre due figure complementari non possono quindi sussistere dubbi, a meno che non si voglia pensare che gli errori sopraccitati siano dovuti ad asinina incompetenza, ma qual’era lo scopo che tutto questo si prefiggeva?

Prima di arrivare alla spiegazione finale occorre un passaggio intermedio che ci convincerà del tutto (se ce ne fosse bisogno) della natura complementare delle due figure e per far questo dobbiamo ad analizzare il drappeggio sul petto dei due “angeli”.

Già arrivati a questo punto posso immaginare che una persona normale stenti a credere che un cervello umano possa essere capace di simili complesse elucubrazioni, ma dobbiamo pensare che abbiamo a che fare con persona non solo di genio, ma che a differenza di chi legge si è esercitato per anni e anni nella pratica del disegno e di tutte le sue varianti e possibilità: siamo alla presenza dell’operato di un cervello le cui capacità dinamico-figurative sono del tutto aliene ad una mente che mai si è cimentata nel campo del disegno e della pittura (rinascimentali, naturalmente, non certo del disegno e pittura contemporanea, esercitati oramai, fin dagli insegnati di Accademia, senza alcuna preparazione o conoscenza tecnica vera).

La medesima impressione di un lettore privo di esperienza in questo campo, potrebbe averla una persona che, ignara dell’esistenza della bicicletta, cercassimo di convincere che è possibile rimanere su di essa in equilibrio e addirittura con quella cimentarsi in una serie di acrobazie: tale persona, al primo tentativo, una volta precipitata sull’asfalto, correrebbe inviperita a curarsi le sbucciature, convinta non solo dell’impossibilità di poter utilizzare quel mostro coi pedali, ma anche della completa pazzia di chi sosteneva che ciò era possibile.

Purtroppo è da questa prospettiva che la maggior parte dei critici (completamente ignari di pratica pittorica e disegnativa) osserva le opere d’arte.

Mi limiterò ad aggiungere che la mia grande pratica di disegno e di tecniche pittoriche mi permette invece di avere la sicurezza che Piero operò in piena grandiosa coscienza le varianti pittoriche sopraccitate e che fu questo suo modo di procedere (di cui i contemporanei, sicuramente la cultura umanistica, furono pienamente coscienti) a farlo riconoscere per il genio di cui ancor oggi si tramanda la memoria.  

Ma torniamo al drappeggio sul petto degli angeli.

                FIG. 5                                                           FIG. 6

E’ evidente che nella figura di sinistra è presente un solco al centro del petto che sottende a due protuberanze laterali, solco che possiamo individuare dall’andamento dei drappeggi: il drappeggio B (fig. 5) si affianca e tende a scomparire infatti sotto quello A (fig. 5) nel punto C (fig. 5), che si trova esattamente sulla verticale centrale del petto, ad indicare la presenza di un solco, mentre tutti i drappeggi a sinistra piegano verso il centro del petto in un movimento curvilineo atto sottendere una protuberanza alla sinistra del petto (per chi guarda).

Come se non bastasse, dal drappeggio A (fig. 5) si diramano poi tre strane, piccole pieghe dirette verso destra (fig. 5, part. H) a sottendere, al di qua del solco centrale, la parte a scendere verso destra di un’altra protuberanza, questa volta a destra del solco, compressa dal braccio. La dinamica di questo drappeggio è talmente complessa che non è assolutamente possibile attribuirla al caso, ma una cosa ci da l’assoluta certezza della volontà di Piero di mostrarci le protuberanze di due seni:

il drappeggio sul petto dell’altro “angelo”.

Possiamo notare infatti, in questa seconda figura, lo sforzo che Piero fece per produrre un drappeggio assolutamente verticale che sottintendesse invece, in questo caso, ad un’estrema piattezza e all’assoluta assenza di qualsivoglia protuberanza (fig. 6, part. C).

A questo punto la volontà del genio di Sansepolcro di dipingere un uomo ed una donna e non due angeli diventa evidente, ma altre prove annulleranno ogni possibilità di dubbio.

