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5 novembre 2016 6 05 /11 /novembre /2016 12:10
Ultima statuetta ritrovata a Catal Hoyuk

Ultima statuetta ritrovata a Catal Hoyuk

medesima statuetta di profilo

medesima statuetta di profilo

Una ben strana statuetta è emersa dagli scavi di Catal Hoyuk, essa si presenta infatti con una testa completamente diversa da quelle che finora il sito aveva restituito.
Questa statuetta ci ricorda infatti un Buddha o un lottatore di sumo: cosa c’entra con l’Anatolia? E cosa c’entra questa testa con quelle antecedentemente ritrovate?
Meraviglia anzitutto, in quest’ultima, il collo quasi inesistente mentre, nelle precedenti, vediamo l’esatto contrario: quelle antecedentemente ritrovate presentano infatti la testa innestata su un cilindro esageratamente lungo ed esteticamente poco gradevole.
CATAL HOYUK:UN CINESE IN ANATOLIA (TURCHIA) NEL 6.500 a.C.?
CATAL HOYUK:UN CINESE IN ANATOLIA (TURCHIA) NEL 6.500 a.C.?
CATAL HOYUK:UN CINESE IN ANATOLIA (TURCHIA) NEL 6.500 a.C.?
CATAL HOYUK:UN CINESE IN ANATOLIA (TURCHIA) NEL 6.500 a.C.?
Testa dell'ultima statuetta ritrovata

Testa dell'ultima statuetta ritrovata

Stupisce poi il profilo del volto: mentre nelle precedenti si presenta arrotondato a completare la sfericità della testa ed il mento risulta quindi rientrante rispetto al naso, in quest’ultima vediamo invece l’esatto contrario: un profilo rettilineo che tende addirittura alla concavità invece che alla convessità ed un mento proteso verso l’esterno.
CATAL HOYUK:UN CINESE IN ANATOLIA (TURCHIA) NEL 6.500 a.C.?
CATAL HOYUK:UN CINESE IN ANATOLIA (TURCHIA) NEL 6.500 a.C.?
Profilo dell'ultima statuetta ritrovata

Profilo dell'ultima statuetta ritrovata

Ma non basta: mentre i nasi precedenti sono corti e protesi in avanti, questo, al contrario, è schiacciato e molto, molto più lungo. Vediamo poi che la distanza tra base del naso e mento si presenta, nella nuova statuetta, esageratamente breve mentre nelle altre questa distanza è molto, molto maggiore.
Non manca poi di stupirci la nuca, allungata esageratamente verso l’alto e terminante con una specie di protuberanza: essa non può non ricordarci (vista anche la conformazione fisica del personaggio) i capelli raccolti dietro la nuca dei lottatori di sumo, mentre nelle precedenti statuette la nuca appare sempre perfettamente arrotondata.
Lottatori di sumo
Lottatori di sumo
Lottatori di sumo

Lottatori di sumo

Le teste precedenti sono infatti conformate sfericamente mentre quest’ultima con la sfera non ha nulla a che fare.
Ulteriormente ci inquieta il naso, che nei precedenti reperti si presenta minuto e pressoché senza narici (esse sono inserite all’interno della forma triangolare del naso stesso) mentre nell’ultima statuina le narici si presentano estremamente dilatate verso l’esterno (la parte terminale del naso pare come un enorme bubbone) come accade nelle statue del Buddha.
Teste di statue del Buddha
Teste di statue del Buddha
Teste di statue del Buddha

Teste di statue del Buddha

Testa dell'ultima statuetta ritrovata

Testa dell'ultima statuetta ritrovata

Ma la cosa assolutamente incongruente è il doppio mento di questa figura: innanzitutto la sua esistenza (non rintracciabile in nessun’altra) nonché il fatto che è di una perfezione (vedi il profilo) che nulla ha a che fare, non solo con le precedenti statuine (in cui il collo, come abbiamo già evidenziato, è un semplice cilindro privo di modulazioni), ma con tutte le altre opere di questo tipo prodotte in questo periodo.
Questo doppio mento si ritrova invece nelle statue del Buddha.
Profilo di un Buddha e della statuetta appena ritrovata
Profilo di un Buddha e della statuetta appena ritrovata

Profilo di un Buddha e della statuetta appena ritrovata

L’esistenza e la perfezione di questo doppio mento ci fanno quindi sospettare una realizzazione molto recente di questa statuetta, se non addirittura contemporanea e che, per realizzarla, ci si sia rifatti a modelli orientali.
Riassume la dott.ssa Annamaria Denaro: “Le teste precedentemente ritrovate non si presentano in alcun modo caratterizzate (l’autore non ha fato che produrre una sfera di argilla a cui ha poi applicato il naso e segnato bocca e occhi) mentre quest’ultima testa appare fortemente caratterizzata e in modo talmente complesso da escludere ogni rapporto con quelle precedenti.”
Come possiamo concludere?
Prima di tutto ci chiediamo perché chi ha ritrovato questo reperto non abbia immediatamente posto l’accento sull’enorme differenza con quelli precedentemente ritrovati e sull’anomala presenza e perfezione del doppio mento.
Non ultimo ci domandiamo perché non siano state evidenziate anche le caratteristiche orientaleggianti che il reperto presenta.
A noi pare infatti che questo reperto si trovi in un posto in cui non dovrebbe assolutamente essere.
Ma rimane sempre un’alternativa: non potrebbe forse, un extraterrestre burlone con caratteristiche somatiche orientaleggianti, essersi divertito, in tempi lontani, a seppellire in quei luoghi una sculturina fatta a sua immagine e somiglianza che facesse la felicità di archeologi poco propensi all’analisi stilistica delle loro scoperte?
Attenti, sicuramente da lontane galassie l’omino ci osserva e sorride: facciamo in modo che il suo sorriso non si trasformi in una grassa risata.
A.Cottignoli 2016

BREVE SPECIFICA SULLE MIE QUALIFICHE (vedi poi biografia)

Allego una mail speditami da James Beck, massimo esperto mondiale di pittura rinascimentale italiana, Columbia University, New York, con cui collaborai per 5 anni, in cui egli afferma praticamente che io sarei il più grande Storico dell’Arte esistente.

Allego altresì un’intervista del Corriere a Marco Meneguzzo docente di Storia dell’Arte a Brera che sottolinea la correttezza delle mie analisi, in questo caso relative alla Madonna del Parto di Piero della Francesca 

 

CATAL HOYUK:UN CINESE IN ANATOLIA (TURCHIA) NEL 6.500 a.C.?
CATAL HOYUK:UN CINESE IN ANATOLIA (TURCHIA) NEL 6.500 a.C.?
CATAL HOYUK:UN CINESE IN ANATOLIA (TURCHIA) NEL 6.500 a.C.?

MANZONI IN VATICANO?

Cari colleghi, storici dell’arte, che leggete i capolavori antichi come se fossero tante sciocchezze perché non potete certo mettervi al pari col genio che li produsse, voi, causa l’avvilimento a cui assoggettate la grande pittura, siete i responsabili del tragico accreditarsi nel mondo delle oscene, finte ciofeche dell’arte contemporanea.

Se veramente i capolavori del passato avessero la loro giusta lettura le opere contemporanee apparirebbero in tutta la loro superficialità, faciloneria e stupidaggine, mentre l’incapacità degli addetti al mestiere di capire alcunché delle meraviglie del passato, fa si che avvenga esattamente il contrario.

Verrà il giorno in cui vedremo, in Vaticano, al posto della Pietà di Michelangelo, una scatoletta di merda, si spera almeno ben sigillata?  

Miei cari colleghi “Storici dell’Arte”, che non fate che ripetere stancamente ciò che dissero Berenson e Longhi (che mai, di nemmeno di un quadro capirono qualcosa) e che mi ignorate perché troppo vi spavento, a voi mi rivolgo rifacendomi allo splendido Sordi del “Marchese del Grillo” sperando che capiate la “sottile ironia”:

IO SONO CIO’ CHE PRIMA DI ME NON E’ STATO MAI E CHE DOPO DI ME NON POTRA’ MAI PIU’ VENIRE  E, VOI ……. NON SIETE UN CAZZO.

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25 ottobre 2016 2 25 /10 /ottobre /2016 18:40
Giovanni Bellini "Cristo morto e quattro angeli"

Giovanni Bellini "Cristo morto e quattro angeli"

La polemica tra i riminesi e Vittorio Sgarbi, che ha investito il dipinto di Giovanni Bellini (1430-1516) “Cristo morto e quattro angeli” per il suo spostamento all’EXPO ad “insaputa dei cittadini”, mi pare cosa certamente degna di rilievo, ma molto meno importante però, dei problemi iconografici che già a suo tempo rilevai nel dipinto. Trattasi senza dubbio di un’opera bellissima , ma quantomeno “strana”: da sempre mi hanno inquietato soprattutto le vesti degli “angeli”, che sono tutte, pur essendo di diversa foggia, molto corte, giusto sufficienti a coprire gli inguini, e che presentano degli stranissimi quanto incongruenti “spacchi” laterali che sottolineano la loro nudità lasciando intravvedere i glutei e parte delle cosce. Se a qualcuno la cosa può sembrare normale, ci tengo a ricordare che ancora negli anni ’60, le conigliette di Play Boy, mai al mondo avrebbero potuto vestirsi in pubblico in tal modo, in ogni caso prima di procedere all’analisi del dipinto, necessita una precisazione: la cosa che dobbiamo aver ben presente è che non ci troviamo di fronte ad una foto, dove i particolari possono imputarsi a contingenze casuali e a coincidenze, non è cioè che il pittore, girato l’angolo, come può accadere a un fotografo, si sia trovato di fronte questa scena e l’abbia riprodotta come gli è apparsa: tutto quanto vediamo in un dipinto è stato accuratamente studiato dall’artista ed è frutto di disegni preparatori estremamente complessi ove ogni figura è stata a lungo studiata. Per fare un esempio, se l’angelo all’estrema destra fosse parte di una foto, sarebbe possibile ipotizzare che il vestito fosse casualmente scivolato a scoprire la spalla mentre il fotografo scattava: ma foto non è, quindi possiamo avere la certezza che fu il pittore a volere, con estrema determinazione e dopo lunghi studi, che quella spalla fosse scoperta.

Detto questo, ed eliminata quindi la possibilità del “caso”, non possiamo non prendere atto del fatto che le vesti degli angeli hanno caratteristiche volutamente erotiche che chiaramente si avvalgono dell’antica tecnica del “vedo non vedo”. Alla spalla scoperta già abbiamo accennato, e come tutti ben sanno, quella di scoprire una spalla nell’esatto modo che vediamo nel quadro è una tecnica utilizzata comunemente dalle donne per attirare l’attenzione erotica degli uomini su di loro, ma ulteriormente ci inquieta la conformazione fisica degli “angeli”: non fanciulli paffutelli magari in tenera età, ma giovinetti la cui struttura muscolare, molto “terrena” è ben evidente e sottolinea la bellezza delle loro forme. Non sfuggono ad una percezione erotica le “cinture” delle vesti: non c’è funzione di sostegno, esse penzolano larghissime all’altezza dell’inguine, ad individuarne la posizione, e oramai non più impedimento, anzi a sottendere, ad una eventuale spoliazione. Stupiscono altresì le labbra, rosse in eccesso, e le acconciature, di cui tre a caschetto, tipiche dei giovani dell’epoca, ma soprattutto quella dell’angelo all’estrema destra ai cui boccoli sbarazzini, inanellati verso il basso, sicuramente avrebbe potuto far riferimento il regista del film “Lolita”. Non sfuggono a problemi anche i colori, vedi il rosa un po’ troppo acceso della veste dell’angelo all’sopraccitato, l’arancione della veste del secondo angelo da destra, ma nemmeno il bruno poco paradisiaco di quella dell’angelo all’estrema sinistra che presenta anche un collettino rigirato simile a quelli delle camiciole utilizzate nel mondo terreno e non certo prodotte dalle sartorie celesti. Meraviglia poi il rosso vermiglio delle ali dell’angelo all’estrema destra, certamente più consono a Lucifero, rosso che poi ancora persiste, inquietante, sui bordi visibili delle ali degli altri angeli.

Per quel che riguarda la gestualità, notiamo il primo angelo da destra che pare sostenere il braccio abbandonato con una voluttuosità per nulla consona alla situazione; ben strane paiono poi le braccia conserte di quello all’estrema sinistra (?!?!), postura che nulla ha a che fare con la tragicità del momento ma che al contrario sottende a totale distacco e disinteresse. Ma una cosa ancora ci inquieta, e cioè la postura del secondo angelo da sinistra, chino in avanti, apparentemente intento a sostenere la schiena nuda del Cristo: non sembra forse essere in una ben strana posizione nei confronti dell’altro angelo dietro di lui che lo sta guardando? E non pare forse strano il terzo angelo da sinistra, praticamente in deliquio, che non guarda verso il Cristo, bensì verso i due angeli appena citati? Non vi traggano in inganno le mani giunte, esse stringono qualcosa che con la religione nulla ha a che fare, almeno per quanto ci è dato di vedere: certo se si riuscisse a decifrare la cosa non comprensibile che questo personaggio stringe tra le mani, forse saremmo in grado di capire qualcosa di più. Ma ancora non abbiamo finito: come ha notato la mia collaboratrice Annamaria Denaro, le ali degli “angeli” si presentano mal conformate, nel primo da sinistra la sua ala sinistra è completamente fuori posto dal punto di vista prospettico, essa risulta attaccata nel vuoto oppure alla parte più estrema della spalla (mentre quella destra risulta emergere, al contrario, praticamente dal centro della schiena) e la sua esatta collocazione presupporrebbe la sua scomparsa dietro la testa del proprietario. Ancora più tragica è la condizione delle ali dell’angelo chinato, dato che appare una sola ala oltre il centro della schiena (trattasi quindi dell’ala sinistra), dobbiamo dedurne che manca completamente l’ala destra! Ben strane poi sono ancora le ali degli altri due angeli: al secondo da destra paiono nascere dal centro schiena mentre al primo da destra nascono addirittura da dietro le braccia. Pare, alla fine, trattarsi di ali finte, mal appiccicate, per una rappresentazione teatrale.

Bene, cosa il Bellini volesse precisamente comunicarci attraverso tutte queste stranezze, non ci impegniamo qui a dedurlo, solo ritorniamo a ripetere che non siamo davanti ad una foto e che ogni più piccolo particolare fu dal pittore studiato con concentrazione e fatica e risulta quindi non frutto di casualità ma di calcolata determinazione.

Un’unica cosa facciamo presente: siamo in un’epoca in cui tutto il mondo dell’arte si rifà all’antichità classica greca, un periodo storico cioè (V sec. a.C.) in cui l’attività sessuale era assolutamente libera e concentrata non solo sulle donne ma anche sui fanciulli in giovane età, tanto che e i nomi di quelli più belli che frequentavano l’Agorà ateniese venivano invocati sulle ceramiche di quel periodo associati alla formula “kalos” (è bello) e addirittura Pericle fu uno di questi fanciulli....

E sicuramente non si trattava di invocazioni di stampo solamente platonico, è ben noto che soprattutto il rapporto tra allievi ed artisti doveva necessariamente essere completato da un coinvolgimento erotico-sentimentale tra i due, al fine di poter ottenere il massimo rendimento da parte dell’allievo medesimo. Ed è altresì ben noto come questa pratica (per quanto proibita dalla legge) fosse portata avanti anche dalla maggior parte degli artisti rinascimentali.

Perché Bellini impostò questa scena di un erotismo sfrenato dietro la figura del Cristo morto? Ai lettori l’ardua sentenza....

Alberto Cottignoli

BREVE SPECIFICA SULLE MIE QUALIFICHE (vedi poi biografia)

Allego una mail speditami da James Beck, massimo esperto mondiale di pittura rinascimentale italiana, Columbia University, New York, con cui collaborai per 5 anni, in cui egli afferma praticamente che io sarei il più grande Storico dell’Arte esistente.

Allego altresì un’intervista del Corriere a Marco Meneguzzo docente di Storia dell’Arte a Brera che sottolinea la correttezza delle mie analisi, in questo caso relative alla Madonna del Parto di Piero della Francesca 

 

GIOVANNI BELLINI EROTICO: CRISTO MORTO E QUATTRO "ANGELI" PROBLEMATICI
GIOVANNI BELLINI EROTICO: CRISTO MORTO E QUATTRO "ANGELI" PROBLEMATICI
GIOVANNI BELLINI EROTICO: CRISTO MORTO E QUATTRO "ANGELI" PROBLEMATICI

MANZONI IN VATICANO?

Cari colleghi, storici dell’arte, che leggete i capolavori antichi come se fossero tante sciocchezze perché non potete certo mettervi al pari col genio che li produsse, voi, causa l’avvilimento a cui assoggettate la grande pittura, siete i responsabili del tragico accreditarsi nel mondo delle oscene, finte ciofeche dell’arte contemporanea.

Se veramente i capolavori del passato avessero la loro giusta lettura le opere contemporanee apparirebbero in tutta la loro superficialità, faciloneria e stupidaggine, mentre l’incapacità degli addetti al mestiere di capire alcunché delle meraviglie del passato, fa si che avvenga esattamente il contrario.

Verrà il giorno in cui vedremo, in Vaticano, al posto della Pietà di Michelangelo, una scatoletta di merda, si spera almeno ben sigillata?  

Ma di chi è la colpa maggiore dell’affermarsi delle porcherie dell’arte contemporanea, oltre a mercanti, critici d’arte e banche, banche che in assoluto anonimato finanziano questo lucroso disastro? I maggiori colpevoli sono i “Grandi Collezionisti”, disgraziati fabbricanti di detersivi, di sardine in scatola, di preservativi  e quant’altro, spesso quasi analfabeti e privi di qualsiasi sensibilità estetica che, magari quando cascano loro i capelli rimediano in maniera geniale col “riporto”, sono loro i veri colpevoli: questa razza disgraziata non compra le opere d’arte perché “gli piacciono”, ma semplicemente perché “gli mancano”, come una moneta o un francobollo! Basta che gli si faccia credere che il pittore è famoso ed ecco che questi colossali pirla ne vogliono possedere un’opera, magari semplicemente per non essere secondi all’industriale amico più fesso di loro. Spesso manco gli interessa guardare attentamente l’opera, basta che sia dell’autore che gli manca.

Al mercato dell’arte tutto ciò non sembra vero: la più orrenda ciofeca può diventare così “oggetto artistico da collezione” cosa che permette di ridurre infinitamente le spese di acquisto presso gli artisti.

Spruzzami una tela tutta d’azzurro con uno spray” dice il mercante all’artista “ci metti pochissimo e puoi farne 50 al giorno, se te le pago € 10 l’una guadagni € 500 al giorno (15.000 al mese) e sei ricco”.

“Io poi” prosegue il mercante “organizzo mostre, articoli sui giornali, pubblicità fittizie con prezzi finti sempre più alti e la gente si convince che sei famoso, allora arrivano quei pirla di “grandi collezionisti” ed il gioco è fatto: sono centinaia di migliaia solo in Italia e non si riuscirà nemmeno ad accontentarli tutti. E man mano che i “pirla collezionisti” abboccano, i prezzi crescono.”

