E’ sempre un po’ imbarazzante parlare anche per minimi cenni di Alberto Cottignoli, artista la cui fama attraversa ormai il globo dagli Stati Uniti al Giappone.
Non perché sia l’arte di Cottignoli a provocare perplessità, tutt’altro, m semmai le sue parole, le sue capacità dialettiche ed argomentative.
A un critico si chiede solitamente ciò che l’artista ritiene di non essere in grado di fare, per pudore o per effettive insufficienze: trasporre l’arte in letteratura, così come si trasporrebbe una poesia in una “versione in prosa”, e collocare l’apporto di un pittore in una dimensione culturale di opinioni attendibili, di valori consolidati. Il più delle volte il “gioco” riesce, o almeno così pare. L’artista si offre passivamente al giudizio del critico, con la stessa ingenua fiducia con cui un bambino si affiderebbe a un prestigiatore. Aspetta da lui un piccolo “miracolo”, come se la sua arte dovesse servire al critico solo per ottenere discorsi forbitissimi, paragoni strabilianti ed imprevedibili; insomma tutto quel contorno di cose più o meno sensate, più o meno credibili, più o meno avvedute che sembrano avere come scopo principale quello di fornire sicurezza all’autore, garantire un giusto livello di “intellettualità” alla propria arte.
Con Cottignoli questi “giochi” non riuscirebbero: troppo lucido nel sapere guardare dentro di sé stesso e dentro il proprio lavoro, troppo bravo per credere nei facili illusionismi, troppo maturo per avere bisogno di sicurezze da parole che non siano le sue stesse.
Al critico non resta che prenderne atto e assecondarlo quando espone puntualmente la sua visione dell’arte come necessità del simbolismo, unico modo d’ interpretare una realtà altrimenti ingovernabile nella sua tendenziale anarchia, oppure il suo intendere l’immagine come riflesso psicologico non condizionato, scandaglio prezioso negli abissi dell’incerto e dell’irrivelato.
Tutto limpido e lineare, anche nell’intrinseca “magia” di certe rivelazioni, come nelle sue opere.
Per il critico non si tratta affatto di un’umiliazione, si tratta eventualmente di recuperare il proprio ruolo di osservatore neutrale, di spettatore che per mestiere non deve mai dimenticare di dover sempre assistere a spettacoli di controparte esterna con cui l’autore è certamente obbligato a confrontarsi, ma senza particolari privilegi rispetto agli osservatori ed agli spettatori comuni. E’ un piacere, non una sofferenza: non c’è niente di meglio che ascoltare, quando a parlare è un artista con tanta coscienza di mezzi artistici e verbali come Cottignoli.
Vittorio Sgarbi
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Conosco Alberto Cottignoli da poco tempo, se vogliamo considerare il modo normale in cui di solito il tempo si misura, ma i nostri vivaci incontri sono lo stesso dominati dalla sua energia senza fine, dal suo temperamento esuberante, dalla sua passione profonda. Alberto è un pozzo infinito di idee e tutte convergono nel tentativo di risolvere quei problemi estremamente complessi ed intricati che ritroviamo non solo nell’arte ma anche nella natura.
Quella che Alberto dimostra è un’intelligenza da artista che niente ha a che fare, grazie a Dio, con quella professionale o, peggio, professionalistica: anzi, è l’opposto.
Nel suo caso si può parlare di mera intuizione, di cui è estremamente dotato, perché il suo modo di ragionare è caratterizzato da una salutare e dominante sicurezza quando egli fonde il mondo delle immagini con quello degli oggetti e della natura. Su un certo piano il suo modo di pensare tende all’astratto, al concettuale, ma come pittore egli non è per niente un astrattista o un concettualista. Al contrario. Senza dubbio Alberto, che io interpreto come un artista che aborra la casualità accidentale come la peste, è totalmente direzionato verso una intenzionalità totale ed è convinto che la mente umana deve imporsi sopra il mondo dell’arte ma anche fuori dall’arte.
Nelle sue pitture non troviamo quelle cadute “accidentali” di colori ben maneggiate e neanche quei trucchi dadaistici dove lo spettatore possa decidere da che parte è girato il quadro, oppure assumersi il compito di decidere egli stesso il significato dell’opera e tradurla secondo le sue proprie esigenze ed il suo pensiero. Ci sono le parti che stanno sotto e quelle che stanno sopra, come quelle di sinistra e di destra per questo artista di Ravenna i cui dipinti sono profondamente modulati, mediati e misurati. Non c’è mai coincidenza, se di coincidenza si può parlare, che egli è profondamente impressionato dall’arte di Piero della Francesca, uno dei pittori di cui riconosciamo l’intenzionalità più determinata all’interno del Rinascimento, epoca che Alberto ammira senza confini. Egli difatti, ha scritto diversi saggi e sta per programmare uno studio capillare proprio su Piero, un artista che storicamente potrebbe essere considerato quale tratto di unione tra Giotto e Leonardo, altri due maestri che il nostro Cottignoli tiene in grandissima considerazione.
Non soltanto Alberto è incorreggibilmente impressionato da questi luminari dell’arte italiana per via della loro individualità come artisti che effettivamente produssero sogni concretizzati, egli è ugualmente affascinato dalla loro capacità tecnica, vale a dire dai mezzi con cui operarono, sempre complessi, mai ovvii. Egli riconosce come il loro approccio ideativo-speculativo è, per poter arrivare all’immagine finale, perfettamente calibrato con quello tecnico. Tecnica ed immagine sono concetti inseparabili l’uno dall’altro. Considerate l’immagine pierfrancescana di una testa femminile nella sua geometria, tanto simile a quell’uovo perfetto che pende dalla conchiglia al centro della Pala di Brera: senza capire il medium tecnico, possiamo veramente capire la rappresentazione? Il procedimento con cui è stato dipinto, la modellatura fantastica, il volume, il fervore traslucido che emerge da dentro la forma, sono tutt’uno: inseparabili.
La precisione di Piero, la sua impeccabile esattezza, il mistero, l’allusività sempre incombente, tutto questo senza dubbio richiama, come dolce canto di sirene, il nostro Alberto, perché egli ritrova in Piero, Leonardo e negli altri, spiriti fraterni. Come i suoi predecessori esemplari, egli sta lontano da gruppi, da clan, movimenti o scuole. Alberto rimane indipendente senza compromessi nel ricercare una piattaforma espressiva sulla quale poter mimare in parole e generare in immagini i suoi sogni: ma anche questi poco casuali. Anche se sembrano fondamentalmente privati e personali, partecipano, essi, anche di un ordine più grande che il pittore sta cercando di sposare
Un pensiero finale sembra basilare:
l’atto di scrivere su un pittore vivente rimane un lavoro di grande difficoltà per chi svolge questo compito, perché il soggetto del testo ha la possibilità di controllare quanto scritto e diviene naturalmente un critico severo del testo stesso. Nel caso di Alberto Cottignoli la sfida si moltiplica mille volte perché è egli stesso uno scrittore molto abile ed esperto.
James Beck
Docente di storia dell’arte presso la Columbia University di
New York e massimo esperto mondiale del Rinascimento Italiano