ATTENTO, IL MONDO E' ESATTAMENTE AL CONTRARIO DI QUANTO CREDI...
La storia non comincia neanche tanto tempo fa: fine secolo scorso. Fu l’argomento della mia seconda tesi a cui preferii, per ragioni di ordine cronologico, un’altra sulla psicologia della percezione.
Ascoltatela, è una brutta favola ed ha anche il difetto di essere vera. Ascoltatela soprattutto voi che in cuor vostro sentite, di fronte a certa arte contemporanea, una sensazione di indifferenza, a volte di fastidio, se non addirittura di rifiuto e di ripulsa.
Volgeva alla fine l’ottocento dicevo, e cominciava la rivincita degli artisti, confinati fino ad allora, come meri artigiani, ad esprimere non il proprio pensiero ma quello degli altri, anzi quasi sempre, quello “istituzionalizzato” degli altri, come ad esempio quello religioso.
E fu una rivincita magnifica, una serie di esplosioni che sconvolsero il mondo dell’arte come quei fuochi d’artificio sul mare che squassano la notte di incandescenze colorate in un intreccio infinito. E lì, proprio sotto queste nuove, iridescenti comete, nasceva Picasso, l’uomo che avrebbe portato l’opera a compimento.
E finì il manierismo, si risolse la stanchezza dell’arte ed uno stuolo di cappuccetti rossi si avviò per le strade del mondo con in mano cesti pieni di meraviglie:
le tele loro, colorate di sogni.
Fin qui la favola bella.
Fin qui solamente, perché orridi lupi dal pelo arruffato e dai denti affilati aspettavano, nascosti ai bordi dei sentieri che, attraverso i boschi, portavano tra la gente.
Non li volevano certo divorare quei teneri portatori di meraviglie, anzi fu, all’inizio, tutto un blandire: carezze delicate sui cappucci, pacche amichevoli sulle spalle e grandi sorrisi ma, solamente per poter, alla fine, arrivare in tutta tranquillità a cacciare le zampe in quei loro cesti, svuotarli di tutto e, dietro dovute garanzie, incaricarsi di distribuire quel ben di Dio tra la gente.
Per un certo periodo tutto ciò fu anche positivo ed il lavoro dei mercanti-lupo aiutò molto la gente a conoscere e a capire ma, il mercato dell’arte si era intanto enormemente allargato: l’avvento della società industriale aveva fatto nascere una borghesia nuova, numerosa, ricca ed ansiosa di riempire le proprie case di immagini, come avevano fatto, una volta, solo le gerarchie nobiliari.
Si apriva all’improvviso un mercato enorme, nato troppo rapidamente, che non si seppe più, ad un certo punto, come saturare. Quei cappuccetti rossi erano tanto pochi e lavoravano così lentamente! e solo alcuni di loro potevano dirsi veramente bravi.
E’ a questo punto che i lupi cominciano a prendere decisioni autonome.
Alcuni di questi lupi si trasformarono (forti oramai di grandi capitali), da semplici gestori di gallerie d'arte, in "Grandi mercanti" ed abbandonarono addirittura il commercio diretto dei quadri per passare a nascondersi dietro tutto il sistema per poterlo gestire a proprio piacimento e farlo rendere più denaro possibile. Ma il grande movimento capitali, si sa, fa inevitabilmente nascere grandi truffe.
Essi escogitarono subito un mezzo per supplire alla carenza di buona pittura sul mercato, era così semplice, bastava far pensare che anche i cattivi quadri (molto più numerosi di quelli validi) fossero anch’essi belli.
C’era poi un altro problema enorme da risolvere ed era quello dei costi alla base, i pittori infatti, chiedevano prezzi troppo elevati per le loro opere, motivati dai tempi lunghi di lavorazione necessari per produrre un oggetto ad alto livello qualitativo ed intellettivo, mentre era invece interesse dei "Grandi mercanti" (come avviene in qualsiasi altro campo commerciale) pagare i quadri il meno possibile per smistarli alle gallerie a prezzi ancora accessibili. Ridurre le uscite non è forse la base fondamentale di ogni tipo di commercio?