Basterebbe eliminare tutti i grandi collezionisti e l’arte contemporanea tornerebbe finalmente sul binario giusto, quello determinato da chi i quadri li compra perché “gli piacciono”.  Che solo questa è la motivazione corretta per acquistare un’opera d’arte.

Miei cari colleghi “Storici dell’Arte”, che non fate che ripetere stancamente ciò che dissero Berenson e Longhi (che mai, di nemmeno di un quadro capirono qualcosa) e che mi ignorate perché troppo vi spavento, a voi mi rivolgo rifacendomi allo splendido Sordi del “Marchese del Grillo” sperando che capiate la “sottile ironia”:

IO SONO CIO’ CHE PRIMA DI ME NON E’ STATO MAI E CHE DOPO DI ME NON POTRA’ MAI PIU’ VENIRE  E, VOI ……. NON SIETE UN CAZZO.

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6 dicembre 2015 7 06 /12 /dicembre /2015 12:03
Cottignoli in mostra: personale dei suoi dipinti dal 12 Dic. al 16 Gen.

Vengono esposte a Ravenna le ultime opere ad olio su tavola di Alberto Cottignoli, e in anteprima mondiale le sue agate dipinte, le quali saranno visibili a breve all'interno delle gioiellerie di Cartier.

 

Saranno in mostra anche 5 opere eccezionali eseguite in collaborazione con il pittore-poeta Fausto Fori.

"La collaborazione con Fausto nasce ovviamente dall'apprezzamento che ho per le sue opere, soprattutto per il delicato e insieme tragico "sentire" di cui sono espressione. Un'interiorità immediata e convulsa la sua, gettata sulle carte o sui legni con un'istintività primordiale e bellissima che trovo meraviglioso supporto ai limiti del mio "pensar razionale", pur se proiettato agli infiniti spazi del sogno."

 

 

Dal 12 Dicembre 2015 (inaugurazione ore 17:00, sarà presente l'artista) al 16 Gennaio 2016.

Aperta dal martedì al sabato dalle ore 10:00 alle 12.30 e

dalle ore 17:00 alle 19:00.

C/O LIBRERIA ALEF, VIA RAVEGNANA, 146/A - RAVENNA.

Tel. 0544 401645

"Verso il paese del poi". Olio su agata, cm 10x9.

"Verso il paese del poi". Olio su agata, cm 10x9.

"Leonardo cercò, nella profondità delle caverne che penetrano le masse pietrose dei monti, l'origine della vita...

Suggerì poi nel suo "Trattato della Pittura", di prendere spunto dalle macchie per creare nuove forme e figure.

Sicuramente gli sarebbe piaciuto vedere, dal centro delle pietre, dalle stesse trasparenti macchie loro, prendere origine la vita".

Alberto Cottignoli.

"Verso la sua stella". Olio su tavola, cm 52x40.

"Verso la sua stella". Olio su tavola, cm 52x40.

"Susanna, com'era" (particolare). Tecnica mista su tavola cartonata, 27x70 cm. Fausto Fori e Alberto Cottignoli.

"Susanna, com'era" (particolare). Tecnica mista su tavola cartonata, 27x70 cm. Fausto Fori e Alberto Cottignoli.

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27 ottobre 2015 2 27 /10 /ottobre /2015 20:17
Dodici anni or sono presentai al dott. Gigante, titolare del catalogo omonimo, una moneta da 5 baiocchi dello Stato Pontificio coniata da Pio IX, che aveva il bordo rigato anzichè liscio
PAGINA DEL "GIGANTE" IN CUI E' CATALOGATA LA MONETA

PAGINA DEL "GIGANTE" IN CUI E' CATALOGATA LA MONETA

LA MONETA DELLO STATO PONTIFICIO DI CUI ESISTE UN UNICO ESEMPLARE: 5 BAIOCCHI 1852 CON BORDO RIGATO
DIRITTO E VERSO DEL 5 BAIOCCHI 1852 CON BORDO RIGATO
DIRITTO E VERSO DEL 5 BAIOCCHI 1852 CON BORDO RIGATO

DIRITTO E VERSO DEL 5 BAIOCCHI 1852 CON BORDO RIGATO

BORDO RIGATO DEL 5 BAIOCCHI 1852
BORDO RIGATO DEL 5 BAIOCCHI 1852

BORDO RIGATO DEL 5 BAIOCCHI 1852

Risulta ben visibile dalla seconda foto del bordo che la rigatura non è completa in quanto manca nella zona destra: trattasi della prova incontrovertibile del fatto che la rigatura era già presente nel tondello prima della battitura e che quindi non fu rigato dopo. La battitura compresse infatti la prima zona della rigatura eliminandola. Trattasi quindi di moneta assolutamente originale che uscì dalla zecca in queste condizioni e per questo fu catalogata dal dott. Gigante. Non solo, il dott. Gigante DATA L'IMPORTANZA DELLA MONETA, LE DEDICO' TRE RIGHE DI DESCRIZIONE AL TERMINE DELL'ELENCO DEI 5 BAIOCCHI, esattamente questa:
"5 baiocchi 1852 anno VI Bologna: ho esaminato un esemplare che presenta il contorno rigato ed un conio molto brutto con, nel rovescio, una minima traccia di perlinatura in basso. Con molta probabilità, questa moneta è stata coniata con un conio molto usurato nei bordi"
La quotazione R3 data da catalogo Gigante risale a circa 12-13 anni fa quando ancora non si sapeva se sarebbero emersi, dopo la catalogazione, altri esemplari simili ma se, dopo più di 160 anni dalla coniazione e dopo 12-13 dalla catalogazione, nessun altro esemplare è emerso, possiamo ragionevolmente affermare che trattasi di rarità non definibile, oltre l' R5 e quindi  DELL'UNICA MONETA DELLO STATO PONTIFICIO DI CUI ESISTE UN SOLO ESEMPLARE.
All'inizio del 2016 la moneta è poi stata periziata e sigillata da Egidio Ranieri
Perizia del perito numismatico Egidio Ranieri (Bologna)

Perizia del perito numismatico Egidio Ranieri (Bologna)

Il 5 baiocchi bordo rigato è stato anche pubblicato sulla cartolina commemorativa del Convegno Nazionale di Numismatica e Filatelia GIFRA 2016 (trattasi della ruota anteriore del biciclo di Pio IX raffigurato nella cartolina medesima
Cartolina commemorativa di GIFRA 2016

Cartolina commemorativa di GIFRA 2016

All 5 baiocchi 1852 bordo rigato è stata anche dedicata la copertina della pubblicazione di Mauro dalla Casa "Romagna 2016" (pagine 216) e all'interno un articolo a 4 pagine 

LA MONETA DELLO STATO PONTIFICIO DI CUI ESISTE UN UNICO ESEMPLARE: 5 BAIOCCHI 1852 CON BORDO RIGATO
LA MONETA DELLO STATO PONTIFICIO DI CUI ESISTE UN UNICO ESEMPLARE: 5 BAIOCCHI 1852 CON BORDO RIGATO
LA MONETA DELLO STATO PONTIFICIO DI CUI ESISTE UN UNICO ESEMPLARE: 5 BAIOCCHI 1852 CON BORDO RIGATO
LA MONETA DELLO STATO PONTIFICIO DI CUI ESISTE UN UNICO ESEMPLARE: 5 BAIOCCHI 1852 CON BORDO RIGATO
LA MONETA DELLO STATO PONTIFICIO DI CUI ESISTE UN UNICO ESEMPLARE: 5 BAIOCCHI 1852 CON BORDO RIGATO
LA MONETA DELLO STATO PONTIFICIO DI CUI ESISTE UN UNICO ESEMPLARE: 5 BAIOCCHI 1852 CON BORDO RIGATO

BREVE SPECIFICA SULLE MIE QUALIFICHE (vedi poi biografia)

Allego una mail speditami da James Beck, massimo esperto mondiale di pittura rinascimentale italiana, Columbia University, New York, con cui collaborai per 5 anni, in cui egli afferma praticamente che io sarei il più grande Storico dell’Arte esistente.

Allego altresì un’intervista del Corriere a Marco Meneguzzo docente di Storia dell’Arte a Brera che sottolinea la correttezza delle mie analisi, in questo caso relative alla Madonna del Parto di Piero della Francesca 

 

LA MONETA DELLO STATO PONTIFICIO DI CUI ESISTE UN UNICO ESEMPLARE: 5 BAIOCCHI 1852 CON BORDO RIGATO
LA MONETA DELLO STATO PONTIFICIO DI CUI ESISTE UN UNICO ESEMPLARE: 5 BAIOCCHI 1852 CON BORDO RIGATO
LA MONETA DELLO STATO PONTIFICIO DI CUI ESISTE UN UNICO ESEMPLARE: 5 BAIOCCHI 1852 CON BORDO RIGATO
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28 agosto 2015 5 28 /08 /agosto /2015 22:10
Fig. 1

Fig. 1

Bene, per un anno intero ho finto di attribuire questo medaglione centrale di una kylix attica (fig. 1) ad Exekias con lo scopo di controllare l'effettiva capacità attributiva dei docenti delle varie università internazionali e purtroppo non ho ricevuto alcuna smentita. Questo conferma l'ipotesi che da lungo tempo porto avanti: non esiste più alcun esperto in campo mondiale in grado di riconoscere la paternità delle pitture vascolari attiche.

Provvedo allora a rivelare il vero autore di questo medaglione: non di Exekias si tratta ma del pittore di Amasis, attivo ad Atene nello stesso periodo (560-530 a.C.) in cui operava Exekias (collaboravano infatti con le medesime botteghe di vasai). Amasis è stato finora ritenuto secondo per qualità artistiche solo ad Exekias ma la comparsa di questa coppa e l'attribuzione di un'altra che ho appena pubblicato, portano senz'altro questo pittore al pari di Exekias, dal quale si distingue adesso solamente per la metodologia da lui applicata alle proprie composizioni: se Exekias è facilmente riconoscibile per la statuaria dimensione dei suoi personaggi (vedi le sue figure di guerrieri che paiono riproporci in chiave bidimensionale i grandiosi Kouros contemporanei) e per la dimensione emotiva che traspare dall'atteggiamento e dall'azione delle delle sue figure (vedi il ritorno dei Dioscuri dalla battaglia, nell'anfora del Vaticano e Achille che uccide Penthesilea, in quella del British), Amasis manifesta adesso, attraverso le nuove scoperte ed attribuzioni, una grandezza parallela e non inferiore che si concretizza invece nel geniale utilizzo dei rapporti geometrico-significanti che caratterizzano le sue composizioni.

Aumenta enormemente l'importanza di questa coppa anche il suo esterno, che presenta circa 60 guerrieri in combattimento e tre quadrighe in corsa(fig.2-3-4)

Fig. 2 Lato esterno A della kylix di fig.1

Fig. 2 Lato esterno A della kylix di fig.1

Fig. 3 Lato esterno B della kylix di fig.1

Fig. 3 Lato esterno B della kylix di fig.1

Fig.4 Esterno completo della kylix di fig 1

Fig.4 Esterno completo della kylix di fig 1

Per entrare nella grandiosa dimensione geometrico significante che caratterizza il nostro pittore mi rifarò ad una coppa meravigliosa e famosissima che ho appena attribuito ad Amasis e la cui grandiosità artistica non era stata finora decodificata:

la kylix di Tarquinia con al centro Eracle che uccide Tritone (fig.5)

Fig. 5 Medaglione centrale di una coppa custodita presso il Museo di Tarquinia

Fig. 5 Medaglione centrale di una coppa custodita presso il Museo di Tarquinia

Questa kylix non fu mai attribuita dal Beazley (il genio a cui dobbiamo il riconoscimento di quasi la totalità degli artisti che decorarono le ceramiche attiche) ad Amasis, in quanto mentre lui era in vita non erano ancora state scoperte le due lekytos del Metropolitan (attribuite appunto con assoluta certezza ad Amasis), sulla spalla delle quali sono presenti delle piccole donne in corsa (fig.6-7) che si tengono per mano, facilmente riconducibili allo stesso Amasis (null'altro di simile ritroviamo in altri pittori).
Fig. 6-7 Spalle delle due lekytos del Metropolitan attribuite ad Amasis
Fig. 6-7 Spalle delle due lekytos del Metropolitan attribuite ad Amasis

Fig. 6-7 Spalle delle due lekytos del Metropolitan attribuite ad Amasis

Ma passiamo a evidenziare la grandezza artistica di questa coppa che è determinata da alcune caratteristiche che mai nessuno ha preso in considerazione:
a) in primis la disposizione delle braccia delle Nereidi(divinità marine):queste braccia sono state grandiosamente concatenate tra loro con un gomito rialzato ed uno abbassato cosa che, associata all'emergenza delle teste, DA LUOGO AD UN MOTO ONDULATORIO CHE SIMULA QUELLO DELLE ONDE MARINE!! Questo "artificio" è di una grandezza artistica tale da poter da solo far attribuire la qualifica di capolavoro a quest'opera.
Da sotto la superficie circolare, individuata dal movimento di queste originalissime onde, si manifesta poi la circolare profondità del mare, all'interno del quale si svolge la titanica lotta tra Ercole e Tritone.
Ma in quale meraviglioso modo è resa questa lotta: le spire di Tritone unificate alla figura di Ercole creano un movimento circolare che, oltre ad adattarsi alla forma della coppa e del medaglione, meravigliosamente si unifica al moto delle Nereidi.
Il moto circolare di questa moltitudine di divinità marine pare infatti trascinare con sè, e quindi vivificare, il contorcimento (anch'esso circolare) della lotta tra Eracle e Tritone all'interno del tondo centrale.
Se a questo aggiungiamo il fatto che la kylix doveva contenere del vino abbondantemente annacquato, non possiamo non immaginare con quale godimento, chi beveva da questa coppa, vedesse emergere dalle liquide, cristalline trasparenze del vino, prima la lunga fila femminina delle divinità marine intente a smuovere la superficie del nettare rosato col loro moto ondoso circolare, e quindi vedesse, al seguito del calare dello spessore del liquido e all'aumentare dell'ebrezza, la profondità del mare e, nei suoi più reconditi abissi svolgersi la grandiosa lotta tra il semidio e Tritone.
Occorre qui puntualizzare una cosa: Ercole e Tritone sono stati raffigurati in questa postura (assolutamente identica) in una moltitudine di anfore a collo distinto limitate però sui bordi orizzontali dalle decorazioni di fiori di loto (o puramente geometriche) che riducevano lo spazio utilizzabile a delle specie di rettangoli convessi, cosa che ci spinge a pensare che la disposizione circolareggiante dei due personaggi fu progettata per essere collocata al centro di un medaglione e non certo sulla facciata pseudo-rettangolare di un'anfora. Ne discende che i pittori delle anfore succitate non hanno fatto che adattare questa raffigurazione a una situazione spaziale diversa (e meno consona) da quella per cui era stata progettata. Da tutto questo è facilmente arguibile che la figura originale da cui tutte quelle simili, rintracciate su anfore, discendono, è quella della kylix di Tarquinia. Ci riesce altresì difficile immaginare che questo assetto figurativo possa essere stato copiato da una qualche opera pittorica su tela o tavola di un pittore contemporaneo famoso vista la sua caratterizzazione prettamente circolare.
Fig. 8 Il cavallo retrostante ridipinto in bianco com'era in origine

Fig. 8 Il cavallo retrostante ridipinto in bianco com'era in origine

Ma torniamo alla kylix di fig.1 che pare essere stata strutturata in modo molto simile a quella di Tarquinia.

Sul fatto che i due cavalieri del medaglione siano i Dioscuri non c’è alcun dubbio: nudi sui loro cavalli, uno di loro intento ad uccidere un guerriero dipinto di grandi dimensioni (probabilmente un gigante, quindi allusivo alla loro partecipazione alla Gigantomachia) e tutto ciò al centro di una battaglia (quella raffigurata all’esterno) di cui erano le divinità preposte (i contendenti sempre invocavano il loro intervento a proprio favore).

Osserviamo però adesso in quale geniale modo siano stati raffigurati questi due semidei: colpisce infatti che, sia a sinistra che a destra, LA LINEA CHE INDIVIDUA IL POSTERIORE DEI CAVALLI, TROVI LA SUA ESATTA PROSECUZIONE NELLA LINEA CHE INDIVIDUA IL BORDO ANTERIORE DEL COLLO DEI CAVALLI MEDESIMI.

Se questo può essere, per i grafici moderni, una espediente conosciuto, non così era 2.500 anni or sono, ma la genialità non sta tanto nell’espediente quanto nel motivo per cui fu utilizzato. Che la consecutività delle linee servisse ad Amasis per armonizzare l’inserimento dei due cavalli nella dimensione circolare del medaglione è indubbio (come avviene per Eracle e Trittolemo), ma, come esclamò il Rosenbaum (il più importante degli antiquari svizzeri deceduto nel 1986) quando lo vide: “Ma che meravigliosa tensione in questo medaglione!!!”, risulta evidente una seconda motivazione che eleva questo disegno ai livelli del sublime.

La prosecuzione delle linee infatti determina un fenomeno ottico importantissimo: il nostro sguardo infatti, passa senza interruzioni dal posteriore di ognuno dei cavalli al collo del cavallo attiguo e la consecutività di questo “passaggio ottico” ci fa sembrare i cavalli in movimento, in quanto ci par di cogliere assieme sia il momento appena precedente all’impennata sia l’impennata stessa. L’effetto è grandioso e tradisce una mente che trascende infinitamente quella di qualsiasi altro pittore di ceramica di tutti i tempi. Basterebbe questo per darci la certezza di trovarci di fronte ad un’opera di Amasis.

Non possiamo poi ignorare che il nostro genio si serve di un espediente rinnegato dalla tecnica pittorica tradizionale che vieta di tracciare linee che confondano il primo piano prospettico col secondo, ma è altresì vero che questo non fa che esaltare la dimensione artistica di Amasis.

Infatti effettivamente il problema sussiste, in quanto al primo impatto ottico si fatica fortemente (fig.1) a capire la strutturazione dell’insieme, dato che è molto difficile distinguere a quale dei due cavalli appartangono corpi e zampe e il tutto appare come una scura massa informe da cui emergono appunto due teste di cavallo e delle zampe anch’esse cavalline. Ma come rimedia a tutto questo Exekias e come riesce a trasformare l’immagine, da errata, in un capolavoro? "Semplicemente" sovradipinge il cavallo retrostante di bianco (sono ben visibili le tracce di questo colore sull’originale che ebbi modo di studiare accuratamente): in questo modo i cavalli e le loro teste e zampe pertinenti risultano perfettamente individuabili senza la necessità di alterare il grandioso effetto del movimento in impennata (fig. 8)!!

Ma se, sulla volontà di questo geniale artista di voler operare quanto sopraccitato non possono sussistere dubbi, andiamo a rilevare un altro “effetto” creato dal modo di procedere di Amasis: mentre le linee che individuano i posteriori dei cavalli tendono ad incontrarsi in basso chiudendosi in uno forma quasi circolare, notiamo come invece, nella parte alta, la prosecuzione delle linee lungo i colli dei cavalli tenda ad aprirsi e a farle congiungere, idealmente, più in alto (fig.9).