Se controlliamo infatti i punti in cui il collo dei due “angeli” si collega alle spalle,

FIG. 7

 FIG. 8                                                                

abbiamo una nuova sorpresa: nella figura di sinistra il punto di attacco quasi non sussiste soprattutto a destra (per chi guarda, fig. 7, part. A), dove vediamo la linea del collo proseguire nella spalla con una leggera curvatura assolutamente priva di punti di raccordo. Lo stesso vediamo poi accadere a sinistra (per chi guarda), dove l’attacco collo – spalla, di nuovo scorre lungo una morbida curva (fig. 7, part. B)  mentre nella figura di destra i raccordi tra spalla e braccio sono ben identificati da due spigoli (fig. 8, part. A – B), soprattutto a sinistra (per chi guarda) dove il collo si congiunge alla spalla formando quasi un angolo retto (fig. 8, part. A).

Bene, a questo punto è opportuno chiarire, a chi non abbia dimestichezza con il disegno, che fin dal V secolo avanti Cristo i pittori greci ben sapevano che l’attacco collo delle donne doveva scorrere verso il basso, formando un tutt’uno con le spalle, mentre nell’uomo lo stacco spalla doveva essere evidenziato con un innesto ad angolo.

Per quale motivo? Semplicissimo: la linea appena ricurva esalta la continuità del collo con la snellezza sinuosa del corpo femminile privo di muscolature evidenti, mentre l’innesto del collo maschile avviene su una spalla caratterizzata da un forte rialzo orizzontale dovuto alla struttura muscolare prospiciente, il che produce un manifesta angolazione di innesto.

Nella pittura vascolare greca la cosa è di un’evidenza macroscopica  e se vogliamo passare a tempi più recenti, basta guardare i dipinti del rinascimento per rendersi conto di come si dipingesse in questa identica maniera il raccordo collo-spalla delle donne e degli uomini (per le donne abbiamo un esempio eclatante nella Venere del Botticelli).

Piero ottenne poi, con questo espediente, un altro importantissimo risultato: l’allargamento, nella figura di destra, della spalla sinistra (per chi guarda)!

Se nelle riproduzioni la differenza tra questa spalla e quella corrispondente della figura di sinistra è appena rilevabile in quanto si tratta di pochi millimetri, ben diversa si presenta la cosa quando ci si trova di fronte all’originale, dove la differenza si manifesta in centimetri: la figura di destra viene chiaramente percepita con le spalle molto più larghe (non esiste persona che non abbia subito percepito, davanti all’originale, l’imponenza che tale spalla ha nei confronti di quella dell’angelo di sinistra).

Penso sia superfluo aggiungere che sono gli uomini ad essere contraddistinti da spalle di maggiore larghezza. 

Ma le distinzioni tra i due sessi operate da Piero non si fermano qui e giungono a coinvolgere anche i volti dei due personaggi:

nella figura di sinistra (femminile) notiamo che i capelli giungono fino a metà delle orecchie mentre in quella di destra si fermano nettamente al disopra delle stesse,

                         FIG. 9

                           FIG. 10

sono cioè più lunghi (come deve essere) nell’individuo di sesso femminile (fig 9 e 10, particolari C) . Se poi osserviamo le labbra ci accorgiamo che esse si presentano più carnose e con la “V”,  che caratterizza il centro del labbro superiore (fig. 9 e 10, particolari B), più puntuta ed incisiva nella figura di destra (si fa presente a chi sia ignaro di anatomia facciale che l’uomo ha i lineamenti molto più marcati della donna e che questo sottende ad una maggiore carnosità delle labbra e ad una maggiore definizione della “V” sopraccitata; non lasciamoci suggestionare dai rossetti che le donne usano per simulare una maggiore carnosità delle labbra e per rafforzare l’incisività della “V” centrale).

Ancora vediamo come i segni superiori delle palpebre siano molto più marcati nella figura di sinistra (fig. 9, part. D)e questo è determinato da una caratteristica tipica femminile: la donna ha normalmente gli occhi più grandi dell’uomo, ma questo non perché siano più grandi le dimensioni del bulbo, ma semplicemente perché i suoi occhi sono più aperti e ciò determina una maggiore compressione in alto delle palpebre e quindi un maggiore infossamento della loro linea superiore di demarcazione.

Lo stesso dicasi per le pieghe delle palpebre inferiori sottostanti alla parte centrale dell’occhio (fig. 9, part. D): sono anch’esse determinate dalla maggiore apertura della palpebra inferiore e le ritroviamo infatti, e assai incisive, sempre sotto gli occhi della figura di sinistra.