Come fare allora?
Problemi come questi sarebbero sembrati assolutamente insolubili a qualsiasi persona seria, ma non a chi dell’onestà non frega proprio assolutamente nulla.
I lupi infatti, una volta analizzate le varie situazioni, non tardarono a trovare l’oscena soluzione del tutto.
Partirono da un ragionamento fondamentale e in fondo giustissimo:
a differenza dell’arte classica, basata fondamentalmente sulla rappresentazione realistica della natura, l’arte nuova si presentava difficilmente comprensibile ai non addetti: solo persone estremamente sensibili, di grande apertura mentale e di prepotente autocoscienza erano in grado di apprezzarla, la stragrande maggioranza della gente apprezzava di riflesso, seguiva cioè le decisioni delle persone che reputava importanti o acculturate, delle persone insomma, che giudicava essere in grado di capire più di loro in quel campo .
Purtroppo i "Grandi mercanti", a cui l'intelligenza non difettava, compresero presto tutto questo, e cioè che gli acquirenti di quadri non erano più gli stessi di una volta (nobili ed aristocratici a cui la cultura raramente difettava) che compravano seguendo il proprio esclusivo ed assoluto giudizio, ma persone che invece, nella grande maggioranza , consci della propria ignoranza, compravano di riflesso, senza preoccuparsi del fatto che a loro piacesse quanto appendevano alle pareti di casa quanto di far bella figura con i frequentatori della stessa, arrivando a circondarsi di immagini che magari provocavano loro solo indifferenza se non disagio o addirittura disgusto, ma che gli procuravano il giudizio positivo dei conoscenti e delle persone che contavano ed erano approvate in società.
Insomma, ciò che motivava l’acquisto nella maggioranza degli acquirenti non era un vero apprezzamento nei confronti dell’opera quanto il fatto che essa fosse specchio di una sensibilità ed intelligenza che essi, quasi sempre, non possedevano. Nasceva così anche un nuovo fenomeno mai prima esistito se non in forma estremamente limitata a ricche e colte situazioni di un passato nobiliare: quello del collezionismo. Persone che, prive di ogni cultura ma interessate per svariati motivi alle nuove manifestazioni artistiche, erano presi solo dalla mania di possedere un'opera di ognuno dei pittori che andavano acquisendo una certa fama, presero a trattare i quadri come francobolli, indipendentemente quindi dal loro valore estetico-artistico. In poche parole nacque una categoria di persone (spesso ricchissime) a cui non importava assolutamente nulla della qualità artistica del dipinto ma che semplicemente aveva la necessità di riempire una casella vuota del proprio album esattamente come i bambini fanno con le figurine dei calciatori. Il "ragionamento" che essi seguivano era praticamente questo: "Quell'artista produce ciofeche infami? Pazienza, ma visto che di lui si parla sui giornali io debbo lo stesso avere una sua opera." Questo fu il meccanismo che portò alla distruzione completa dell'arte. Ai grandi mercanti non sembrò vero di poter approfittare del "Collezionismo", erano infatti proprio loro a possedere i mezzi per portare un artista alla conoscenza del pubblico e farlo accettare come tale! Se avessero alzato il numero degli artisti all'infinito avrebbero potuto vendere infinità di quadri indipendentemente dalla loro qualità perchè c'erano adesso migliaia e migliaia di questi collezionisti avidi non di opere d'arte, ma di semplici tasselli da aggiungere alla loro collezione! Ma gli stessi "Grandi Mercanti" non potevano immaginare a quale immane disastro si sarebbe arrivati operando in tal modo.
Il disastro si scatenò infatti in modo così tragico che, a tutt’oggi , ancora non si riesce a porvi rimedio.