Bene, se immaginiamo queste due linee congiungersi semicircolarmente sopra le teste dei Dioscuri, non possiamo non accorgerci di trovarci di fronte alla precisa forma di un uovo, contenente, appunto, i Dioscuri medesimi (fig.9).

Fig.9  I Dioscuri all'interno dell'uovo da cui nacquero

Fig.9 I Dioscuri all'interno dell'uovo da cui nacquero

Ma da dove nascono, nella tradizione mitologica, i Dioscuri? Esattamente da un uovo di Leda fecondato da Giove in sembianze di cigno!

Che questa ulteriore simbologia non rientrasse inizialmente nella volontà di Exekias è molto probabile, è però quasi impossibile che durante lo sviluppo del disegno egli non si sia accorto della grandiosa possibilità che la strutturazione geometrica del disegno gli stava offrendo.

Ci troviamo così di fronte ad un capolavoro che non ha eguali in tutta la ceramica greca:

a questi cavalli, di cui cogliamo tutta la potenza dell'impennata, sapientemente resa con un artificio geniale e che paiono, scalpitando, voler uscire dal medaglione stesso, si aggiunge la percezione subliminare dell'uovo. Ma quale grandiosa immagine in movimento cogliamo anche in questo caso: l'uovo, coinvolto nel moto dei cavalli, par esplodere anch'esso, immergendoci nel momento misterioso e grandioso della nascita, quando, appunto, il contenitore materno si frantuma. La mancanza stessa della parte superiore dell'uovo contribuisce a proiettarci nel preciso momento della nascita divina.

L'interno della famosissima coppa di Monaco, con Dioniso sulla nave circondata da delfini, di mano del grandissimo Exekias, pur rappresentando probabilmente il massimo capolavoro della pittura vascolare attica a figure nere (per quanto riguarda le kyliches), non regge la grandiosità di questo medaglione.

Sicuramente la coppa di Monaco, opera posteriore a quella in oggetto, presenta una notevole raffinatezza esecutiva, frutto oramai di grande esperienza ma, la genialità che il disegno di questo medaglione manifesta, lo rende enormemente più importante.

E’ poi interessante notare come questo medaglione abbia creato alcuni problemi di realizzazione ad Amasis (ancora alle prime armi), che molto probabilmente non aveva alcuna intenzione di inserire nella composizione l’enorme guerriero che vediamo sulla destra.

Fig.10  Le lineette rinforzate e unificate

Fig.10 Le lineette rinforzate e unificate

Venne obbligato ad dipingerlo perché non gli riuscì di collocare le figure dei due cavalli, che dovevano essere l’unica decorazione, perfettamente al centro del medaglione. La prova di tutto questo ci viene dal modo in cui sono state trattate le quattro linee concentriche che separano le linguelle del medaglione dalla figurazione interna. Se osserviamo la zona destra di queste linee (fig. 10, A-B-C) ci accorgiamo che sono state tutte ingrossate e addirittura le ultime due (verso l’interno) sono state unificate in una sola in modo da creare, nell’insieme, una zona molto più scura di quella a sinistra. Amasis cercò in questo modo di compensare la zona chiara troppo ampia che si era creata a destra causa l’eccessivo spostamento a sinistra dei due cavalli ma si accorse che l’espediente non era sufficiente: la figurazione continuava a risultare sbilanciata a sinistra e decise di intervenire inserendo il guerriero che vediamo perchè compensasse verso destra la figurazione.

Ma veniamo ai particolari che associano questa kylix a quella di Tarquinia.

In primis notiamo la struttura circolareggiante della raffigurazione del medaglione e il fatto che entrambi i medaglioni siano circondati da una moltitudine di personaggi strettamente attinenti a quelli centrali (le divinità marine in cerchio attorno a Tritone al centro nella coppa di Tarquinia, guerrieri in cerchio attorno alle divinità preposte alla battaglia, cioè i Dioscuri nella coppa in oggetto). L'unica differenza sta nel fatto che il cerchio delle Nereidi è interno alla coppa mentre quello dei guerrieri è esterno. Ulteriore ed importantissima convergenza la rintracciamo nel fatto che in entrambe le kyliches siano stati utilizzati due espedienti geniali atti a creare l'illusione del movimento: i gomiti alzati delle Nereidi a simulare il moto ondoso e le coincidenze delle linee dei posteriori e dei colli dei cavalli per simulare di nuovo il movimento dell'impennata.

L'attribuzione ad Amasis della coppa con Dioscuri risulta piuttosto facile, bastano i due cavalli dinamicamente e disegnativamente similissimi a quelli da lui spesso dipinti: il cavallo impennato nello stesso modo e con le stesse caratteristiche posturali e dimensionali ritorna spessissimo in Amasis, ma c'è un vaso in particolare che ne garantisce la paternità in quanto sfrutta un artifizio ottico quasi identico a quello utilizzato nella nostra kylix (fig.11-12)

Fig. 11 Anfora a collo continuo decorata da Amasis

Fig. 11 Anfora a collo continuo decorata da Amasis

Fig. 12 Particolare di fig.11

Fig. 12 Particolare di fig.11

Come si può ben vedere Amasis ha utilizzato in quest'anfora un espediente similissimo a quello della nostra coppa: ha sovrapposto parzialmente i corpi dei cavalli l'uno all'altro creando una massa nera allungata da cui emergono colli, teste e zampe esattamente come nel nostro medaglione. Questo espediente serve ad Amasis per realizzare lo stesso meccanismo che abbiamo rintracciato nella nostra coppa: creare la sensazione del movimento.
Se nel nostro caso l'espediente di tipo cinematografico riguarda l'impennata verso l'alto, Amasis tenta invece in quest'anfora, di realizzare l'impressione del movimento lineare in avanti dei quattro cavalli e ci riesce, anche in questo caso, benissimo. Pare addirittura che tutta la raffigurazione non rappresenti altro che le varie fasi del movimento del primo cavallo di destra verso sinistra (e che tale interpretazione non sia esatta lo arguiamo solamente dal fatto che le vesti dei cavalieri siano diverse tra loro).
Vien da pensare agli squallidi tentativi dei futuristi che utilizzarono espedienti simili solo 2.500 anni dopo e solo perchè già a conoscenza delle tecniche cinematografiche. Questa corrispondenza di intenti non lascia dubbi sull'attribuzione della coppa ad Amasis: anche le caratteristiche dei cavalli e dei cavalieri sono identiche, identiche sono le capezze, identiche le posture e le dimensioni delle zampe dei cavalli, caratterizzate da un'estrema sottigliezza, talvolta esagerata soprattutto nell'attacco alle cosce.
Amasis è quindi sicuramente l'artista che ha decorato questa kylix con i Dioscuri.
Credo sia inutile sottolineare l'importanza della kylix sopraccitata: essa ci da la certezza del fatto che la pittura greca, già metà del VI secolo a.C.  si poneva il problema di superare la staticità bidimensionale dei dipinti attraverso la ricerca della resa del moto.

BREVE SPECIFICA SULLE MIE QUALIFICHE (vedi poi biografia)

Allego una mail speditami da James Beck, massimo esperto mondiale di pittura rinascimentale italiana, Columbia University, New York, con cui collaborai per 5 anni, in cui egli afferma praticamente che io sarei il più grande Storico dell’Arte esistente.

Allego altresì un’intervista del Corriere a Marco Meneguzzo docente di Storia dell’Arte a Brera che sottolinea la correttezza delle mie analisi, in questo caso relative alla Madonna del Parto di Piero della Francesca 

 

 AMASIS: IL PIU' GRANDE DEI SUOI CAPOLAVORI
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9 giugno 2015 2 09 /06 /giugno /2015 21:25
Fig.1

Fig.1

Provare la falsità di questo ciclo pittorico non ci porterà via molto tempo, basterebbe infatti esaminare la fig.1 per chiudere la questione.

Bene, la freccia A, indica la zampa anteriore destra del bovino che è stata disegnata in visione prospettica estremamente complessa, esattamente secondo questi principi:

primo, la zampa è parzialmente nascosta (nella zona alta) dal corpo dell’animale,

secondo, la zona terminale della zampa medesima è molto, molto più in alta di quella della zampa sinistra.

Bene, ciò allude ad una specifica situazione prospettica che è quella della visione dall’alto che fa si che la zampa più lontana appaia più corta (perché nascosta parzialmente dal corpo) e con la parte terminale impostata più in alto in quanto più lontana di quella della zampa sinistra.  peccato però che questa situazione disegnativa non possa sussistere in un “dipinto” di quell’epoca:

è assolutamente impossibile che, 37.000 anni fa, qualcuno possa aver avuto cognizioni prospettiche di questo genere. Solo nel VI sec. a.C. compaiono disegni a questo livello, cioè 34.500 anni dopo!!  Come se non bastasse la testa del bovino (bue muschiato?) sempre di fig.1, è disegnata di scorcio (è infatti leggermente ruotata verso di noi) e mostra, oltre al sinistro anche il corno destro quasi per intero che invece dovrebbe essere percepibile, in una visione di profilo, solo nella parte alta. Fino alla fine del IV sec. a.C. nessuno si era mai sognato di poter disegnare una cosa del genere! Ci ritroviamo quindi di nuovo con un anticipo di 34.500 anni. Mi sembra chiaro che gli “esperti” che hanno analizzato queste pitture, ammesso che ciò sia stato fatto, non avevano la più pallida idea di come le capacità dell’uomo di disegnare si sia sviluppata e dei tempi in cui ciò è avvenuto. Supporre che sia esistito qualcuno, 37.000 anni fa, capace di produrre il disegno in fig.1è cosa demenziale o che deve presupporre un altrettanto demenziale intervento di extraterrestri.

Ma non solo questo disegno presenta caratteristiche che lo datano con assoluta sicurezza a dopo il 400 a.C.,vediamo infatti come in molti animali (sicuramente in 6) le orecchie sono disegnate con straordinaria maestria prospettica

Fig.2

Fig.2

Fig.3

Fig.3

Fig.4

Fig.4

Fig.6

Fig.6

Nei disegni in fig. 2-3-4 e in quelli A-B-C-D di fig. 6 abbiamo messo in risalto la dislocazione delle orecchie degli animali che alludono ad una leggera rotazione verso di noi delle teste degli animali medesimi.

Tutte queste orecchie sono disposte in modo identico, cioè in questo:

vediamo un orecchio più alto che emerge dal profilo dell’animale ed uno sapientemente (o dobbiamo dire demenzialmente, visto che il disegno doveva sembrare preistorico?) collocato più in basso, ma non basta, quello più basso è sempre spostato verso destra rispetto a quello più alto.

Bene, dipingere un’orecchio più basso serve per farci percepire la testa dell’animale inclinata verso di noi, ma questa trovata, che può sembrare semplicissima ai neofiti del disegno, è invece complicatissima ed è stata acquisita anch’essa solo circa 2.400 anni fa. Ma incredibile è poi l’adozione dello spostamento dell’orecchio a destra! questa è cosa che ci proietta in una dimensione talmente più complessa (anch’essa non più antica di 2.400 anni) che veramente non capiamo come nessuno prima di me abbia rilevato l’assurdità della cosa: questo spostamento a destra infatti, sottolinea la volontà del disegnatore di incrementare il movimento della testa dell’animale verso di noi con un’ulteriore, leggera rotazione anche all’indietro!!!!

Torsione verso di noi e contemporanea rotazione all’indietro, cosa che molti pittori contemporanei, strapagati e famosissimi, non riescono a fare! Solo un’assoluta incompetenza relativa alla storia dell’evoluzione del disegno può aver fatto si che nessuno smascherasse questo falso! Falso che tra l’altro definirei immondo perché non possiede il minimo fascino artistico ma dimostra chiaramente di essere stato prodotto da una mente completamente priva di senso armonico.

Lo squallore di queste pitture è agli antipodi di ogni valenza artistica anche se preso per quello che è, e cioè un falso contemporaneo.

Ma non finisce qui, l’ “artista” falsario era talmente ignaro di storia del disegno che ha esasperato le “caratteristiche prospettiche” inserendo altri particolari ancora più complessi di quelli appena presi in considerazione

Fig.7

Fig.7

Vediamo come in fig.7 (che integra verso sinistra la progressione della sfilata di animali della fig. 6) compaiano due quadrupedi con le orecchie disposte in modo diverso (part. A-B). Bene, la figura in part. A è piuttosto chiara e non lascia adito a dubbi: in questo caso l’orecchio destro non è più in alto del sinistro ma più o meno alla stessa altezza e non solo compare da dietro la testa dell’animale ma è anche in parte coperto dalla testa medesima (è infatti assai più corto in quanto ne percepiamo solo la cima). Stessa cosa vediamo accadere nelle orecchie dell’animale in part. B (anche se queste sono tra loro quasi di identiche dimensioni) e non ci vuole molto a capire che questa volta il pittore vuole che vediamo queste teste di scorcio da dietro.

Siamo addirittura al PROFILO DI SCORCIO POSTERIORE!!

Sono obbligato a ripetermi, ma questo è il colmo dell’assurdo, solo dopo il IV sec. a.C. compaiono profili di questo tipo ed esistono altresì solo rarissimi pittori contemporanei che riescono a disegnare un profilo di scorcio da dietro! Qui tali profili li avrebbe realizzati invece un “artista” di 37.000 anni fa??? e nessuno ha mai evidenziato questa assoluta stupidaggine?

Ma spieghiamo anche perché il falsario disegna in questo complicatissimo modo le due teste soprindicate: questi due animali, come potete vedere, sono i più lontani dal branco in movimento, più o meno in testa al branco medesimo e spostati alla sua estrema destra, bene, il pittore ha voluto, in questo modo, dare una maggiore variante di moto all’insieme facendo percepire le due bestie indicate con le frecce A e B come se si dirigessero verso destra mentre ha voluto che vedessimo quelle al centro e sul lato sinistro del branco come si stessero aprendo verso sinistra.

Un espediente dinamicamente molto carino, PECCATO PERO’ CHE UNA COSA DEL GENERE L’UOMO ABBIA IMPARATO A CONCEPIRLA SOLO, COME AL SOLITO, 34.500 ANNI DOPO.

Vediamo poi come il nostro disegnatore abbia provveduto a dipingere anche una testa con corna vista di scorcio da dietro (fig. 7a ),

Fig.7a

Fig.7a

portando così al parossismo la falsità dell’insieme pittorico.

Se ancora non bastasse riscontriamo un’altra enorme sciocchezza nella testa oscena di animale che vediamo a fig.8.

Fig.8

Fig.8

Come potete vedere in fig. 8, l’occhio è disegnato di profilo, inserito cioè in una specie di triangolo, peccato però che gli occhi di profilo siano sempre stati dipinti in tutto il globo, fino 500 a.C. come se fossero visti di fronte

Fig.9 Volto dipinto da Euthymides, 520 a.C.

Fig.9 Volto dipinto da Euthymides, 520 a.C.

Fig.10 Pittore della Gorgone 580 a.C.

Fig.10 Pittore della Gorgone 580 a.C.

Fig.11 Cavalli dipinti da Exekias, 540 a.C.

Fig.11 Cavalli dipinti da Exekias, 540 a.C.

Fig.12 Volto dipinto da Epiktetos, 515 a.C.

Fig.12 Volto dipinto da Epiktetos, 515 a.C.

e che solo nel 450 a.C. circa, l’occhio si sia trasformato in triangolini simili a quello che vediamo in fig.8,

Fig.13,  450 a.C.

Fig.13, 450 a.C.

Fig.14,  450 a.C.

Fig.14, 450 a.C.

come possiamo notare in questi due vasi attici di quel periodo (fig.13-14).

L’occhio si aprirà poi sempre di più col passar del tempo,fino a diventare un triangolo similissimo a quello in fig. 8.

LA TESTA DI TORO CHE PROVA DEFINITIVAMENTE LA FALSITA’DELLE PITTURE

Fig.14a

Fig.14a

Fig.15

Fig.15

Fig.16  Rython minoico

Fig.16 Rython minoico

Estremamente inquietante è la corrispondenza della testa di toro (fig. 15) rintracciata in questo ciclo (vedi fig.14a) con quella famosissima ritrovata a Creta (fig. 16) e risalente al 1500 a.C. (trattasi di un rython in steatite di estrema bellezza).

Vediamo come il dipinto presenti il collo” ritagliato”con la medesima forma di quello di Creta, ad ellisse appuntita verso il basso (la protuberanza in alto a destra è un orecchio e non il proseguo del collo) e si trovi nella medesima posizione in cui è esposto il rython al museo di Iraklio (cioè sospeso sulla punta inferiore del collo). La posizione e la dimensione dell’orecchio destro del bovino dipinto sono poi identiche a quelle del toro dell’Iraklio, e ritroviamo anche la medesima zona chiara attorno alle narici.

Non è poi da poco il fatto che entrambe le teste siano molto scure.

Ma grandi margini di certezza ci da la parte alta della linea ritagliata del collo che, a destra, chiude in entrambe subito sotto il corno, alla medesima altezza rispetto all’occhio e intersecando sempre la base dell’orecchio medesimo. Orecchio che si trova nella stessa posizione e con similare estensione verso l’esterno, ma una cosa appare categoricamente comprovante: l’orecchio del toro di Creta pare essere situato troppo in basso rispetto alla testa, e da l’impressione di trovarsi appiccicato a una zona troppo bassa del collo, troppo lontano dalla testa. Bene, LA STESSA STRUTTURAZIONE LA RITROVIAMO NEL DIPINTO, DOVE L’ORECCHIO E’ STATO EFFETTIVAMENTE APPICCICATO AD UNA PARTE MOLTO BASSA DEL COLLO DELL’ANIMALE.

Ma il falsario ha commesso un altro errore madornale, cioè quello di dipingere sulla destra (per chi guarda) del toro di Creta, altre tre teste di toro esteticamente terrificanti (sono di una bruttezza deprimente) che nulla hanno a che vedere con quella copiata dal rython minoico che risulta invece l’unica testa bovina ben disegnata con ricchezza di particolari! Risulta quindi chiaro dalla comparsa di questa testa e dalle comparazioni con le teste che la affiancano che solo copiando egli è in grado di disegnare una testa di toro che possegga una decente qualità artistica.

Questa testa della caverna, essendo l’unica ad essere trattata con accuratezza di particolari ed essendo questi particolari identici a quelli che contraddistinguono il rython mimoico è quindi sicuramente stata copiata da quest’ultimo.

Dato che questo rython è un ritrovamento archeologico recente (1960 circa), siamo adesso anche in grado di datare i falsi dipinti che interessano tutto il ciclo in quanto prodotti dopo la scoperta della testa di toro di Creta: trattasi di pitture eseguite con certezza non prima del 1960!

Conferma la datazione il fatto che le pitture della grotta siano state scoperte appunto 34 anni dopo, cioè nel 1994.

Beh, non c’è male, da 37.000 anni fa al 1960 non è una variante di datazione da poco.

Alberto Cottignoli 10/06/2015

BREVE SPECIFICA SULLE MIE QUALIFICHE (vedi poi biografia)

Allego una mail speditami da James Beck, massimo esperto mondiale di pittura rinascimentale italiana, Columbia University, New York, con cui collaborai per 5 anni, in cui egli afferma praticamente che io sarei il più grande Storico dell’Arte esistente.