Del naso è più complesso parlare perché la parte destra (per chi guarda) di quello femminile risulta alterata da un restauro, una cosa però possiamo notare, e cioè che Piero dipinse il naso di sinistra con i segni delle narici (fig. 9, part. A)che rientrano quasi orizzontalmente  verso il setto nasale e quello di destra con i segni delle narici meno incisivi e tendenti verso l’alto (fig. 10, part. A). Si suppone che Piero abbia voluto distinguere il naso dell’uomo da quello della donna cercando di rappresentare il primo più affilato e prominente come si presenta di solito nella realtà, ma in questo caso l’unica certezza che abbiamo è che volutamente li rappresentò di diversa forma, manifestando quindi, la volontà di rappresentare due entità distinte.

Chiarito quanto sostenni nella mia pubblicazione e in conferenza col dott. Meneguzzo ed eliminato ogni dubbio sull’intenzione di Piero di dipingere non due angeli, ma un uomo ed una donna alati, passiamo adesso a concludere, definendo le motivazioni basilari che spinsero il genio di Sansepolcro ad agire in tal modo.

Premetto che all’epoca della conferenza ero già arrivato a questa conclusione, del resto parzialmente esplicitata nell’illustrazione di copertina della mia pubblicazione (fig. 11),

                               FIG. 11

ma preferii non divulgarla in quanto tale motivazione rivoluzionava completamente il senso che fino ad oggi è stato attribuito a questo dipinto di Piero.

Ritengo però che la verità, per cruda che sia, debba in ogni caso essere rispettata, soprattutto se di questa verità è responsabile uno dei più grandi geni che la Storia della pittura abbia conosciuto.

Quella che esporrò in seguito non è in fondo che l’opinione di un uomo (Piero) e non siamo certo obbligati ad prendere per vero ciò che ci viene da lui comunicato, solamente non dobbiamo dimenticare che si tratta del pensiero di un genio, di una persona cioè, di una dimensione mentale talmente grandiosa da permettergli addirittura di anticipare quella meraviglia che fu il Rinascimento e di vivere appieno, ante litteram, la spropositata carica umanistica che fece, di questo periodo, culturalmente ed artisticamente, il più fecondo che il mondo abbia mai conosciuto.

Per capire dove Piero voleva arrivare, è necessario prima prendere in considerazione le immagini a fig. 12  e a fig. 13,  

                                       FIG. 12

                                                           FIG. 13

Immagini che pochi adesso sono in grado di identificare:

si tratta dell’ “Androgino Filosofico”, la divinità adorata dagli umanisti in sostituzione a quella del Cristo.

Questo personaggio (adorato non solo dagli Umanisti ma anche dagli esoterici) rappresentava l’unione dei contrari, cioè l’essenza pura della conoscenza scientifica, conoscenza basata su un empirismo ante litteram che solamente accettava quanto fosse comprovabile scientificamente attraverso esperienza e che non accettava alcuna differenziazione all’interno del “concetto” ma lo concepiva come un’unica entità anche se manifestantesi con caratteristiche opposte. L’esatto contrario della religione cristiana la cui  base filosofica fondamentale si impernia invece sulla contrapposizione estremizzata di “bene” e “male”.

Bene, non credo sia difficile adesso, visto come veniva rappresentato l'Androgino Filosofico ed il senso profondo che questo "personaggio" ebbe durante il periodo in cui il nostro genio visse, comprendere che egli, in fondo, per realizzare le figure degli “angeli” non fece altro che separare in due l’Androgino Filosofico:  questo enigmatico personaggio si presenta infatti, come  le figure da Piero dipinte, contraddistinto dai colori verde e rosso, con una sola ala verde ed una sola rossa, con due sole braccia e, dulcis in fundo, con due teste, una maschile ed una femminile.

Possiamo notare come anche nell’immagine a fig. 12 , che è quella che più si avvicina alle figure utilizzate da Piero per aprire la tenda, la differenza fra i personaggi maschile e femminile sia molto labile (come avviene nell'affresco di Piero), infatti i copricapi sono pressoché identici e non si sono volutamente operate delle distinzioni evidenti tra i sessi (come avviene invece in fig. 13), al fine di esaltare l’estrema similitudine esistente tra i personaggi unificati.