Si riunirono infatti, i Lupi e, il più furbo di tutti, prese la parola:
“Per aumentare a dismisura il numero dei pittori ed approfittare dei collezionisti che sono diventati migliaia e migliaia per rifilare loro anche opere che nulla hanno a che fare con l'arte, il procedimento da seguire è semplice, basterà sostituire alle persone di cui la massa rispetta il giudizio artistico ed al seguito del quale esse comprano i dipinti, altre persone create ad hoc da noi stesse che dichiarino artistiche anche le ciofeche e potremo far comprare alla gente qualsiasi cosa!”
Ma come fare? I preposti al giudizio erano una schiera di eletti, scrittori, poeti, letterati insomma che godevano naturalmente della fiducia della gente per l’umanità e la grandezza del loro lavoro, anch’esso artistico.
Disse infatti ilo secondo Lupo:
“Solo altri artisti sono in grado di capire o “sentire” il valore artistico delle opere, come potremo noi “produrre” degli artisti che falsifichino il loro giudizio a nostro favore dichiarando "belle" delle evidenti ciofeche?”
“Tu dici il vero” rispose il primo Lupo “ ma la soluzione c'è, provvederemo a creare personaggi specifici addetti a determinare l'importanza delle opere! Li creremo attraverso le università e saranno addirittura di più credibile degli artisti-giudici in quanto avranno il carisma della "scientificità accademica" ed essi potranno convincere gli acquirenti ancor più di coloro che giudicavano prima.
Attraverso corsi accademici specifici, produrremo degli “SPECIALISTI DELL’ARTE”.
Nascevano così gli Storici dell'Arte, cioè le "Volpi", questa categoria assurda di personaggi che “studiavano l’arte”, acquisivano cioè semplicemente la conoscenza della storia delle immagini quindi, improvvisamente, per questo solo motivo puramente mnemonico (e chi lavora fondamentalmente con la memoria è proprio il più lontano dal poter capire l’artisticità di un'opera), senza aver mai prodotto nulla di artistico (e spesso vantandosi addirittura di questo), pur essendo incapaci di reggere una matita in mano, pur essendo completamente ignari di prospettiva, anatomia generale, anatomia prospettica, tecniche pittoriche, dinamica delle masse e dei rapporti cromatici, etc., dovevano essere riconosciuti capaci di distinguere il bello dal brutto, l’importante da ciò che non lo era, l’”ARTISTICO”, quindi, dal “NON artistico”!
Volpi che, pur non avendo mai prodotto, come non mi stancherò di ripetere, nulla di artistico, ma avendo semplicemente imparato a conoscere le opere d’arte del passato, vennero anche, immotivatamente trasformati in “Critici d’Arte”, cioè in persone, chissà perché, dotate di “sensibilità artistica”.
Questi squallidi personaggi, gestiti dai mercanti-lupo, si andarono poi gradualmente inserendo tra le opere d’arte egli acquirenti delle stesse, fondamentalmente tra i dipinti ed i collezionisti degli stessi.
In poco tempo il pubblico ed i collezionisti, attraverso questo inserimento, vennero separati quasi completamente dagli artisti e uno stuolo di “Volpi” cominciò a decidere per loro cosa si doveva e cosa non si doveva comprare. Perché meglio si credesse alla loro onestà di giudizio le volpi arrivarono addirittura a dichiarare di non trarre alcun profitto da queste operazioni (mentre enormi retribuzioni, vuoi in denaro vuoi in opere d’arte, passava nelle loro mani attraverso i mercanti) e, massimo dell’ipocrisia, giunsero anche a proclamarsi paladine della serietà e della purezza delle attività artistiche mentre agivano invece esclusivamente al soldo dei mercanti e delle loro esigenze.
Raramente, nel corso della storia, truffe così infami arrivarono a tale completo compimento.
Spalleggiati dai “critici” i "Grandi mercanti" persero poi ogni pudore e, in totale incomprensione nonché in totale disinteresse per ciò che fosse veramente l’arte, ma fagocitati solo da un disperato desiderio di denaro, proclamarono, al pari dei grandi gruppi artistici, il proprio MANIFESTO.