Allego altresì un’intervista del Corriere a Marco Meneguzzo docente di Storia dell’Arte a Brera che sottolinea la correttezza delle mie analisi, in questo caso relative alla Madonna del Parto di Piero della Francesca 

 

LA GROTTA CHAUVET-PONT-D’ARC: UN FALSO CLAMOROSO E PURE BRUTTISSIMO
LA GROTTA CHAUVET-PONT-D’ARC: UN FALSO CLAMOROSO E PURE BRUTTISSIMO
LA GROTTA CHAUVET-PONT-D’ARC: UN FALSO CLAMOROSO E PURE BRUTTISSIMO

MANZONI IN VATICANO?

Cari colleghi, storici dell’arte, che leggete i capolavori antichi come se fossero tante sciocchezze perché non potete certo mettervi al pari col genio che li produsse, voi, causa l’avvilimento a cui assoggettate la grande pittura, siete i responsabili del tragico accreditarsi nel mondo delle oscene, finte ciofeche dell’arte contemporanea.

Se veramente i capolavori del passato avessero la loro giusta lettura le opere contemporanee apparirebbero in tutta la loro superficialità, faciloneria e stupidaggine, mentre l’incapacità degli addetti al mestiere di capire alcunché delle meraviglie del passato, fa si che avvenga esattamente il contrario.

Verrà il giorno in cui vedremo, in Vaticano, al posto della Pietà di Michelangelo, una scatoletta di merda, si spera almeno ben sigillata?  

Ma di chi è la colpa maggiore dell’affermarsi delle porcherie dell’arte contemporanea, oltre a mercanti, critici d’arte e banche, banche che in assoluto anonimato finanziano questo lucroso disastro? I maggiori colpevoli sono i “Grandi Collezionisti”, disgraziati fabbricanti di detersivi, di sardine in scatola, di preservativi  e quant’altro, spesso quasi analfabeti e privi di qualsiasi sensibilità estetica che, magari quando cascano loro i capelli rimediano in maniera geniale col “riporto”, sono loro i veri colpevoli: questa razza disgraziata non compra le opere d’arte perché “gli piacciono”, ma semplicemente perché “gli mancano”, come una moneta o un francobollo! Basta che gli si faccia credere che il pittore è famoso ed ecco che questi colossali pirla ne vogliono possedere un’opera, magari semplicemente per non essere secondi all’industriale amico più fesso di loro. Spesso manco gli interessa guardare attentamente l’opera, basta che sia dell’autore che gli manca.

Al mercato dell’arte tutto ciò non sembra vero: la più orrenda ciofeca può diventare così “oggetto artistico da collezione” cosa che permette di ridurre infinitamente le spese di acquisto presso gli artisti.

Spruzzami una tela tutta d’azzurro con uno spray” dice il mercante all’artista “ci metti pochissimo e puoi farne 50 al giorno, se te le pago € 10 l’una guadagni € 500 al giorno (15.000 al mese) e sei ricco”.

“Io poi” prosegue il mercante “organizzo mostre, articoli sui giornali, pubblicità fittizie con prezzi finti sempre più alti e la gente si convince che sei famoso, allora arrivano quei pirla di “grandi collezionisti” ed il gioco è fatto: sono centinaia di migliaia solo in Italia e non si riuscirà nemmeno ad accontentarli tutti. E man mano che i “pirla collezionisti” abboccano, i prezzi crescono.”

Basterebbe eliminare tutti i grandi collezionisti e l’arte contemporanea tornerebbe finalmente sul binario giusto, quello determinato da chi i quadri li compra perché “gli piacciono”.  Che solo questa è la motivazione corretta per acquistare un’opera d’arte.

Miei cari colleghi “Storici dell’Arte”, che non fate che ripetere stancamente ciò che dissero Berenson e Longhi (che mai, di nemmeno di un quadro capirono qualcosa) e che mi ignorate perché troppo vi spavento, a voi mi rivolgo rifacendomi allo splendido Sordi del “Marchese del Grillo” sperando che capiate la “sottile ironia”:

IO SONO CIO’ CHE PRIMA DI ME NON E’ STATO MAI E CHE DOPO DI ME NON POTRA’ MAI PIU’ VENIRE  E, VOI ……. NON SIETE UN CAZZO.

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13 maggio 2015 3 13 /05 /maggio /2015 23:07
Fig.1 ricostruzione fotografica d’assieme della parte fondamentale del ciclo pittorico in esame che si sviluppa in realtà su tre pareti

Fig.1 ricostruzione fotografica d’assieme della parte fondamentale del ciclo pittorico in esame che si sviluppa in realtà su tre pareti

Ringrazio innanzitutto il Vesuvio e le centinaia di persone scomparse in quel tragico frangente, il cui sacrificio ha permesso che questo capolavoro potesse giungere fino a noi anche se ancora quasi del tutto incompreso.

Ma s’è fatto tempo, dopo duemila anni, che finalmente di questo dipinto venga svelato il segreto.

L'AUTORE DEL DIPINTO

Lo sconosciuto autore di quest'opera viene comunemente definito "pittore locale" in quanto comparato con altre pitture parietali pompeiane che rivelano maggiore maestria nell'esecuzione, soprattutto per quanto riguarda l'anatomia dei personaggi. Chi così semplicemente lo definisce sembra non rendersi conto del fatto che tutte le altre pitture di Pompei non sono che copie di opere greche, e per giunta copie delle copie che dall'attica venivano fatte pervenire in Italia. La perizia degli altri pittori che operarono a Pompei non è quindi da imputare ai pittori medesimi, bensì a chi, ad Atene, produsse gli originali che loro copiarono. Alla luce di questa precisazione la dimensione dell'autore del ciclo che prendo adesso in esame, che agisce invece in piena autonomia (rivelata con certezza dal tema del dipinto che sarà ben chiarito alla fine della trattazione) si eleva enormemente al di sopra dei pedissequi copisti che decorarono le case di Pompei. Nel panorama generale di tutta quella che definiamo "Arte romana" e che invece si manifesta semplicemente nel copiare gli originali greci, questo dipinto assurge ad importanza colossale in quanto ci ritroviamo faccia a faccia con un'opera ad altissimo livello che finalmente si manifesta come prodotto di un pittore romano che lavora in totale indipendenza (anche se i riferimenti presenti all'interno del ciclo si rifanno alla mitologia greca). Il valore di questo dipinto, al di là di quello estetico, che è altissimo, sta anche nel suo essere una delle rarissime grandi manifestazioni artistiche che possiamo definire veramente "romana" e non semplicemente e tristemente "copia di opera greca".   

 

ANALISI DEL DIPINTO

 

Due cose sono da chiarire anzitutto per poter capire il senso di questo grandioso ciclo pittorico, la prima, mai presa in considerazione, è che, a parte il rosso delle pareti, il colore dominante in tutti gli episodi, fondamentalmente quello delle vesti, è il VIOLA (anche se il restauro ha eliminato le infinite sfumature di questo colore che il pittore aveva utilizzato e che davano al dipinto una ricchezza cromatica che adesso non possiede più), la seconda è che il giovanissimo personaggio raffigurato all’inizio del ciclo non è di sesso maschile ma femminile.

Riguardo al secondo problema chiarisco che probabilmente i restauri novecenteschi nella zona dell’inguine hanno confuso le cose ma, le forme del personaggio sono categoricamente femminine e quella traccia all'inguine presente dopo il restauro intesa come attributo sessuale maschile (che non possiede invece alcuna forma determinata in tal senso in quanto neppure sono presenti i testicoli, fig. 2) non rappresenta assolutamente nulla del genere. Basta infatti controllare la foto scattata prima del restauro (fig.2a)

Fig. 2 Ingrandimento dell’inguine della bambina dopo il restauro

Fig. 2 Ingrandimento dell’inguine della bambina dopo il restauro

Fig.2a,  Ingrandimento dell'inguine della bambina prima del restauro

Fig.2a, Ingrandimento dell'inguine della bambina prima del restauro

Fig.2b,  Evidenziazione della zona dell'inguine della bambina prima del restauro

Fig.2b, Evidenziazione della zona dell'inguine della bambina prima del restauro

per rendersi conto che la linea che avrebbe dovuto individuare il fallo non terminava, nel suo ritorno in alto verso destra, su quella dell'inguine, ma piegava nuovamente verso il basso a ricostruire una seconda protuberanza (fig.2b, part.A) con una specie di peduncolo in cima: una cosa che nulla aveva a che vedere con l'attributo sessuale maschile ed il motivo che spinse il restauratore ad agire in tal modo incongruente, probabilmente ci resterà sempre ignoto.  Ma un'altra linea prende invece evidenza dalla foto antecedente al restauro, quella segnalata in rosso al part. B della fig.2b, una linea che era modulata in modo da individuare il delicato segno della fessura di un sesso femminile!!! 

Conferma poi senza ombra di dubbio tutto questo, il fatto che gli episodi successivi si riferiscano all’evolversi di eventi riguardanti sempre il medesimo personaggio, che è chiaramente femminile e non maschile e quindi non si vede cosa c’entri l’inserimento nell’episodio iniziale di un personaggio di sesso diverso o addirittura di un Dioniso fanciullo, quando, per rispettare la cronologia è invece appunto necessaria, all’inizio dello sviluppo degli eventi, la rappresentazione della protagonista ancora bambina. Ma che del medesimo personaggio si tratti ce lo rivela un particolare: il piccolo papiro, che la bambina legge attentamente nel primo episodio, lo ritroviamo nell’episodio successivo, inserito nella veste del personaggio che versa da bere a lei, oramai cresciuta.

 

Per quanto riguarda il colore viola, basta fare riferimento al mito di Dioniso ed Ametista per rendersi conto che, per l’antichità greco-romana, il colore del vino viene ritenuto il viola, quali che siano le motivazioni (probabilmente all’epoca permaneva  nel vino il colore del mosto) poco interessa, fatto sta che è chiaro che questo è il colore attribuito al vino a quei tempi.

 

IL MITO DI AMETISTA

 

Dioniso si invaghì della ninfa Ametista che cercò di sfuggirgli, ma il Dio le scagliò contro i suoi leopardi. Ella allora chiese aiuto ad Artemide a cui aveva votato la sua verginità e la Dea per salvarla la trasformò in una statua di cristallo. Il Dio allora, preso dal furore, rovesciò sulla statua una coppa di vino che diede al cristallo quel colore: nacque così l’ametista (fig. 3).

 

Fig. 3  Cristalli di ametista
Fig. 3  Cristalli di ametista

Fig. 3 Cristalli di ametista

Bene, non è adesso difficile immaginare, anche in assenza di dati storici, che il colore utilizzato nei baccanali fosse il viola e che gli adepti avessero le vesti di questo colore. Basta infatti osservare attentamente tutto questo ciclo pittorico per rendersi conto che la quasi totalità delle cose che hanno a che fare con Dioniso ed i suoi riti, soprattutto le vesti ed i panni, sono di colore viola.

I DANNI APPORTATI DAL RESTAURO

Occorre pero puntualizzare una cosa: il pittore dipinse le vesti dei personaggi con sfumature di viola di varie tonalità, cosa che dava una raffinatissima ricchezza cromatica al dipinto (tutto ciò è ben fruibile dalle foto di qualche anno fa), purtroppo il restauro contemporaneo ha asportato le velature che producevano le succitate differenze di tonalità e ci è rimasta solo la base viola monocromatica utilizzata dall’artista come supporto. Tutte le vesti appaiono adesso di un colore viola pressoché identico e ciò da luogo ad un’omogeneità cromatica ossessiva che terrorizzerebbe l’autore se questi potesse tornare in vita. Ci si chiede perché i restauratori novecenteschi, coi poveri mezzi che possedevano, riuscirono a mantenere inalterate le varianti cromatiche, mentre quelli moderni, dotati dei mezzi più sofisticati, abbiano invece prodotto tali enormi danni.

Forse che la spiegazione si nasconde nelle diverse motivazioni morali che differenziano i moderni restauratori dagli antichi?

Bene, a parte i problemi succitati relativi al restauro, siamo adesso in grado di ricostruire il senso globale di questo ciclo.

PRIMO EPISODIO

Fig. 4  Fanciulla che legge un papiro attorniata da due donne

Fig. 4 Fanciulla che legge un papiro attorniata da due donne

Fig.4a Ingrandimento del vassoio e del suo contenuto

Fig.4a Ingrandimento del vassoio e del suo contenuto

La fanciulla, che vediamo all’interno di una stanza (fig. 4) che molto probabilmente non è quella della sua famiglia, viene educata da una “insegnante”, evidentemente molto particolare (la figura femminile dietro di lei), ai primi principi dionisiaci in presenza di una matrona: che di insegnamenti dionisiaci si tratti ce lo confermano il fatto che la bambina sia nuda, la spalla scoperta dell’”insegnante” e il delicatissimo color viola della sua veste, ottenuto, ci pare, da una leggerissima velatura di viola su un bianco brillante (probabilmente a sottolineare il tentativo di sovrapposizione dei principi negativi dionisiaci all’animo ancora candido ed inconsapevole della bimba). Inquietante è la matrona sulla sinistra che guarda la scena tenendo il braccio destro appoggiato al fianco con atteggiamento perentorio confermato dalla piega verso il basso dell'angolo bocca che sottolinea un atteggiamento determinato e prevaricatore (ma su questo torneremo alla fine).

Importantissima, in questa scena, è la postura della bambina che legge il papiro che le è stato dato: essa ha LE SPALLE LEGGERMENTE SOLLEVATE E RISTRETTE, CIOE' HA L'ATTEGGIAMENTO DI CHI SI TROVA DAVANTI QUALCOSA CHE LO SPAVENTA E CON CUI NON VORREBBE AVERE A CHE FARE. E' questo atteggiamento contrito che ci da la sicurezza di trovarci di fronte ad una innocente bambina e non certo a Dioniso fanciullo che avrebbe invece letto con grande interesse e godimento gli insegnamenti relativi al proprio culto.

 

Sulla destra poi, è già presente uno personaggio femminile dall'atteggiamento ambiguo che ci guarda ammiccante, certa di essere da noi adulti capita, che muove verso l’episodio successivo.

Sul contenuto del vassoio si è a lungo discusso ma, un ingrandimento del pre-restauro, pare suggerire che si tratti di una pezza di stoffa di color viola bordata in oro accuratamente ripiegata. Ci convince di questo il fatto che nel secondo episodio la protagonista (la donna di spalle oramai adulta) stia controllando con la mano sinistra appunto un drappo viola che un'ancella le porge, appoggiato sulla scatola entro cui probabilmente era contenuto (fig.5). La cosa è ultriormente confermata dal fatto che, sempre nell'episodio successivo, la protagonista stringa nella destra il ramoscello che veniva portato dall'ancella del primo episodio assieme al vassoio. Per quanto riguarda l'abbigliamento di questa ancella incedente, notiamo come ella abbia il capo cinto da una corona di foglie e, particolare determinante, come la parte di veste che le cinge i fianchi sia di colore viola. Queste caratteristiche accennano già a quanto succederà in seguito: le foglie che simboleggiano la dimensione boschiva e il ramoscello simile a quello che compare nella mano della protagonista nell’episodio successivo (ricordiamo che l’esito del rito dionisiaco era collegato al ciclo vitale della vegetazione), nonché la comparsa del colore viola nella veste, paiono volerci pacatamente introdurre in una dimensione dionisiaca che tenderà poi a concretizzarsi negli episodi successivi.

SECONDO EPISODIO

Questa tensione dionisiaca si sviluppa infatti già concretamente nell’episodio successivo,che ha tutto il sapore della cerimonia di iniziazione (fig. 5),

Fig. 5   Tre donne attorno ad un tavolo

Fig. 5 Tre donne attorno ad un tavolo

Fig.5a Particolare della protagonista che solleva il drappo viola

Fig.5a Particolare della protagonista che solleva il drappo viola

infatti vediamo che la protagonista, seduta di spalle, è già coronata di foglie, ha il capo coperto da un fazzoletto listato di viola e il telo stesso che copre la sedia è viola nella parte inferiore. Ella solleva poi con la mano sinistra (come già detto) una stoffa viola appoggiata su una scatola, che probabilmente la conteneva, che le viene porta da un'ancella, quasi a soppesare la possibilità di vestirsi anch'ella di quel colore. Ci conferma il rito di iniziazione alle pratiche dionisiache il fatto che ella stringa nella destra un ramoscello simile a quello che portava la donna nell’episodio precedente

 Fig. 6 Particolare del vaso che versa acqua

Fig. 6 Particolare del vaso che versa acqua

Fig.6a  Particolare di pre-restauro

Fig.6a Particolare di pre-restauro

e che si accinga a lavarlo nell’acqua che il personaggio alla sua destra versa dal recipiente (fig. 6) nella vaschetta che vediamo sotto la mano della protagonista, a simboleggiarne la vitalità e la rinascita (di nuovo si ricorda come l’esito del rito dionisiaco fosse collegato al ciclo vitale della vegetazione). Il restauro moderno ha cancellato parte della mano che stringe il ramoscello e la parte terminale della vaschetta in cui viene versata l'acqua che erano probabilmente integrazioni novecentesche(fig.6a).

Ma da quale inquietante personaggio riceve acqua la vaschetta in cui sta per essere immerso il ramoscello (fig. 7)!

                      Fig. 7  Particolare della donna che versa acqua con il vaso

Fig. 7 Particolare della donna che versa acqua con il vaso

Trattasi di una donna le cui orecchie stanno acquisendo l’appuntita forma di quelle dei satiri ( vedremo poi il completo sviluppo delle orecchie nei personaggi dell’episodio successivo), che ha testa coronata di foglie e la veste di color viola e, dalla parte di questa stretta ai fianchi, spunta un rotolo di pergamena.

Ma in che inquietante posizione si trova questo rotolo!

Sicuramente si tratta della stessa pergamena con insegnamenti dionisiaci che la protagonista leggeva da bambina ma, il suo inserimento in questo punto, con questa forma, con queste dimensioni e con questo colore, evidenzia senza ombra di dubbio l’intenzione del pittore di simboleggiare un fallo eretto, in perfetta attinenza con le orecchie satiresche del personaggio e col suo vestiario anche se questi è di sesso femminile.

Con che animo poi, la protagonista si disponga a divenire una “panisca”, possiamo percepirlo dalla sua espressione (fig. 8):

Fig.7  Particolare del volto della protagonista

Fig.7 Particolare del volto della protagonista

Gli angoli della bocca piegati in basso, la pupilla spostata invece in alto, semicoperta dalla palpebra, denotano la profonda amarezza con cui ella si sta sottoponendo a questa cerimonia. E’ ben chiaro che ella sta subendo una costrizione a cui non può sottrarsi ma che le sue intenzioni sarebbero ben altre.