Solo il copricapo che discende sulla nuca e lascia maggiormente scoperta la fronte, i lineamenti più minuti e la spalla pertinente di sinistra più stretta, ci permettono di distinguere, a sinistra, la parte femminile dell’Angrogino Filosofico (faccio notare come anche Piero utilizzi l’espediente della spalla più larga nel personaggio maschile).  

La prova che le due figure da lui dipinte ai lati della tenda sono il risultato della separazione dell’ Androgino Filosofico, ce la fornisce poi, la dinamica sottesa dalla postura che esse hanno all’interno dell’affresco:

queste figure hanno chiaramente appena aperto la tenda, ma provate a pensare dove invece erano posizionate al momento di dare inizio a tale operazione!

Esse si trovavano praticamente tra loro sovrapposte al centro del quadro con i lembi della tenda tra le mani!

Piero fece di tutto perché tendessimo a riunire le due figure, a livello subliminare, perchè rientrassero  in possesso dell’ala e del braccio mancanti e perché  raggiungessero la completezza dello spettro solare attraverso la somma dei loro colori complementari;  ci fece poi capire che esse figure rappresentavano un uomo ed una donna, quindi  ci fece anche capire che la loro posizione antecedente da cui deriva quella in cui si trovano, faceva si che esse si trovassero affiancate, se non sovrapposte, a conformarsi proprio nell’aspetto e nei cromatismi dell’ Androgino Filosofico!

Ma cosa, esattamente, volle significare Piero con questo affresco?

Egli intese lanciare un messaggio disperato agli uomini del suo tempo perché capissero in quali tragiche condizioni l’Umanesimo nascente veniva a trovarsi,  prevaricato da una Chiesa che ne negava i principi  scientifici basati sull’esperienza empirica e che perseguitava in tutti i modi coloro che dell’Umanesimo seguivano le dottrine.

Questo affresco accusa esplicitamente il cristianesimo di aver diviso l’androgino filosofico e di averlo asservito, attraverso la Chiesa, ai propri scopi. 

Ce lo rivela già il volto tristissimo di Maria, qui ritratta come donna tra le donne (umanissima popolana), volto tristissimo perchè si rende conto che Colui che sta per procreare separerà, con la sua dottrina, l’Androgino Filosofico, e che, attraverso la Sua progenie, cioè la Chiesa, osteggerà con la massima violenza la conoscenza scientifica e ogni forma di conoscenza empirica e non solo, ma che, come già detto sopra, renderà schiavo l’androgino stesso, oramai separato, e lo asservirà ai suoi voleri.

Cosa ci poteva essere di più tragico della raffigurazione di questa grandiosa divinità umanistica (l’Androgino Filosofico) trasformata in una squallida coppia di pedissequi servi, addetti addirittura all’esposizione ed all’esaltazione della “ grandezza” della Chiesa?

E tutto questo espresso attraverso un’immagine di una semplicità e di un’immediatezza percettiva che al primo sguardo nulla paiono rivelare della intrinseca, grandiosa  complessità che travaglia tutto il dipinto.

Adesso finalmente possiamo capire perché questo affresco fu giudicato dai contemporanei di immensa importanza (e perché Piero stesso assurse alla qualifica di “genio”) e perché sempre fu salvato dalla distruzione, che colpì invece quasi tutte le altre Madonne incinte dipinte nel corso della storia della pittura.

Alberto Cottignoli

           

BREVE SPECIFICA SULLE MIE QUALIFICHE (vedi poi biografia)

Allego una mail speditami da James Beck, massimo esperto mondiale di pittura rinascimentale italiana, Columbia University, New York, con cui collaborai per 5 anni, in cui egli afferma praticamente che io sarei il più grande Storico dell’Arte esistente.