MANIFESTO DEI LUPI
Punto 1: bandire il figurativo, attraverso l'aiuto dei “critici-Volpi”, da ogni forma di arte contemporanea. Motivo? Il figurativo è il peggior nemico dei nostri interessi economici perché il pubblico è in grado di godere direttamente di tale tipo d’arte senza la mediazione dei “critici” e rischia di far divenire superfluo l’operato degli stessi. Il pittore figurativo è il nostro peggior nemico perché impiega tempi lunghissimi per produrre e ci chiede costi troppo alti, sarà quindi assolutamente intrattabile per noi che, per arricchire alla faccia dei gonzi, dobbiamo comprare a prezzi infinitesimali e rivendere a cifre altissime.
Punto 2: far esaltare e propugnare dalle Volpi, a spada tratta, le opere di facile e velocissima esecuzione. Motivo? Ciò permetterà a noi mercanti di pagare pochissimo il pittore per ogni singola opera e di disporre a poco costo di una quantità enorme di quadri atta a soddisfare tutte le gallerie richiedenti e permetterà, dulcis in fundo, di poter regalare opere a destra e a manca per ingraziarsi personalità influenti
Punto 3: organizzazione capillare delle regalie di opere appena citate: dagli assessori ai ministri, dai capitani d’industria agli attori famosi, dai professionisti di grido agli scrittori, dalle sedi di partito a quelle di potere politico istituzionale, etc etc ...
Collocando queste opere fittiziamente artistiche, ma garantite dalle Volpi, nelle case di tali personalità, avvieremo lo stesso meccanismo che fino ad oggi ha indotto il pubblico a comprare e non solo, suffragheremo in tal modo il nostro giudizio: tutti penseranno che noi siamo nel giusto visto che le persone che contano comprano ciò che le Volpi asseriscono essere "bello". Nessuno infatti chiede ad un personaggio influente se il quadro che ha dietro le spalle lo ha comprato o gliel’hanno regalato.
Attraverso questo procedimento otterremo un risultato che avrà dell’incredibile:
riusciremo a far diventare famosi i nostri pittori di ciofeche senza spendere una lira, in quanto qualsiasi mostra od attività pubblicitaria potremo pagarla non con denaro ma con opere del pittore stesso.
Naturalmente per condurre l’attività promozionale sarà necessario un enorme numero di quadri da distribuire gratuitamente, ne discende che il pittore dovrà produrre quadri per noi, come già detto, a bassissimo costo.
Nessun problema per questo, basterà scritturare imbrattatele che lavorino con pennellesse e che possano produrre anche cinquanta quadri al giorno. Naturalmente avremo non quadri ma orride tele imbrattate, ma che importa? Le Volpi riusciranno tranquillamente a spacciare anche quelle per opere d’arte.
A questo punto i nostri guadagni saranno immensi perché:
a) i quadri ci costeranno poche lire l’uno, ma il pittore vivrà bene lo stesso perché ne produrrà grandi quantità, basterà pagare anche solo € 50 al quadro, infatti basta che il pittore ne produca dieci al giorno per divenire ben più che benestante
b) la promozione non ci costerà nulla perché pagata in quadri di poco costo,
c) la differenza fra il prezzo pagato al pittore e prezzo di mercato sarà talmente alta, dal 5.000 al 20.000 per cento da permetterci di accumulare enormi ricchezze.
Punto. 4: far convergere insieme e trasformare nella stessa cosa l’attività artistica e quella decorativa. Troveremo terreno fertilissimo nelle opinioni populistiche che dominano il campo della cultura e nel qualunquismo corrente che afferma che tutte le manifestazioni umane devono ritenersi artistiche: risveglieremo così l’ipocrita senso dell’artista represso che si nasconde nei fruitori e negli acquirenti. Nostri grandi alleati diventeranno gli architetti, anch’essi frustrati dal fatto di aver fin ora fatto parte solo marginalmente del mondo dell’arte: parificare il capolavoro artistico ad un oggetto d’arredamento renderà totalmente incomprensibile ogni forma di arte ed il pubblico così, completamente disorientato, non potrà se non rifarsi al giudizio dei “critici”.