E’ poi qui necessario far presente che l’iconografia tradizionale sostiene una colossale sciocchezza, e cioè che la protagonista si accingerebbe ad un “bagno rituale”, sottintendendo quindi che la struttura che le sta davanti sia una vasca e che quindi il personaggio di destra stia versando acqua nella vasca medesima

Bene, è invece ben visibile che la parte sinistra della supposta "vasca" non è che una scatola sorretta dall'ancella (sotto è infatti ben visibile in fig.5, il rosso della parete retrostante) e che quanto si trova davanti alla protagonista si limita a un piccolo supporto sulla sua destra, che sorregge la vaschetta e che risulta nascosto dalla sua persona. Ancor più ci inquieta il fatto che non ci si sia accorti che l’acqua che esce dal vaso scenderebbe sul bordo della "supposta vasca" e non dentro (fig. 6), ma quello che veramente non riusciamo a capire è come qualcuno abbia potuto pensare che per riempire una vasca si possa utilizzare un recipiente di quelle dimensioni: non basterebbero centinaia di viaggi per avere una quantità di acqua sufficiente.

Completa l’interpretazione della cerimonia di iniziazione il fatto che la protagonista stia guardando sulla destra la raffigurazione di un habitat tipicamente dionisiaco (fig. 9).

TERZO EPISODIO

Fig. 9   Scena di ambientazione dionisiaca

Fig. 9 Scena di ambientazione dionisiaca

Sottolineiamo come tutta questa parte di pittura a destra della protagonista, che va dal sileno alla menade col velo sopra la testa, può essere interpretata come una sua dimensione mentale più che una situazione concreta. Questa zona interrompe infatti la progressione degli eventi e ha lo scopo di far capire allo spettatore che il fulcro ispiratore di tutta la rappresentazione è appunto la dimensione dionisiaca ed i suoi riti.

L’habitat dionisiaco che interrompe simbolicamente la successione degli eventi non merita molta attenzione in quanto facilmente interpretabile: il sileno e la menade all'estrema destra non hanno bisogno di commenti, come pure la capra (evidente simbolo di accoppiamento), ma si resta incerti sulla natura dei due personaggi centrali: quello che suona il flauto e quello che accarezza il cerbiatto (non ci sembra infatti che lo stia allattando, non c’è infatti nessuna evidenza del seno e se il pittore avesse voluto farci capire questo avrebbe allargato maggiormente verso sinistra il tratto che separa il braccio dal pettorale): inoltre non può trattarsi di un satiro e di una “panisca”, come più volte affermato, in quanto i satiri non si sono mai sognati di indossare delle vesti e l’identificazione con una panisca della seconda figura è di nuovo impossibile in quanto dovrebbe avere orecchie normali e non satiresche ed innaturalmente allungate come quelle che vediamo. L’ipotesi più probabile è quindi quella già accennata: ci troviamo di fronte ad una dimensione mentale della protagonista nella quale degli esseri umanissimi prendono forme negative associabili ai personaggi dei riti dionisiaci in cui sono immersi. Lo stesso personaggio che versa l’acqua nell’episodio precedente è da interpretarsi in tal modo in quanto non esistono né nella realtà né nella mitologia personaggi di tal genere.

QUARTO E QUINTO EPISODIO

Ma continuiamo l’analisi di questo capolavoro spostandoci ancora verso destra, dove di nuovo riprende la narrazione degli eventi che interessano la protagonista (fig. 10)

Fig. 10 Dal sileno che mostra il vaso alla figura alata

Fig. 10 Dal sileno che mostra il vaso alla figura alata

Tutto ricomincia con un vecchio sileno che, dice la lettura iconografica tradizionale, offre da bere ad un satiro, ma anche qui riscontriamo un errore evidente:

Fig. 11  Particolare del sileno che mostra il contenuto del vaso a un adepto

Fig. 11 Particolare del sileno che mostra il contenuto del vaso a un adepto

in primis non si tratta di satiro (i satiri hanno volti caprini e capelli incolti, spessissimo stempiati e non indossano mantelli ma al massimo pelli di leopardo e non sono certo accuratamente pettinati come questo che vediamo e quello a lui retrostante) ma di adepto vissuto nell’interiorità della protagonista come satiro, il quale non si sta minimamente sognando di bere dallo skyphos. Il sileno gli porge il contenitore perché lui vi guardi dentro ed è appunto questo che l’adepto sta facendo! Egli non si accinge a bere, bensì sta guardando con estrema attenzione l’interno del vaso! Ce lo rivela la pupilla sua che fissa il fondo del vaso e non il liquido (fig. 11) che, con quella inclinazione sarebbe invece spostato verso di lui. Ciò che avviene è di un’evidenza disarmante, si sta praticando l’”oinomanzia”, cioè la lettura dei fondi del vino rimasti all’interno dei vasi, finalizzata a predire il futuro! Una pratica largamente in uso tra i romani e dalla quale si sviluppò poi quella della lettura dei fondi di thé e di caffè. E di chi sia il futuro che viene letto ce lo dice la testa del vecchio sileno e lo sguardo suo girati verso sinistra, verso la protagonista dell’episodio di iniziazione (la raffigurazione antecedente interposta, di habitat dionisiaco, abbiamo già detto che non fa parte della successione degli eventi) e la tragicità di quanto l’adepto-satiro veda nel vaso ci è rivelata dall’altro adepto a lui retrostante che innalza sopra il compagno una maschera tragica anch’essa di sileno. E’ da questo momento in poi infatti, che il ritorno non è più possibile e la nostra protagonista si immerge definitivamente nei riti dionisiaci fino, come vedremo in seguito, alle più estreme conseguenze. Domina infatti il proseguire della rappresentazione, in un nuovo episodio sulla destra, un Dioniso ebbro e discinto, mollemente e sensualmente disteso probabilmente tra le braccia di Afrodite (il cedimento dell’intonaco ci impedisce un sicuro riconoscimento di questo personaggio assiso su trono, ma pochi dubbi sussistono sulla sua natura) mentre, proseguendo verso destra

Fig. 12  La protagonista inginocchiata davanti al fallo

Fig. 12 La protagonista inginocchiata davanti al fallo

ricompare la protagonista (fig. 12) inginocchiata adesso davanti alla “cesta mistica” dentro la quale, sotto un telo viola, si nasconde un simbolo fallico di grosse dimensioni la cui forma è ben evidente.

Inquietante è poi l’asta, sicuramente un tirso, visto che vediamo un frammento di nastro giallo pendere dall’asta (part. A) molto simile a quelli che penzolano in quantità dall’altro tirso appoggiato alle gambe di Dioniso,

 

      Fig. 13  Dioniso sdraiato su Afrodite (?)

Fig. 13 Dioniso sdraiato su Afrodite (?)

Fig. 14  Particolare del nastro che penzola dal tirso

Fig. 14 Particolare del nastro che penzola dal tirso

con cui qualcuno (probabilmente lo stesso dio del vino) l’ha obbligata ad inginocchiarsi davanti alla cesta premendola sulla spalla sinistra.

Anche qui siamo costretti a rilevare un colossale errore nella lettura iconografica tradizionale relativa all’atteggiamento della protagonista inginocchiata (fig. 15), lettura che recita “...una giovane donna in atto di proteggere il contenuto di un paniere coperto da un panno...”: ma quale atto protettivo? possibile che non ci si sia accorti del tirso che l'ha obbligata ad inginocchiarsi e che nessuno si sia chiesto come faccia il panno a reggersi, teso com’è verso l’alto? Quale magica forza lo attira? Forse che la nostra protagonista, è un’antenata del mago Silvan ed esperta quindi di levitazione? Forse che il panno è stato inamidato ad arte o forse che è sostenuto da quello, anch’esso forse abbondantemente inamidato che si distacca dai fianchi del personaggio alato?

Fig. 15  Particolare delle mani della protagonista e del panno che copre il fallo

Fig. 15 Particolare delle mani della protagonista e del panno che copre il fallo

Nessuno si è accorto che la mano della protagonista sovrapposta al panno è di fattura scadentissima al contrario di quella che accarezza il fallo che è invece molto ben eseguita? E come mai il panno termina in alto con quella netta linea orizzontale che lo fa levitare nel nulla, in modo assolutamente insensato? Come non capire che questa zona era sicuramente danneggiata all’epoca della scoperta e che un restauratore novecentesco ha operato un restauro completamente privo di senso? Sicuramente il panno era sostenuto in alto dalla mano della protagonista, mano che era naturalmente atteggiata in modo leggermente diverso.

Ma risolto questo problema, andiamo a cercare di decodificare chi sia e quale funzione abbia la figura alata armata di frusta.

La sua natura è sicuramente problematica ma tendiamo ad identificarla, con un certo margine di certezza, con una delle Lare, custodi della virtù di epoca etrusca (rappresentate quasi sempre alate), personaggi il cui culto, popolarissimo, attraversa tutto il periodo romano per arrivare poi addirittura ad assimilare le Lare agli angeli cristiani. L’atteggiamento di questo personaggio corrisponderebbe perfettamente alla natura di queste divinità, preposte appunto anche alla salvaguardia dei canoni di dirittura morale a cui la protagonista sta venendo meno: ella (la Lara) tenta, infatti, minacciandola con la frusta mentre si accinge a scoprire il fallo, di far desistere la protagonista dalle sue intenzioni.

Notiamo poi come la lettura iconografica tradizionale di un altro particolare di questo episodio sia assolutamente priva di senso: l’idea che questo personaggio alato stia frustando la donna dipinta sull’altra parete e non quella davanti a lui è semplicemente assurda, la postura delle gambe della supposta “Lara” non è assolutamente ricollegabile con un’azione diretta alle proprie spalle ma solo con un’azione laterale alla sua destra, la frusta è quindi alzata per colpire la figura inginocchiata davanti al fallo e la motivazione evidente è determinata dal fatto che ella sta compiendo un’azione moralmente disdicevole. Vediamo infatti come la donna alata sia visibilmente disgustata da quanto avviene davanti a lei e come cerchi di non vedere e di allontanarsi simbolicamente da quanto sta accadendo, alzando la mano sinistra (un gesto talmente usuale da potersi addirittura ritenere retorico e non si capisce perchè non sia stato riconosciuto).

Riguardo al fatto che la supposta “Lara” guarda verso destra, essa è così girata per due motivi: per distrarre lo sguardo dalla protagonista e da quanto ella sta facendo e contemporaneamente per invitaci a entrare nell’episodio seguente. Già avevamo visto come in ogni episodio fosse presente un personaggio che invitava con lo sguardo e l’azione  a passare all’episodio successivo: la donna con vassoio nel primo episodio ci invita a seguirla nel secondo e nel secondo la protagonista è girata a destra verso la rappresentazione dionisiaca; qui poi, la menade con velo alzato all'estrema destra dell'episodio, guarda di nuovo verso destra ad introdurci alla quarta scena. La figura alata è quindi anch’essa girata verso destra per assecondare la prassi di passaggio all’ultimo episodio rappresentato nella parete adiacente.

 

 

In ogni caso è chiaro che la figura alata interpretabile come “Lara” rappresenta una sorta di “divinità” positiva (infatti è l’unico personaggio alato) che si oppone alla discoverta del fallo.

Possiamo azzardare un’ipotesi: la figura sembra rappresentare il genio alato (una Lara appunto) preposto all’attività sessuale regolare, cioè legato ad un sano coinvolgimento sentimentale, ovviamente contrario all’orgiastica ed indiscriminata gestione dell’attività sessuale tipica dei riti dionisiaci: una specie di moraleggiante fustigatore non ignoto, anche se in altre forme, a tutte le epoche storiche. Non dimentichiamo che tutto questo corrisponde al fatto che poi dalle Lare sembrano essere derivati i “Lari”, cioè le divinità protettici della famiglia romana e quindi anche dei rapporti sessuali attuati all’interno di legami sentimentali ed istituzionalizzati.

Sottolineando che riteniamo che questa interpretazione sia molto vicina al vero, passiamo a decodificare l'episodio successivo.

SESTO EPISODIO

Fig. 18  Epilogo: la protagonista divenuta adepta dei culti dionisiaci

Fig. 18 Epilogo: la protagonista divenuta adepta dei culti dionisiaci

Chiarito che il personaggio seminudo affranto sulle ginocchia della donna che vediamo sulla parete adiacente (fig. 18), non piange perché viene frustato, diviene chiaro che si tratta sempre della nostra protagonista, oramai iniziata ai riti dionisiaci, ma perché si dispera? Questa sua reazione conferma l’impressione che fin dall’inizio avevamo avuto, suggerita fin dal primo episodio dall'atteggiamento della bambina e dall’espressione di lei cresciuta che avevamo rilevato nell'episodio successivo dell’iniziazione: ella si sta consacrando a Dioniso contro la propria volonta! Quali che siano le motivazioni di questa costrizione non lo sapremo mai, ma è indubbio che quella di diventare panisca non è una sua scelta.

Essendo fin da piccola soggetta ad insegnamenti dionisiaci possiamo immaginare che si tratti di un’orfana priva di beni e quindi costretta a comportarsi in tal modo per sopravvivere, ma in ogni caso la povertà deve essere stata senza dubbio la causa fondamentale del suo dover accettare le scelte che le furono imposte.

Ci conferma comunque il suo ingresso nella comunità dionisiaca il fatto che adesso indossi il panno viola che prima copriva il fallo nella cesta e il fatto che a consolarla sia una donna, in vesti discinte, con corona di foglie che le cinge i capelli.

SETTIMO EPISODIO

Le ultime due figure fanno invece parte di un episodio successivo, l’ultimo, che il pittore ha dovuto collocare molto vicino a quello precedente (la donna in lacrime) per motivi di spazio: la donna seminuda danzante è anche in questo caso sempre la protagonista in quanto ben si vede che ella è appena stata spogliata, dalla donna dietro di lei, del panno viola che indossava nell’episodio precedente (fig. 19).

                     Fig. 19  Particolare  della donna che spoglia la protagonista

Fig. 19 Particolare della donna che spoglia la protagonista

Che questa nuda danzante sia la medesima donna piangente il pittore ci da la prova anche se, purtroppo, il restauro a modificato il colore della banda di stoffa che emerge da sotto gomito destro della donna in lacrime,

                  Fig. 20  Le bande di stoffa di colore identico prima dei restauri.

Fig. 20 Le bande di stoffa di colore identico prima dei restauri.

ma come possiamo vedere nella foto ( Fig. 20, part. B) antecedente il restauro, essa aveva lo stesso colore di quella che scorre dalle gambe alla spalla sinistra della fanciulla nuda! Trattasi quindi della stessa striscia di stoffa che adesso ella indossa quale unico “vestimento”, vestimento che tale più non è e che, infatti, gonfiato e spostato dal vento, lascia completamente scoperte le parti essenziali del corpo.

Nessun dubbio quindi che si tratti sempre della protagonista oramai trasformata in panisca.

Stupisce il particolare della banda di stoffa color ocra tesa al vento: quasi a simboleggiare una vela pronta a far della donna un oramai ingovernato vascello, preda d’ogni mutar di vento che con se trascini il suo corpo.

L’epilogo è adesso chiarissimo: il processo di iniziazione si è concluso e la protagonista, divenuta una seguace di Dioniso, pare adesso identificarsi in una menade che liberamente espone il suo corpo nudo, danzante, a chi sia pronto a concupirla.

L’ATMOSFERA TRAGICA CHE DOMINA IN TUTTO IL DIPINTO

Non possiamo però fare a meno di notare la profonda tristezza che impregna tutto il ciclo pittorico: nel primo episodio ci inquieta la matrona che con evidente atteggiamento impositivo e sguardo trucido (mano girata appoggiata sul fianco e angolo della bocca piegato in basso) fissa l’insegnante (riconoscibile dallo stilo che stringe nella mano destra) e la bambina che, con espressione spaurita e stringendosi nelle spalle, legge sul papiro gli insegnamenti di iniziazione ai riti dionisiaci che le sono imposti. Non poco ci inquieta anche l’”insegnante” dietro di lei che par chiedere alla matrona se veramente vuole che lei trasmetta quelle cose alla bambina, e pure ci in quieta l’ espressione triste della donna incedente con vassoio in mano che pare dirci “Ma vedete a cosa viene costretta?” e non si salva da un’espressione spaurita e stupita pure la donna alla sinistra del tavolo a cui la protagonista solleva un pezzo di veste viola, che guarda con disappunto l’altra donna sempre vestita di viola che versa, anch’essa con volto tristissimo, l’acqua nella bacinella. Del profilo della protagonista nel secondo episodio già abbiamo detto, di come amarezza e tristezza traspaiano dal suo volto, ma molto ci stupisce la mestizia con cui il sileno suona la lira e di come egual tristezza traspaia dai volti dei personaggi dalle lunghe orecchie che vediamo dietro di lui. La menade alla destra della capra poi, volge lo sguardo indietro spaventata e par voler fuggire da quanto accade dalla parte destra del dipinto ed il movimento suo di fuga verso sinistra è reso mirabilmente dal gonfiarsi del mantello sopra la sua testa. Di nuovo ritroviamo poi un vecchio sileno che invece di essere felice per l’arrivo della nuova adepta, guarda verso la cerimonia di iniziazione con una incongruente espressione rabbuiata e contrariata, per nulla felice dell’epilogo letto nei fondi del vino (che per lui dovrebbe essere invece altamente positivo) fondi che fa leggere anche all’adepto dietro di lui che pure pare meravigliarsi di quanto vede. Esalta poi il carattere negativo della scena l’esposizione della maschera tragica di sileno sopra i due personaggi. Ancora, spostandosi sempre verso destra, ci conferma la dimensione tragica degli eventi, il volto tristissimo della protagonista ma soprattutto il tirso premuto sulla spalla che l’ha obbligata a inginocchiarsi davanti al fallo.

Del personaggio alato e della sua espressione disgustata che evolve addirittura in un tentativo di fustigazione, già abbiamo detto.

Culmina poi, la tristezza di tutto il ciclo, nell’immagine della protagonista affranta e piangente per quello che viene costretta a fare e, identica tristezza, coinvolge poi i volti sia della donna che la accoglie sulle sue ginocchia sia di quella che la spoglia nell'ultimo episodio.

Questa apoteosi di tristezza che nessuno sembra avere mai colto, dove anche personaggi come i sileni ed i satiri, soliti all’allegria più sfrenata, ci appaiono invece tragicamente melanconici, conferma la lettura iconografica di quest’opera: essa ci narra di una donna obbligata controvoglia ad essere introdotta ai riti dionisiaci.

CONCLUSIONI

Ci chiediamo però, chi poteva dare questa importanza ad un argomento simile tanto da far dipingere una stanza, addirittura la più importante di una grande casa patrizia, in questo modo e con tanta tristezza? Chi mai volle vivere ogni giorno in mezzo a questi tragici fantasmi che raccontano in questo modo avvolgente e tristissimo una storia di prevaricazione e di costrizione ad una squallida attività sessuale promiscua, attività per cui in tutto l’affresco si avverte una totale repulsione?

Solo la protagonista del ciclo pittorico può aver fatto dipingere tutto questo, nessuno poteva avere motivazioni così forti da far realizzare questo grandioso lavoro ed il coraggio di vivere attorniato da queste immagini se non chi avesse subito personalmente le tragiche prevaricazioni di cui prendiamo atto nel dipinto.

Molto probabilmente la domina era una prostituta arricchita attraverso la professione del meretricio che, una volta cessato l’esercizio, volle riscattarsi facendo in modo che chiunque frequentasse la sua casa, potesse sapere che ella non scelse di sua volontà quel triste lavoro ma che vi fu costretta, da bambina, da squallidi personaggi, contro la sua volontà.