Allego altresì un’intervista del Corriere a Marco Meneguzzo docente di Storia dell’Arte a Brera che sottolinea la correttezza delle mie analisi, in questo caso relative alla Madonna del Parto di Piero della Francesca 

PIERO DELLA FRANCESCA, “MADONNA DEL PARTO”: IL SEGRETO CHE QUESTO AFFRESCO NASCONDE
PIERO DELLA FRANCESCA, “MADONNA DEL PARTO”: IL SEGRETO CHE QUESTO AFFRESCO NASCONDE
PIERO DELLA FRANCESCA, “MADONNA DEL PARTO”: IL SEGRETO CHE QUESTO AFFRESCO NASCONDE

MANZONI IN VATICANO?

Cari colleghi, storici dell’arte, che leggete i capolavori antichi come se fossero tante sciocchezze perché non potete certo mettervi al pari col genio che li produsse, voi, causa l’avvilimento a cui assoggettate la grande pittura, siete i responsabili del tragico accreditarsi nel mondo delle oscene, finte ciofeche dell’arte contemporanea.

Se veramente i capolavori del passato avessero la loro giusta lettura le opere contemporanee apparirebbero in tutta la loro superficialità, faciloneria e stupidaggine, mentre l’incapacità degli addetti al mestiere di capire alcunché delle meraviglie del passato, fa si che avvenga esattamente il contrario.

Verrà il giorno in cui vedremo, in Vaticano, al posto della Pietà di Michelangelo, una scatoletta di merda, si spera almeno ben sigillata?  

 

Ma di chi è la colpa maggiore dell’affermarsi delle porcherie dell’arte contemporanea, oltre a mercanti, critici d’arte e banche, banche che in assoluto anonimato finanziano questo lucroso disastro? I maggiori colpevoli sono i “Grandi Collezionisti”, disgraziati fabbricanti di detersivi, di sardine in scatola, di preservativi  e quant’altro, spesso quasi analfabeti e privi di qualsiasi sensibilità estetica che, magari quando cascano loro i capelli rimediano in maniera geniale col “riporto”, sono loro i veri colpevoli: questa razza disgraziata non compra le opere d’arte perché “gli piacciono”, ma semplicemente perché “gli mancano”, come una moneta o un francobollo! Basta che gli si faccia credere che il pittore è famoso ed ecco che questi colossali pirla ne vogliono possedere un’opera, magari semplicemente per non essere secondi all’industriale amico più fesso di loro. Spesso manco gli interessa guardare attentamente l’opera, basta che sia dell’autore che gli manca.

Al mercato dell’arte tutto ciò non sembra vero: la più orrenda ciofeca può diventare così “oggetto artistico da collezione” cosa che permette di ridurre infinitamente le spese di acquisto presso gli artisti.

Spruzzami una tela tutta d’azzurro con uno spray” dice il mercante all’artista “ci metti pochissimo e puoi farne 50 al giorno, se te le pago € 10 l’una guadagni € 500 al giorno (15.000 al mese) e sei ricco”.

“Io poi” prosegue il mercante “organizzo mostre, articoli sui giornali, pubblicità fittizie con prezzi finti sempre più alti e la gente si convince che sei famoso, allora arrivano quei pirla di “grandi collezionisti” ed il gioco è fatto: sono centinaia di migliaia solo in Italia e non si riuscirà nemmeno ad accontentarli tutti. E man mano che i “pirla collezionisti” abboccano, i prezzi crescono.”

Basterebbe eliminare tutti i grandi collezionisti e l’arte contemporanea tornerebbe finalmente sul binario giusto, quello determinato da chi i quadri li compra perché “gli piacciono”.  Che solo questa è la motivazione corretta per acquistare un’opera d’arte.

Miei cari colleghi “Storici dell’Arte”, che non fate che ripetere stancamente ciò che dissero Berenson e Longhi (che mai, di nemmeno di un quadro capirono qualcosa) e che mi ignorate perché troppo vi spavento, a voi mi rivolgo rifacendomi allo splendido Sordi del “Marchese del Grillo” sperando che capiate la “sottile ironia”:

IO SONO CIO’ CHE PRIMA DI ME NON E’ STATO MAI E CHE DOPO DI ME NON POTRA’ MAI PIU’ VENIRE  E, VOI ……. NON SIETE UN CAZZO.

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commenti

G
Interessante comunque
Rispondi
G
Inpara litagliano!
Rispondi
A
mio dio, credo che il tuo coefficiente intellettivo ti permetta solo di guardare le partite di calcio, fai quello e lascia perdere il resto