Alberto Cottignoli

BREVE SPECIFICA SULLE MIE QUALIFICHE (vedi poi biografia)

Allego una mail speditami da James Beck, massimo esperto mondiale di pittura rinascimentale italiana, Columbia University, New York, con cui collaborai per 5 anni, in cui egli afferma praticamente che io sarei il più grande Storico dell’Arte esistente.

Allego altresì un’intervista del Corriere a Marco Meneguzzo docente di Storia dell’Arte a Brera che sottolinea la correttezza delle mie analisi, in questo caso relative alla Madonna del Parto di Piero della Francesca 

 

POMPEI: LA VILLA DEI MISTERI (FINALMENTE SVELATI)
POMPEI: LA VILLA DEI MISTERI (FINALMENTE SVELATI)
POMPEI: LA VILLA DEI MISTERI (FINALMENTE SVELATI)

MANZONI IN VATICANO?

Cari colleghi, storici dell’arte, che leggete i capolavori antichi come se fossero tante sciocchezze perché non potete certo mettervi al pari col genio che li produsse, voi, causa l’avvilimento a cui assoggettate la grande pittura, siete i responsabili del tragico accreditarsi nel mondo delle oscene, finte ciofeche dell’arte contemporanea.

Se veramente i capolavori del passato avessero la loro giusta lettura le opere contemporanee apparirebbero in tutta la loro superficialità, faciloneria e stupidaggine, mentre l’incapacità degli addetti al mestiere di capire alcunché delle meraviglie del passato, fa si che avvenga esattamente il contrario.

Verrà il giorno in cui vedremo, in Vaticano, al posto della Pietà di Michelangelo, una scatoletta di merda, si spera almeno ben sigillata?  

Ma di chi è la colpa maggiore dell’affermarsi delle porcherie dell’arte contemporanea, oltre a mercanti, critici d’arte e banche, banche che in assoluto anonimato finanziano questo lucroso disastro? I maggiori colpevoli sono i “Grandi Collezionisti”, disgraziati fabbricanti di detersivi, di sardine in scatola, di preservativi  e quant’altro, spesso quasi analfabeti e privi di qualsiasi sensibilità estetica che, magari quando cascano loro i capelli rimediano in maniera geniale col “riporto”, sono loro i veri colpevoli: questa razza disgraziata non compra le opere d’arte perché “gli piacciono”, ma semplicemente perché “gli mancano”, come una moneta o un francobollo! Basta che gli si faccia credere che il pittore è famoso ed ecco che questi colossali pirla ne vogliono possedere un’opera, magari semplicemente per non essere secondi all’industriale amico più fesso di loro. Spesso manco gli interessa guardare attentamente l’opera, basta che sia dell’autore che gli manca.

Al mercato dell’arte tutto ciò non sembra vero: la più orrenda ciofeca può diventare così “oggetto artistico da collezione” cosa che permette di ridurre infinitamente le spese di acquisto presso gli artisti.

Spruzzami una tela tutta d’azzurro con uno spray” dice il mercante all’artista “ci metti pochissimo e puoi farne 50 al giorno, se te le pago € 10 l’una guadagni € 500 al giorno (15.000 al mese) e sei ricco”.

“Io poi” prosegue il mercante “organizzo mostre, articoli sui giornali, pubblicità fittizie con prezzi finti sempre più alti e la gente si convince che sei famoso, allora arrivano quei pirla di “grandi collezionisti” ed il gioco è fatto: sono centinaia di migliaia solo in Italia e non si riuscirà nemmeno ad accontentarli tutti. E man mano che i “pirla collezionisti” abboccano, i prezzi crescono.”

Basterebbe eliminare tutti i grandi collezionisti e l’arte contemporanea tornerebbe finalmente sul binario giusto, quello determinato da chi i quadri li compra perché “gli piacciono”.  Che solo questa è la motivazione corretta per acquistare un’opera d’arte.

Miei cari colleghi “Storici dell’Arte”, che non fate che ripetere stancamente ciò che dissero Berenson e Longhi (che mai, di nemmeno di un quadro capirono qualcosa) e che mi ignorate perché troppo vi spavento, a voi mi rivolgo rifacendomi allo splendido Sordi del “Marchese del Grillo” sperando che capiate la “sottile ironia”:

IO SONO CIO’ CHE PRIMA DI ME NON E’ STATO MAI E CHE DOPO DI ME NON POTRA’ MAI PIU’ VENIRE  E, VOI ……. NON SIETE UN CAZZO.

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22 febbraio 2015 7 22 /02 /febbraio /2015 10:39

 

Chiarito nel primo articolo come non sia possibile che gli etruschi siano  “villanoviani-evoluti” , andiamo a riportare alcune notizie storiche relative alle antiche popolazioni che abitarono l’Egeo ed il Medio Oriente. Queste notizie non sono da considerarsi verità assoluta, ma senza dubbio estremamente indicative dei fatti storici che precedettero gli insediamenti dei popoli della cui storia abbiamo concreta certezza documentale e ci rifaremo a quanto reperito in “Civiltà cattolica” (Harvard College Library).

Riassumendo quanto riportato nell’insigne pubblicazione, precisiamo anzitutto che LEMNOS FU CHIAMATA DAI GRECI CON LO STESSO NOME DELL’ELBA, E CIOE’ AETHALIA

 e che due sono le spiegazioni per questo fatto: una si rifà alla lingua greca per cui Aethalia significherebbe “La Fuligginosa” o “La Fumosa”, e questo deriverebbe dal fatto che in entrambe le isole si lavoravano i metalli e da esse si sarebbero quindi sempre levate le alte colonne di fumo delle fornaci, mentre l’altra spiegazione, che a mio avviso dovrebbe trovare compimento e completezza nella prima, è che l’isola di Lemnos venne colonizzata dagli Hethei-Pelasgi e appunto da questi prese il nome. Non dimentichiamo infatti che Omero racconta che su Lemnos cadde Vulcano e che questi, per ringraziare gli abitanti dell’isola per averlo soccorso insegnò loro tutti i segreti della metallurgia.

Affascinante e molto realistica è questa seconda ipotesi di colonizzazione da parte degli Hethei, cosa che trova conferme nelle poche documentazioni “storiche” che abbiamo di questo antico periodo, leggiamo infatti (da “Civiltà cattolica”): “ Questi insigni fabbri, scopritori di miniere e lavoratori di metalli.... i quali scesero dalle montagne d’Armenia nell’Asia Minore e da questa si tramutarono parte nelle isole dell’Egeo, e parte nella Tracia e nel resto d’Europa, recando seco per tutto i segreti dell’arte loro. Nell’Asia Minore, come vedremo, la metallurgia, largamente esercitata dagli Hethei, fu per loro sorgente di ricchezza e potenza, onde, specialmente per l’armi di ferro, tennero fronte ai Faraoni della valle del Nilo. Lasciato poi il continente asiatico....andarono migrando per le isole dell’Egeo e per tutti i paesi di Grecia e d’Italia dove si stabilirono....” e ancora “ Nell’Isola di Lemnos erano miniere di metalli ed i primi che vi esercitarono l’arte di cavarli e di lavorarli furono gli Hethei (–Pelasgi)....Di qui l’opinione degli antichi che il fuoco e la fabbrica delle armi fu inventata a Lemnos”. Riportiamo poi anche “ .... tradizione universale ed unanime che la civiltà primitiva viene dall’Oriente in Occidente e non viceversa.” 

Tiriamo adesso le somme di quanto sopra, tenendo presenti i dati fondamentali: 

1)    gli Hethei erano “insigni fabbri, SCOPRITORI DI MINIERE e lavoratori di metalli

2)    gli Hethei si stabilirono a Lemnos e in Asia Minore (ovviamente sulle coste della Turchia prospicienti l’isola medesima, quindi la futura Lidia), leggiamo infatti (in “Civiltà cattolica”) “E’ fuori dubbio che gli Hethei di Lemnos sono gli stessi della Troade....”

3)    risulta che gli Hethei di Lemnos esercitarono per primi l’arte di cavare i metalli e di lavorarli e che lì  inventarono il fuoco e la fabbrica delle armi

4)    gli Hethei erano potenti soprattutto per le armi di ferro 

5)    gli Hethei si recarono in Europa portando l’arte loro

6)    gli hethei migrarono (anche) in Italia dove si stabilirono

7)    dagli Hethei prendono lo stesso nome “Aethalia” sia Lemnos che l’Elba

 

Non mi sembra difficile dedurre che fin dall’antichità questo popolo di scopritori di miniere, che prestava la massima attenzione al ferro, che garantiva la loro potenza,  recatosi in Italia non può non aver scoperto il fantastico bacino minerario racchiuso tra Elba e Argentario (visto che tali zone erano di massima estensione proprio sulla costa e visto la ricchezza estrema di ferro, cosa che più interessava loro, dell’Elba) e il nome Aethalia dell’Elba ci conferma sia questa scoperta sia che sicuramente impiantarono nella zona delle basi addette allo sfruttamento minerario.

Pare quindi che molto prima dei lidi un popolo di origine orientale si sia impossessato delle zone che poi genereranno la nazione etrusca, ma come si spiega allora il racconto di Erodoto che vuole i lidi colonizzare la toscana nell’ XI secolo? Bene, non dimentichiamo che gli Hethei si stabiliscono anche nei territori della futura Lidia e che, proprio nell’ XI secolo Dori e Ioni invadono quei territori: non è assolutamente improbabile che siano queste popolazioni (guarda caso fondatrici di dodecapoli) che, resi edotti dagli Hethei della Turchia (con i quali probabilmente si mescolarono)  dell’esistenza del bacino minerario toscano abbiano provveduto a prenderne possesso. Erodoto vive nel V secolo a.C., quindi sicuramente non a conoscenza di chi abitava la Turchia ben 600 anni prima, ma ben sapendo egli che in quella zona esisteva, ancora ai suoi tempi, la nazione Lidia o in ogni caso un territorio così denominato, probabilmente parla della migrazione degli abitanti di quella zona verso la Toscana nell’XI secolo denominandoli “lidi” semplicemente perché lì risiedevano o supponendo in ogni caso l’esistenza della nazione Lidia già in quei tempi remoti. Certo in quel tempo lontano (XI sec. a.C.) non si trattò di migrazione ma di colonizzazione e probabilmente la “migrazione” dei lidi di cui parla Erodoto potrebbe essere quella del 546 a.C. causata dalla conquista persiana che mise fine al regno di Lidia. Sicuramente, spinti dai persiani, una grande quantità di esuli si riversarono verso le coste toscane dove la colonizzazione orientale aveva già dato luogo a grandi e ricchissime  megalopoli. Non per nulla il grande incremento demografico etrusco è da individuarsi appunto tra il 550 e il 450 a.C..

Molto probabilmente la fonte a cui Erodoto attinge, già un secolo dopo la fine della nazione Lidia (più precisamente il suo incorporamento in quella persiana), fuse i due avvenimenti in un uno solo e collocò tutti questi avvenimenti nell’XI secolo.

 

C’è poi una cosa importantissima che il Pallottino finge di ignorare:

le origini troiane dei Romani, santificate da Virgilio nell’Eneide,

FURONO COPIATE (come moltissime altre cose) DAGLI ETRUSCHI!!!!

SONO GLI ETRUSCHI CHE SI RITENGONO EREDI DEI TROIANI!!!!!

Esistono numerose documentazioni sia storiche che archeologiche di questo fatto, famosa è la statuetta di Enea col padre Anchise ritrovata a Veio, ed è poi noto che gli etruschi si ritenevano eredi di Dardano infatti Omero ci dice essere questi il fondatore della Dardania e i cui discendenti fondarono Troia. A riprova di tutto questo valga il fatto che sui cippi di confine di una comunità etrusca trasferitasi in Tunisia ESSI SI DEFINISCONO “DARDANI”.

 

LA LINGUA

 

E’ ben noto che nel 1885 a Lemnos, precisamente a Kaminia fu ritrovata una stele iscritta (datata al VII-VI sec. a.C.) in una lingua molto simile a quella etrusca e che molti studiosi definiscono effettivamente “etrusca”. Lo stesso Pallottino scrive “ ...stele con differenze palesi ma con incontestabili analogie con l’etrusco che fanno pensare a una lingua magari appartenente allo stesso ceppo linguistico, ma non identica.” e non si rende conto di essere proprio lui ad avvallare, con queste parole, l’origine egea degli etruschi: se l’etrusco è una variante della lingua lemnia è ovvio che questa variante si è generata in Italia causa la lontananza dalla madre patria o in ogni caso dalle zone orientali in cui tale lingua veniva usata. Ipotizzare che tale lingua fosse nata in Etruria e che poi si sarebbe modificata a Lemnos (o in oriente che sia) è un’ipotesi demenziale: è ben accertato che questa lingua è una derivazione di quella greca e quindi di origine orientale!!

Il legame strettissimo della stele di Lemnos con l’Etruria è poi confermato dal nome Myrina che compare nella stele e che risulta essere il gentilizio della famiglia proprietaria della tomba dell’Orco a Tarquinia.

Ma il Pallottino si esibì anche in un’altra colossale boiata, affermò infatti che, in ogni caso, quella stele significava CHE GLI ETRUSCHI AVEVANO COLONIZZATO LEMNOS (?!?!?!?!) o al massimo che esisteva una base commerciale etrusca sull’isola.

Per l’ipotesi della colonizzazione di Lemnos da parte degli etruschi, evito commenti (sarebbe stato più appropriato un intervento psichiatrico atto a stabilire, all’epoca, la capacità di intendere e di volere del succitato “studioso”, intervento che sicuramente avrebbe avuto come epilogo l’utilizzo della camicia di forza),  per quel che riguarda l’ipotesi della base commerciale etrusca, per la legge dei grandi numeri essa risulta demenziale, infatti ci si chiede perché tale base etrusca si dovesse trovare “casualmente” proprio a Lemnos (che sappiamo legata per origini alla troade), quindi proprio nella zona di cui sia gli storici, sia gli etruschi stessi, affermano essere originari.

Se il Pallottino proponesse questa ipotesi della base commerciale ad un qualsiasi matematico otterrebbe lo stesso risultato precedente: l’intervento di uno psichiatra e la camicia di forza.

E infatti la smentita al Pallottino è pure arrivata dagli scavi della Scuola di Atene a Lemos CHE HA RITROVATO NUMEROSI FRAMMENTI DI CERAMICA CON ISCRIZIONI IDENTICHE A QUELLA DELLA STELE DI KAMINIA, cosa che elimina definitivamente l’ipotesi della base commerciale e lascia spazio solo a quella indecente da sostenere, della “colonizzazione etrusca dell’isola”.

Troviamo a questo proposito su Wichipedia:

“ Ecco le prove dell’origine egea degli etruschi sempre dichiarata dagli storici antichi”.

Aggiungiamo poi che una quantità di linguisti  glottologi ha da tempo confermato le connessioni profonde sussistenti tra la lingua etrusca e quella anatolica, fondamentalmente con quella della Lidia: Albert Carnov, Marcello Durante, Vladimir Georgiev , Onofrio Carruba, Francisco R. Adrados, Alessandro Morandi e Helmut Rix (vedi Massimo Pittau  www.pittau.it/Etrusco/Studi/origetr.html ).

 

TESTIMONIANZE IN LIDIA

 

Basilare è il dato storico che la città di Sardis, capitale le della Lidia, ERANO CONVINTI DI ESSERE IMPARENTATI CON GLI ETRUSCHI, infatti NEL 26 d.C. chiesero al senato romano l’onore di poter innalzare nella loro città un tempio in onore dell’imperatore Tiberio, IN NOME DI QUEI VINCOLI DI SANGUE CHE LI LEGAVANO AGLI ETRUSCHI, VINCOLI DEI QUALI GLI ETRUSCHI STESSI ERANO CONSAPEVOLI, COME DIMOSTRAVA UN LORO DECRETO RICORDATO DAI LIDI.

(www.pittau.it/Etrusco/Studi/origetr.html )

 

 

LA GENETICA

 

Sfortunatamente per il Pallottino anche gli studi genetici continuano (come se non bastasse) a dargli del cretino, infatti il dott. Torroni Sforza con un gruppo di genetisti ha provveduto a comparare il DNA degli abitanti di Murlo, Volterra e Valle del Casentino con quello di 15.000 soggetti di 55 popolazioni europee e di Asia centrale ed il risultato è stato che si sono riscontrate somiglianze significative tra DNA degli abitanti delle zone italiane analizzate e quello degli abitanti della Turchia.

Ma non basta ancora, altre analisi sono state fatte dal dott. Paolo Ajmone-Marsan dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza (con partecipazione del prof. Torroni e del prof. Luigi Cavalli Sforza della Stanford University) sui bovini maremmani, indagine che HA EVIDENZIATO UNO STRETTISSIMO LEGAME CON I BOVINI DI ORIGINE ORIENTALE.

 

 

 

CINESERIA IN FRANCIA ?!?!?!

 

 Alterniamo alle prove dell’origine egea degli etruschi le boiate sparate dal Pallottino non a sostegno della sua ipotesi, ripeto, completamente priva di ogni tipo di giustificazione, ma basata solo sull’inconsulto e demenziale tentativo di negare l’origine egea.

Bene, scrive il nostro “studioso”:

“....La presenza di oggetti e articoli cinesi d’arredo in dimore aristocratiche francesi del XVIII secolo, lungi dal testimoniare una migrazione di massa dall’estremo oriente verso la Francia, denota una moda dell’epoca. Del resto la questione dell’arte orientalizzante non è mai stata posta in questi termini per le altre aree mediterranee interessate dal fenomeno.”

La malafede pallottiniana risulta qui evidente,

FORSE CHE LA LINGUA FRANCESE DERIVA DA QUELLA CINESE?????

FORSE CHE LE TOMBE FRANCESI SONO IDENTICHE A QUELLE CINESI???

FORSE CHE NELLE DIMORE FRANCESI TUTTO ERA DI ORIGINE CINESE? NO DI CERTO, MENTRE QUANDO SI RITROVANO TOMBE “ORIENTALIZZANTI” IN ETRURIA, TUTTO AL LORO INTERNO E’ ORIENTALE E SI TIENE QUI A SPECIFICARE CHE NON SONO MAI ESISTITE “MODE” CHE ESTROMETTANO LE USANZE LOCALI FINO AD ANNULLARLE COMPLETAMENTE, ALTRIMENTI SI PARLEREBBE DI “MUTAZIONE” E NON DI “MODA”.

Riguardo alla “moda orientalizzante” delle altre aree del mediterraneo, guarda caso il Pallottino evita di fare degli esempi, infatti notiamo in primis che nessun altro popolo che abita l’Italia in quel periodo subisce tale “moda”, si va dalla totale assenza di manufatti orientali alla loro presenza, assolutamente sporadica, sempre inserita in corredi tombali quasi totalmente composti da oggettistica locale. Se proprio vogliamo, la “moda orientalizzante” la rintracciamo sulle coste greche orientali, ma qui si tratta non tanto di moda quanto di importazione di oggetti pregiati che in Grecia ancora non si era in grado di produrre, in ogni caso anche qui la presenza di oggettistica orientale è sporadica, sempre in quantità ridottissima nei confronti della produzione locale e non dimentichiamo che ci troviamo a due passi dalla Turchia, Paese con cui i collegamenti sono facilissimi in quanto garantiti dal ponte formato dalla moltitudine delle isole egee. Se una moda orientale fosse esistita veramente a quei tempi, la Grecia, così vicina e ben collegata all’oriente, sarebbe stata invasa dall’oggettistica orientale in maniera mostruosamente superiore a quanto riscontriamo in Etruria.  A riprova di questo notiamo come non si trovino certo in Grecia la quantità industriale di tumuli funerari assolutamente identici a quelli lidi che vediamo in Etruria, anzi, notiamo la quasi totale assenza di tumuli di quel genere. Ma al di fuori di questa debole presenza di oggettistica orientale in Grecia, IN QUALE ALTRA ZONA DEL MEDITERRANEO SI SAREBBE MANIFESTATA QUESTA FOLLE MODA ORIENTALIZZANTE DI CUI PARLA IL FAMIGERATO PALLOTTINO?

Certamente il nostro “studioso” non fa esempi, non li fa perché tali esempi non esistono: forse che rintracciamo ossessioni orientalizzanti simili a quella etrusca sulle coste africane? o su quelle spagnole? o su quelle francesi? o su quelle jugoslave? o su quelle orientali italiane? o su quelle meridionali italiane? o su quelle sicule? o su quelle sarde?

NULLA DEL GENERE ESISTE NEL MEDITERRANEO, SE NON SPORADICHE PRESENZE DI QUALCHE, RARO, OGGETTO ORIENTALE!!!!!!!

COSA DIAVOLO DICE IL PALLOTTINO???

 

I POPOLI DEL MARE

 

Un’altra conferma dell’origine orientale degli etruschi ci perviene dai nomi dei popoli del mare.

Già in “Civiltà cattolica” leggiamo che gli Hethei “... tennero fronte ai Faraoni della valle del Nilo.”, e qui il riferimento è chiaramente al tentativo di invasione che i popoli del mare attuarono sulle coste egiziane nel 1210 a.C..

Bene, gli egiziani medesimi parlano di questa aggressione e tra i popoli che respinsero uno si chiamava “Tursha”, da tutti gli studiosi riconosciuto corrispondente a “Tuschi” o “Tusci”, cioè gli etruschi.

Non credo che sia il caso di sottolineare che i popoli del mare avevano origini orientali e che quindi ci troviamo di fronte ad un’ulteriore conferma dell’origine degli etruschi da queste zone.

Come i Tursha si colleghino agli Hethei è senz’altro da chiarire anche se sorge il motivato sospetto che il termine Hethei non debba sottendere un unico popolo bensì una aggregazione di popoli di nomi diversi  uno dei quali sarebbe quello denominato Tursha.

 Questo altresì aprirebbe all’ipotesi, ampiamente confortata dai dati storici, che gli Hethei possano essere i popoli del mare.

Ma tutto questo non fa parte dell’argomento trattato in questo articolo e ci proponiamo di prendere in esame tali fatti in altra occasione.

 

RIASSUNTO

Riassumiamo adesso tutto quanto elencato a favore della tesi orientale e compariamola con le motivazioni esibite dal Pallottino per sostenere la tesi autoctona.

 

 

 

 

TESI DELLA MIGRAZIONE DALL’ORIENTE:

 

1)    assoluta impossibilità di evoluzione dei villanoviani in etruschi

2)    assoluta impossibilità da parte dei villanoviani di fermare l’avanzata colonialistica greca

3)    assoluta impossibilità dei villanoviani di sfruttare le risorse minerarie dell’Elba

4)    la tesi migratoria è sostenuta da Erodoto, Padre della Storiografia e contemporaneo degli etruschi (V sec. a.C.)

5)    la tesi migratoria è sostenuta da ben 30 autori greci e latini contro il solo Dionisio di Alicarnasso che sostiene quella autoctona, storico che però vive ben 400 anni dopo Erodoto

6)    gli autori greci e latini sopraccitati riportano particolari non presenti in Erodoto

7)      2 dodecapoli in Anatolia e 2 dodecapoli in Etruria

8)     l’Elba e Lemnos hanno sono chiamate Aethalia dai greci

9)    Gli Hethei, scopritori di miniere occupano Lemnos e la Lidia e quindi vanno in Italia dove si stabiliscono

10)                      gli etruschi che si dicono eredi dei troiani (addirittura di Enea)

11)                      gli etruschi si autodefiniscono “dardani”, cioè eredi di Dardano, fondatore della stirpe troiana

12)                      la stele di Kaminia (Lemnos) con lingua giudicata anch’essa etrusca

13)                      scritte identiche a quelle della stele di Kaminia rintracciate su frammenti ceramici dalla Scuola di Atene a lemnos

14)                      7 linguisti che attestano la derivazione della lingua etrusca da quella anatolica

15)                      Gli abitanti di Sardis che dichiarano di essere consanguinei degli etruschi e che gli stessi etruschi erano consapevoli di questo

16)                      Il DNA degli abitanti moderni dell’Etruria simile a quello dei turchi

17)                      Il DNA dei bovini maremmani simile a quello dei bovini turchi

18)                      La “moda orientalizzante non reperibile in alcun altra popolazione mediterranea se non in termini sporadici infinitamente inferiori a quanto accade in Etruria

19)                      La testimonianza egizia dell’esistenza nel 1210 a.C. di una popolazione orientale di grandi conoscenze marittime denominato “Tursha”, cioè Tuschi o Tusci

 

TESI DI ORIGINE AUTOCTONA AVANZATA DAL PALLOTTINO

 

1)    Riferimento a Dionisio di Alicarnasso, unico storico che ipotizza l’autoctonia degli etruschi, motivato dal voler a tutti i costi sminuire l’importanza di questo popolo al fine di sostenere un’origine di Roma più nobile, e cioè non collegata agli etruschi ma alla Grecia.

CONCLUSIONI

 

COME E’ POSSIBILE CHE GLI ARCHEOLOGI CONTEMPORANEI SI ACCANISCANO A SOSTENERE L’IPOTESI DELL’AUTOCTONIA DI FRONTE A QUANTO EVIDENZIATO IN QUESTI DUE ARTICOLI?

FIN DAI TEMPI PIU’ REMOTI LE POPOLAZIONI SEMPRE CERCARONO DI DARSI ORIGINI NOBILITATE DA COLLEGAMENTI (SPESSO INVENTATI) CON ALTRI POPOLI DI COMPROVATA CULTURA E GRANDEZZA STORICA, PER QUALE OSCENO MOTIVO, IN QUESTI  7.000 ANNI, SOLO IL PALLOTTINO (E DICO SOLO) SI E’ MOSSO IN SENSO INVERSO?

EGLI NON AVEVA BISOGNO (COME E’ AVVENUTO IN INFINITI CASI) DI INVENTARSI DELLE NOBILI ORIGINI PER GLI ETRUSCHI, EGLI ERA COSI FORTUNATO DA AVERE A DISPOSIZIONE LA CERTEZZA DEL FATTO CHE QUESTO POPOLO TRAEVA ORIGINE DA UNA CULTURA EVOLUTA, ADDIRITTURA DA QUEI POPOLI CHE PER PRIMI FORGIARONO I METALLI ( CHE AVEVANO CIOE’ AVVIATO UNO DEI CICLI EVOLUTIVI PIU’ IMPORTANTI DELLA STORIA DELL’UMANITA’) E INVECE SI E’ ACCANITO NEL CERCARE DI DIMOSTRARE CHE QUESTO POPOLO GRANDIOSO DERIVAVA DA PECORARI PRIVI DI OGNI FORMA DI CULTURA E DI CONOSCENZA.

DI QUALE ASSURDA PAZZIA ERA PREDA QUESTO “STUDIOSO” E DI QUALE LIVELLO DI INSIPIENZA E DI INCAPACITA’ DI ANALISI E DI GIUDIZIO SONO PREDA I MODERNI ARCHEOLOGI CHE CONTINUANO CIECAMENTE A SEGUIRE LE SUE INSENSATE ORME?

 

NELLA SUA STUPIDITA’ INCOMMENSURABILE, IL PALLOTTINO HA OSCENAMENTE SMINUITO LA MERAVIGLIA CHE FU LA NASCITA DELLA NAZIONE ETRUSCA.

 

QUESTA FINALMENTE LE STORIA VERA:

UN POPOLO GRANDIOSO ARRIVO’ DAL MARE DALLE LONTANE TERRE D’ORIENTE (DA QUELL’ORIENTE,  CULLA  DI OGNI SAPERE, CHE DA LI’ DILATO’ POI PER TUTTO IL MONDO CONOSCIUTO) E TRASFERI’ SULLE COSTE DI UNA TOSCANA  ABITATA  SOLAMENTE DA UN POPOLO PRIVO DI OGNI FORMA DI CONOSCENZA, TUTTA LA PROPRIA, SMISURATA CULTURA.

RECARONO INFATTI ESSI CON SE,’ LE MERAVIGLIE DI QUELL’ ORIENTE CHE DALLA  MESOPOTAMIA SI ERA ESTESO ALLE COSTE DELL’EGEO, RECARONO CON SE’ LE MERAVIGLIE DI QUELL’EGITTO CHE GIA’ DA LUNGO TEMPO CONOSCEVANO, RECARONO CON SE’ LA CONOSCENZA DEI METALLI E LA CAPACITA’ DI LAVORARLI, FONDARONO CITTA’ MERAVIGLIOSE E PORTI DA CUI LE FLOTTE LORO DISPIEGARONO LE VELE PER TUTTO IL TIRRENO, FLOTTE IN GRADO DI COMPETERE  PERSINO CON QUELLE GRECHE.

ILLUMINARONO POI  L’ITALIA TUTTA DELLA LORO GRANDEZZA, GRANDEZZA A CUI TUTTI I POPOLI DELLA PENISOLA FECERO RIFERIMENTO E, MERAVIGLIA DELLE MERAVIGLIE, FURONO LUCE ALLA CITTA’ CHE DI LI’ A POCO AVREBBE DOMINATO IL MONDO.

NON DIMENTICHIAMO POI CHE NOI STESSI DA QUESTO POPOLO PRENDIAMO ORIGINE.

COME PUO’ UNO “STUDIOSO” DEGNO DI TAL NOME, DI FRONTE A QUESTA VERITA’ ASSOLUTA E INCONTROVERTIBILE, DI FRONTE AD ORIGINI CONCRETE E MERAVIGLIOSE CHE LA PIU’ PARTE DEI POPOLI E’ STATA COSTRETTA INVECE AD INVENTARSI, PROCEDERE AL CONTRARIO E CERCARE DISPERATAMENTE ED INSENSATAMENTE DI RICOLLEGARCI ALLA TRISTE POVERTA’ CULTURALE  DI COLORO CHE DENOMINIAMO “VILLANOVIANI”?

 

 

BREVE SPECIFICA SULLE MIE QUALIFICHE (vedi poi biografia)

Allego una mail speditami da James Beck, massimo esperto mondiale di pittura rinascimentale italiana, Columbia University, New York, con cui collaborai per 5 anni, in cui egli afferma praticamente che io sarei il più grande Storico dell’Arte esistente.

Allego altresì un’intervista del Corriere a Marco Meneguzzo docente di Storia dell’Arte a Brera che sottolinea la correttezza delle mie analisi, in questo caso relative alla Madonna del Parto di Piero della Francesca 

 

L'ORIGINE DEGLI ETRUSCHI:LA LIDIA. MASSIMO PALLOTTINO DISSE SOLO SCIOCCHEZZE (PARTE SECONDA)
L'ORIGINE DEGLI ETRUSCHI:LA LIDIA. MASSIMO PALLOTTINO DISSE SOLO SCIOCCHEZZE (PARTE SECONDA)
L'ORIGINE DEGLI ETRUSCHI:LA LIDIA. MASSIMO PALLOTTINO DISSE SOLO SCIOCCHEZZE (PARTE SECONDA)
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10 febbraio 2015 2 10 /02 /febbraio /2015 11:49

 

Anzitutto ci tengo a chiarire per quale motivo il Pallottino concepì l'idea demenziale di sostenere che gli etruschi fossero un'"evoluzione" della civiltà Villanoviana.

Egli si laurea nel 1931 ed incredibilmente, meno di due anni dopo la laurea (1933) gli viene data la carica di Ispettore per la Soprintendenza alle Antichità di Roma e addirittura la direzione del museo di Villa Giulia (?!?!). Fonda poi un settore etrusco italico presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche e partecipa alla creazione dell'Istituto Nazionale di Studi Etruschi ed Italici e del suo periodico "Studi Etruschi". Pubblica poi il suo testo "Etruscologia" nel 1942.

Bene, quando il Pallottino si laurea il fascismo era salito al potere già da 9 anni (nel 1922 marcia su Roma) risulta evidente che questa marea di incarichi a un neolaureato sono da attribuirsi unicamente a indirizzi di partito, Mussolini infatti mai avrebbe permesso di ricoprire tali cariche proprio a Roma a qualcuno che non fosse un fedelissimo del fascio. Non solo, il testo "Etruscologia" viene pubblicato, guarda caso, proprio nel momento di massimo splendore dell'epopea fascista (subito dopo l'entrata in guerra che colloca l'Italia tra le massime potenze mondiali). 

 

Il baffetto di Berlino proprio in questo periodo è impegnatissimo a consacrare, attraverso studi accademici che si basano su dati falsati, l'esistenza della razza ariana e Mussolini, notoriamente emulo del dittatore tedesco pensa bene di completare il suo programma di Autarchia (Autarchia = eliminazione di tutte le importazioni e utilizzo delle sole risorse nazionali) con una trovata geniale: far diventare anche gli Etruschi un "prodotto nazionale" ed eliminare 2.500 anni di storia che da sempre li dichiara invece provenienti dalla Lidia.

Gli Etruschi non devono essere più un popolo "importato" ma essere una manifestazione, quindi una risorsa totalmente nazionale.

Trasforma quindi il Pallottino nella massima eminenza etruscologica d'Italia attribuendogli illecitamente la massa di nomine istituzionali sopraccitate ( senza intervento del partito non sarebbe stato possibile concentrare tali cariche su un neolaureato totalmente privo di esperienza) e quindi lo incarica di portare avanti una demenziale nazionalizzazione del popolo etrusco.

Il ridicolo è che tutto questo fu un prodotto dell'era fascista, e ci si chiede quindi come mai i moderni gestori della cultura e quindi dell'archeologia, tutti esclusivamente di stampo social-comunista, proseguano ad idolatrare le colossali sciocchezze che Mussolini fece dire al Pallottino.

Ma passiamo all'analisi. 

Che sia potuto succedere che un personaggio mortalmente stupido abbia potuto rovesciare tutte le logiche dell’etruscologia, si può anche credere e sopportare, ma che dopo di lui tutti gli archeologi, invece di rendersi conto delle bestialità da quello sostenute, abbiano continuato ad osannarlo  e a seguirne le orme senza rendersi conto almeno del fatto che ritenere gli Etruschi un’evoluzione dei Villanoviani e negarne le origini Lidie (o quantomeno egee) era un’animalata  colossale assolutamente insostenibile, stento veramente a crederlo.

Che un personaggio contemporaneo, si sia arrogato il diritto di contraddire Erodoto, universalmente riconosciuto come “Padre della Storia” e CONTEMPORANEO DEGLI ETRUSCHI (e, come vedremo, altri 30 autori greci e latini) che categoricamente afferma essere questi ultimi dei Lidi (abitanti il regno di Lidia situato in Anatolia, odierna Turchia settentrionale) trasferitisi in Toscana, semplicemente perché titolare (addirittura 3.000 anni dopo i fatti) di una squallida cattedra romana di archeologia, è assolutamente ridicolo.

Ma il ridicolo è che SOLO UNO STORICO PARLA DI ORIGINE AUTOCTONA DEGLI ETRUSCHI E CIOE' DIONISIO DI ALICARNASSO, CHE VIVE NEL I sec. a.C., CIOE' BEN 400 ANNI DOPO ERODOTO, mentre la tesi della migrazione è ACCETTATA, CONDIVISA E CONFERMATA DA BEN 30 AUTORI (oltre ad Erodoto) greci e latini, precisamente:

Ellanico di Mitilene

Timeo di Taormina

Anticle di Atene

Scimno di Chio

Scoliaste di Platone

Diodoro Siculo

Licofrone

Strabone

Plutarco

Appiano

Catullo

Virgilio

Orazio

Ovidio

Silio Italico

Stazio

Cicerone

Pompeo Trogo

Velleio Paterculo

Valerio Massimo

Plinio il Vecchio

Seneca

Servio Solino

Tito Livio

Tacito

Festo

Rutilio Namaziano

Giovanni Lidio

C. Pedone Albinovano

Ci tengo a sottolineare l'immensa grandezza storica di gran parte di questi autori, personaggi di fronte ai quali il Pallottino (di per sè diminutivo anche nel cognome) è molto, ma molto meno che una pulce assolutamente insignificante.

Che molti di questi autori facciano riferimento a quelli precedenti è naturale, ma la concomitanza di convinzioni in ben 30 autori (e di questa grandezza) è di per sè in ogni caso mortalmente comprovante la verità dei fatti riportati.

Si aggiunga che molti di questi autori CITANO PARTICOLARI CHE NON RITROVIAMO NEGLI SCRITTI DI ERODOTO.

Che gli archeologi successivi al Pallottino poi, essendo dipendenti  statali, se ne siano fregati di portare avanti qualsiasi forma di studio a riguardo (in questo caso comparativo) e abbiano pensato solo a restarsene seduti  in attesa dello stipendio, è più che normale, ma che almeno uno, dico almeno uno di loro, nel corso degli ultimi 70 anni, non abbia preso in considerazione quanto da me riportato sopra e non si sia accorto che le argomentazioni  su cui il Pallottino costruì la sua carriera accademica sono un cumulo di stupidaggini, è veramente inconcepibile.

Basilare è poi il fatto che il Pallottino si preoccupa solo di distruggere tutte le fonti e le argomentazioni che confermano l'origine egea degli etruschi senza apportare non dico prova, ma almeno giustificazione concreta all sua demenziale ipotesi di autoctonia, il suo "ragionamento" è solo ed esclusivamente questo:

gli etruschi non sono egei quindi sono i villanoviani!

 

E non mi si dica poi che sono violento, da 30 anni sono costretto a sopportare le stupidaggini del Pallottino, quindi, come una persona che abbia scontato 30 anni di galera essendo innocente,  ha il diritto di inveire in tutti i modi possibili contro il magistrato che lo ha condannato, così io mi arrogo il diritto di comportarmi nello stesso modo con chi per 30 anni mi ha costretto in questa situazione ridicola.

 

Ma partiamo dall’inizio.

 

Per avvalorare la sua tesi di origine autoctona degli etruschi, il Pallottino dichiara che essi erano semplicemente dei “villanoviani-evoluti”; bene, andiamo allora ad esaminare le tre fasi storiche in cui si divide l’”epopea” villanoviana considerandone, per non fare confusione, solo le caratteristiche atte a determinare i collegamenti di questo popolo con gli etruschi.

1)         La prima fase (antica) va dal 900 all’ 820 a.C. e,  in un primo tempo, è caratterizzata dall’assenza totale di differenziazioni sociali e dallo stabilirsi di questo popolo  su altipiani quasi inaccessibili, poi su ampi pianori meno scoscesi,  e dal fatto che  UTILIZZANO SOLAMENTE LA CREMAZIONE , vedi  G. Bartolani “Enciclopedia dell’Arte Antica” 1997, Treccani:      

 “...in genere questi agglomerati insediativi preferivano ambienti collinari.... DISTANTI DAL MARE, DALLE LAGUNE COSTIERE E DAI FIUMI, ALMENO 4-5 CHILOMETRI”

 

2)         La seconda fase (“di passaggio”) va dall’ 820 all’770 a.C. ed è caratterizzata da insediamenti identici ai precedenti, CIOE’ SITUATI AD ALMENO 4-5 CHILOMETRI DA MARI, FIUMI, LAGUNE  e, dice il Bartolani, “E’ ATTESTATO IL RITO INUMATORIO (sottolineo che ATTESTATO significa che nelle necropoli la quasi totalità delle sepolture è  ad incinerazione e si ritrova solo, mescolata, qualche sporadica sepoltura ad inumazione). Tutto quindi, si ripresenta quasi identico alla prima fase e non si capisce bene perché venga fatta una distinzione tra le due.

 

3)         La terza fase (“recente”), va dal 770 al 730 a.C. e in questo periodo si stabiliscono contatti con Pithecusa e Cuma, le prime colonie greche(euboiche- calcidiesi) in Italia e vengono introdotti da queste presso i villanoviani, la scrittura, i BANCHETTI,  l’ideologia funeraria eroica e il MODO DI VIVERE ARISTOCRATICO. E’ proprio a questo punto che il Bartolani, ciecamente seguendo lo sconsiderato indirizzo pallottiniano, non li definisce più villanoviani ma etruschi.

 

Bene, andiamo  adesso a vedere come basti un’attenta analisi delle ultime due fasi per rendersi conto dell’impossibilità di concepire la stirpe etrusca come proseguo evolutivo di quella villanoviana.

 

Per prima cosa puntualizziamo che la gente villanoviana sembra avere un sacro terrore dell’acqua in tutte le sue manifestazioni (vedi con che chiarezza il Bartolani precisa tutto questo nella descrizione della prima fase dell’epopea villanoviana:  insediamenti  lontani almeno 4-5 chilometri da mari, fiumi, lagune) e che la stessa archeologia conferma come questo popolo fosse esclusivamente legato alla terra e all’agricoltura e non fosse nemmeno in grado di scavare l’interno di un mezzo tronco per costruirsi una piroga per attraversare un fiume. Trattasi  quindi di un popolo con tensioni  esattamente agli antipodi di quelle marinare degli etruschi!!

Ma quello che colpisce è che essi villanoviani mantengono queste caratteristiche (terrore per il mare e insediamenti lontani appunto dall’acqua in genere) anche nella seconda fase, cioè fino al 770 a.C.,  anno medesimo della fondazione di Pithecusa !!!!!!

Si fa presente a questo punto che è storicamente riconosciuto che i greci si fermarono a Pithecusa e Cuma perché IMPEDITI NEL PROSEGUO COLONIALISTICO VERSO NORD DALLA POTENZA (ovviamente marittima) DEGLI ETRUSCHI!!!!

Ma quale potenza? Cosa impediva ai greci di dilatare sulle coste toscane quando gli insediamenti villanoviani praticamente le ignoravano? E cosa impediva a dei guerrafondai come i greci di massacrare quei poveri contadini (come poi fecero capillarmente in Sicilia con le popolazioni autoctone),  ignari di ogni tecnica militare e che possedevano, appunto nel 770 a. C., ancora solamente arcaiche  armi di bronzo? Ma una cosa esalta l’assoluta follia di una preteso blocco dell’avanzamento greco operato dai villanoviani: lo stesso Bartolani sottolinea infatti che le motivazioni dell’interesse greco per gli etruschi era generato fondamentalmente dai metalli che essi potevano fornire, estratti dalla colossale zona mineraria Elba-Argentario, ma quali minerali avrebbero estratto i villanoviani fino al 770 a.C.? nessuna traccia di tale sfruttamento rintracciamo nelle loro tombe! La loro zona era ricchissima di ferro eppure essi conoscevano ed utilizzavano solo il bronzo!!  Non solo, essi non erano presenti all’Elba, proprio perché, per raggiungerla, occorrevano delle imbarcazioni, oggetti che manco sapevano cos’erano: cosa impedì quindi ai greci, nel 770 a.C., di occupare quell’isola stracolma di ferro che garantiva ricchezze sconsiderate a chi se ne fosse impossessato? Sostenere che un popolo di contadini, ignari di tecniche militari e privi di imbarcazioni, arroccati sulle alture dell’entroterra a  4-5 Km. dal mare e armati di spade e lance di bronzo, abbia impedito ai greci, stirpe guerriera, forte di tecniche belliche ripetutamente collaudate e di una flotta che dominava il Mediterraneo, nonchè  già ben armati con spade e lance di ferro,  la conquista dell’Elba, E’ MOLTO, MOLTO PIU CHE RIDICOLO E CHIUNQUE SOSTENGA UNA TAL TESI E’ DA CONSIDERARSI PAZZO O MORTALMENTE STUPIDO!!

 

Il Pallottino dC infatti, si rese conto di questo problema e cercò di risolverlo, ma sapete  come? Ignorando ipocritamente  l’assoluta repulsione per le acque da parte dei villanoviani (dimostrata archeologicamente con certezza scientifica, sicuramente fino al 770 a.C.) ed ipotizzando la più colossale delle stupidaggini e cioè CHE I VILLANOVIANI AVESERO ANTICHISSIME CONOSCENZE MARINARE E CHE GIA’ SOLCASSERO IL MARE CON FLOTTE POTENTISSIME ASSIEME AI FENICI, CIOE’ 400 ANNI PRIMA DELL’ARRIVO DEI GRECI A PITHECUSA!!!

Praticamente Pallottino sostiene che nel 1150 a.C. i villanoviani fossero grandissimi marinai e che poi, 400 anni dopo, fossero invece improvvisamente rincretiniti e si fossero ritirati lontano da ogni tipo di acqua terrorizzati dalla medesima!!!

Guarda caso però, le tracce storiche e documentarie di tutto ciò si sarebbero perse!!

Si ringrazia il cielo che il Pallottino dC non abbia chiamato addirittura in causa gli extraterrestri!

A questo punto (ma di bufale demenziali del Pallottino dC  ne evidenzierò più avanti ancora molte)spero che si capisca il motivo per cui definisco “ deficiente”  questo “finto studioso” che approfittò delle sua cattedra per riempire di panzane i propri studenti e la nazione italiana tutta. Mettere i villanoviani in mare coi fenici non è poi più questione di sola stupidità ma si va ad estrapolare con violenza nella più becera e squallida  malafede!

Ci riporta poi, il Bartolani, un’altra colossale sciocchezza, e cioè che solo nella fase recente (770-730) a.C. i Villanoviani acquisiscono, appunto dai greci di Pithecusa e Cuma, la SCRITTURA, i BANCHETTI, l’ideologia funeraria eroica e il MODO DI VIVERE ARISTOCRATICO.

Ma quale scrittura ????????? LA LINGUA ETRUSCA NON E' GRECA MA CHIARAMENTE DERIVANTE DA LINGUE ANATOLICHE (vedi la stele di Lemnos e quanto riportato in questo stesso articolo al paragrafo dal titolo "La lingua").

Bene, ci  terrei poi a sottolineare che i “banchetti”, cioè il “simposio” etrusco non c’entra nulla con quello greco: ai simposi etruschi partecipavano anche le mogli, mentre in Grecia solo alle etere era permessa la partecipazione, in ogni caso è già storicamente appurato che il simposio etrusco presenta caratteristiche identiche a quello lidio e non può che derivare da quello.

Riguardo all’assunzione, da parte dei villanoviani, del MODO DI VIVERE ARISTOCRATICO, mi chiedo come si possano fare tali affermazioni insensate : l’aristocrazia nasce da una differenziazione sociale determinatasi all’interno di un popolo nel tempo (specificatamente in tempi molto lunghi), cioè prima si deve formare l’aristocrazia, poi si manifesterà il “modo di vivere aristocratico”. Lo stesso Bartolani prima ci dice che non ci sono distinzioni sociali all’interno della cultura villanoviana poi afferma che invece in tempi brevissimi si sarebbero prodotte differenziazioni sociali enormi, tali da costituire sia un ceto aristocratico, sia un “modo di vivere aristocratico”?

Ma un’altra cosa ci stupisce: come fu possibile,  questa “trasmissione culturale” da greci a villanoviani? C’erano forse degli “educatori” greci che si recavano in missione nei villaggi a predicare il nuovo verbo sociale? Tutto da ridere, in quanto lo stesso Bartolani fa presente una cosa di importanza colossale, e cioè che non risulta alcun ritrovamento di ceramica geometrica greca (tipica di quel periodo) sul territorio villanoviano: nessuna traccia archeologica e storica sussiste di un contatto tra villanoviani e greci.

 I contatti i greci li ebbero di sicuro in terra toscana, ed alla grande, MA DI CERTO QUESTI CONTATTI  NON AVVENNERO CON LE POPOLAZIONI VILLANOVIANE!

Si sottolinea come il Bartolani non parli poi di trasmissione da parte dei greci ai villanoviani di tecniche marinare, e sicuramente ciò non avvenne, semplicemente perché parlare loro di marineria sarebbe stato come parlare di filosofia ad un pinguino antartico.

Ma un’altra enorme sciocchezza risulta da questa ipotetica, demenziale trasmissione di cultura operata dai greci nel 770, e cioè che i villanoviani sarebbero stati , in quel periodo,  grandi navigatori così potenti da battere i greci  in battaglie navali (infatti li fermano a Pithecusa) ma sarebbero stati completamente privi di qualsiasi potenziale culturale. Altra assurdità completamente priva di logica: non si costruiscono imbarcazioni complesse senza avere alle spalle un grosso bagaglio culturale.   

 

Ma passiamo ai riti funerari.

 

Bartolani ben chiarisce che fino al 770 i villanoviani continuano tranquillamente ad incinerare i loro morti e compaiono solo pochissime inumazioni (tipiche della cultura greca ma anche di quella lidia) ma non tratta questo argomento nella terza fase in quanto le inumazioni diventano si molto numerose ma non si estendono alla totalità della popolazione villanoviana bensì riguardano solo sepolture aristocratiche, cioè quelle delle tombe importanti e le sepolture in tumulo, in tumuli, guarda caso, assolutamente identici a quelli ,in Anatolia, del popolo dei  Lidi.

Perché Bartolani “dimentica” poi di dire che tra le varie cose trasmesse dai greci c’erano anche i tumuli mortuari? Perché non era possibile, i greci non seppellivano in tumuli se non in rare occasioni mentre l’etruria è costellata di migliaia e migliaia di tumuli, esattamente come la Lidia. Non solo, egli si dimentica anche di dire che il “modo di vivere aristocratico”  trasmesso, si avvaleva unicamente di oggettistica prodotta in oriente, tant’è che lo stesso Pallottino definisce questo periodo “Orientalizzante”. Certo che il Bartolani se lo dimentica, se lo scorda perché i greci non potevano trasmettere nulla del genere come non potevano trasmettere le caratteristiche lidie del simposio che traevano tra l’altro origine da un modo di vivere aristocratico degli etruschi visibilmente simile a quello lidio e non certo a quello greco!!

Bartolani e Pallottino evitano poi di dire un’altra cosa di importanza fondamentale e cioè che quando Ioni e Dori, quando occuparono la Turchia nell' XI secolo a.C.,

fondarono DUE DODECAPOLI!!!!!!!

 

Voglio qui precisare ai neofiti che anche in Italia gli Etrischi

fondarono DUE DODECAPOLI!!!!!!

quella toscana e quella padana.

Quindi

2 DODECAPOLI IN ITALIA E 2 DODECAPOLI IN ANATOLIA

(TURCHIA), come non capire la profonda connessione esistente tra queste due zone? come diavolo si fa a parlare di origini autoctone?

Stranissima pare poi la coincidenza della data: Ioni e Greci fondano le dodecapoli nell'XI secolo, esattamente il periodo in cui Erodoto dice che avviene la colonizzazione lidia in Toscana!

Ci tengo poi a sottolineare che questa supposta “trasmissione di cultura e conoscenza” operata dai greci nel giro di 40 anni è da ritenersi ridicola, i tempi di trasmissione culturale sono molto ma molto più lunghi, soprattutto quando lo scolaro (i villanoviani) è un popolo a livelli di cultura quasi inesistenti, basti guardare alla colonizzazione delle americhe:  addirittura dopo qualche centinaio di anni la culturizzazione delle popolazioni locali era ancora arretratissima malgrado l’intervento di una evangelizzazione cristiana (di stampo puramente altruistico) attivissima che in epoca etrusca non sussisteva in quanto nessun greco si era mai nemmeno sognato di “culturizzare” un popolo e quindi di studiare metodi di divulgazione culturale.

I metodi coloniali dei greci erano esattamente agli antipodi: totale isolamento dei popoli contattati e mantenimento dell’ignoranza dei medesimi (cosa che faceva e tuttora fa, estremamente comodo) e massacro dei medesimi fino a spingerli ad abbandonare i loro territori al fine di impossessarsene (vedi la colonizzazione greca in Sicilia).

Quindi, se non bastasse, anche alla luce dei tipici comportamenti coloniali dei greci, risulta assolutamente demenziale credere che essi abbiano potuto trasmettere qualsiasi genere di conoscenze ai villanoviani, come ipotizzano Bartolani-Pallottino.

Senza dubbio le supposte conoscenze trasmesse agli etruschi erano patrimonio di un altro popolo che sicuramente già da tempo aveva stanziato delle basi strategiche sulle coste toscane  della zona mineraria (Elba e Lacus Prilius), allo scopo di sfruttarne le risorse. Un popolo che, essendo stanziato direttamente tra i villanoviani (anche se all’inizio solo presso le coste) e non avendo le attitudini prevaricatrici  e distruttive dei greci nei confronti delle popolazioni autoctone, nel corso del tempo (ma occorsero lo stesso centinaia di anni) trasmise buona parte delle proprie conoscenze anche a loro fino ad integrarli (ma ciò accadde molto tardi e solo  parzialmente) nella società potentissima è ricchissima che stavano costituendo.

 

L’Etruria, alla faccia del Pallottino,  nasce per dilatazione delle colonie lidie costiere che mantengono per lungo tempo intatto il proprio predominio strutturandosi in città popolose e potenti e che solo molto più tardi permettono ai ceti villanoviani più precoci di integrarsi, anche se sicuramente solo  a livelli socialmente bassi, nelle loro strutture.    

 

Non siamo che all’inizio della trattazione e già risulta completamente distrutta l’ipotesi pallottiniana di un’origine etrusca da un’ “evoluzione” dei villanoviani e risulta chiaro che solo una potenza marinara di enorme spessore può aver fermato i greci a Pithecusa e Cuma nel 770 e non certo i terricoli contadini villanoviani affetti da “terrorem aquae”.

 Alberto Cottignoli

 FINE PARTE PRIMA, SI RIMANDA ALLE SUCCESSIVE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

 

BREVE SPECIFICA SULLE MIE QUALIFICHE (vedi poi biografia)

Allego una mail speditami da James Beck, massimo esperto mondiale di pittura rinascimentale italiana, Columbia University, New York, con cui collaborai per 5 anni, in cui egli afferma praticamente che io sarei il più grande Storico dell’Arte esistente.

Allego altresì un’intervista del Corriere a Marco Meneguzzo docente di Storia dell’Arte a Brera che sottolinea la correttezza delle mie analisi, in questo caso relative alla Madonna del Parto di Piero della Francesca 

 

L'ORIGINE DEGLI ETRUSCHI:LA LIDIA.MASSIMO PALLOTTINO DISSE SOLO SCIOCCHEZZE (parte prima)
L'ORIGINE DEGLI ETRUSCHI:LA LIDIA.MASSIMO PALLOTTINO DISSE SOLO SCIOCCHEZZE (parte prima)
L'ORIGINE DEGLI ETRUSCHI:LA LIDIA.MASSIMO PALLOTTINO DISSE SOLO SCIOCCHEZZE (parte prima)
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4 febbraio 2015 3 04 /02 /febbraio /2015 05:29

Leonardo non commette nei suoi dipinti, gli errori di cui è stato accusato e nemmeno quelli (infiniti) che si finge di non vedere o che gli "storici dell'Arte" non sono in grado di rilevare (perchè completamente privi di nozioni disegnative e pittoriche):

sono semplicemente stratagemmi che servono a rivelare i meccanismi segreti umanistici che i suoi quadri nascondono.

Si tratta di operazioni DI UNA GENIALITA' INFINITA che, SE DEBITAMENTE VALUTATI, finalmente ci mettono in grado di comprendere il motivo per cui egli fu ritenuto anche il massimo "Genio Pittorico" di tutti i tempi.

I suoi contemporanei umanisti conoscevano anche troppo bene il senso vero dei suoi dipinti e senza dubbio per lungo tempo la conoscenza di tali segreti venne tramandata, poi, di quelli (troppo complessi da ricordare), piano piano ci si dimenticò e rimase solo la memoria dell'immensa grandezza delle sue opere, scollegata però dalle vere motivazioni.

Così gli "studiosi d'arte" di questi ultimi due secoli (800 e 900) si sono trovati di fronte ad un dilemma non da ridere: dover riconoscere l'immensità storicamente tramandata dei dipinti leonardeschi e di contro prendere invece atto della assoluta normalità che tali sue opere dimostravano  e dimostrano (visto che non se ne conoscono più i segreti):

perchè diavolo, si son sempre segretamente detti tali "studiosi", i dipinti di Leonardo sono ritenuti i più grandiosi di tutti quelli mai prodotti, quando invece a noi appaiono di importanza allo stesso livello (ed è vero se vissuti superficialmente) di quella di tantissimi altri pittori?

Alcuni "studiosi sono così arrivati addirittura ad inveire contro Leonardo, ma la maggioranza (in reverenza ai giudizi consolidati storicamente di sconfinata genialità pittorica dell'uomo di Vinci) si è data da fare per inventare una finta  grandezza delle sue opere esaltando oltre misura cose che invece sono trattate da Leonardo allo stesso livello di moltissimi altri pittori.

Insomma, siamo seri, chi non si rende conto che tutto ciò che di Leonardo i critici dicono, riguardo alla sua pittura, non è in alcun modo dissimile da quanto possiamo rilevare nelle opere di altre decine e decine di pittori?

Se si vogliono conoscere i veri motivi della immensa grandezza delle opere di Leonardo, quelli che veramente le sollevano al di sopra dei dipinti dei i pittori di tutti i tempi e di tutte le epoche,

SI SUGGERISCE DI LEGGERE I MIEI ARTICOLI SULL'ANNUNCIAZIONE E SUL CENACOLO.

Alberto Cottignoli


 

 

 

 

 

 


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