Punto 5: dare una giustificazione accettabile alle nuove, sconsiderate produzioni “artistiche”.
Non sarà difficile, il pubblico a cui ci rivolgiamo non è un praticante dell’arte, non conosce dunque gli infiniti presupposti tecnici ed intellettivi che, solamente se ci sono e tutti uniti (e per questo non percepibili singolarmente), fanno di un quadro un prodotto artistico. Basterà separare questi presupposti, produrre “pseudo-oggetti d’arte” che ne contengano, evidenziandolo, uno solo e, tali oggetti primordiali, mostruosi ed incompleti, potranno essere spacciati per un prodotto artistico nuovo, geniale, mai prima creato.
Punto 6: utilizzeremo le aste per moltiplicare il "valore" dei nostri dipinti-ciofeche all'infinito. Basterà accordarsi con le aste, firmare loro cospicui assegni anticipati ed esse ci permetteranno di operare come vogliamo sulle opere che metteremo in vendita da loro: due finti acquirenti si combatteranno tra loro e faranno arrivare i il finto valore d'acquisto fin dove vorremo, tanto nessuno sborserà veramente del denaro e soprattutto nessuno pagherà diritti d'asta essendo le aste medesime già state pagate in anticipo con un assegno forfettario che nulla ha a che vedere con le demenziali cifre favolose raggiunte dai dipinti!
Come farà poi, un collezionista, a non pagare un milione di euro per un dipinto, praticamente identico (per dimensioni ed impianto pittorico) a quello dello stesso autore che in asta è stato invece venduto a ben venti milioni di euro?
Punto 7: creeremo poi anche un museo apposito atto a garantire l'artisticità delle ciofeche, e attraverso una pubblicità mondiale ed infinita lo trasformeremo nel più importante di tutti i musei (sarà poi il MOMA). Questa raccolta colossale di ciofeche immonde, riunite in un unico sito demenziale, sarà poi l'entità assoluta a cui dovrà far riferimento tutta l'arte moderna.
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“Che meraviglia!” esclamarono in coro i “Grandi Mercanti” alla prima lettura.
“Pensate, potremo addirittura, volendolo, far affermare che una tela bianca con un taglio in mezzo è un’opera d’arte e venderla a fior di milioni!”. “E magari chiedere il doppio per due tagli ed il triplo per tre!” aggiunse una voce dal gruppo.
“NON ESAGERATE!” redarguì da un angolo il meno furbo di loro tutti.
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Il processo di isolamento e di dilatazione di un singolo canone costitutivo dell’opera d’arte (tra i tanti necessari tutti assieme), per trasformarlo in genere a se stante, era già stato avviato intelligentemente e coerentemente da grandi gruppi artistici: l’impressionismo, ad esempio, aveva sfruttato la tecnica antica con cui si trattavano le figure in secondo piano (dove il pennello troppo grande non era in grado di definire il particolare e si utilizzava a piccoli tocchi sapienti per rendere un effetto a cui solo la piccolezza conferiva un’apparenza di definizione) sostituendo semplicemente alla piccolezza la lontananza. L’occhio percepisce come "definite" le figure dipinte in modo approssimativo in secondo piano perché troppo piccole? Ecco nascere l’arte nuova: basta dipingere l’oggetto in primo piano scomposto in modo che l’occhio sia in grado di definirlo solo da lontano. Avvicinarsi ad un quadro impressionista infatti, provoca lo stesso effetto che otteniamo osservando con una lente una figura rinascimentale di secondo piano. Non dimentichiamo poi, volendo risalire più lontano, tutto il ciclo delle pitture pompeiane, allora pressoché sconosciute, e i ritratti mortuari egizio-romani che facilmente si potrebbero attribuire ad uno sconosciuto gruppo impressionista.
Niente di nuovo quindi. L'importanza di un quadro non è data dalla tecnica utilizzata ma dal il pensiero che dietro di loro si nasconde.
Lo stesso surrealismo, il suo metodo di accostamento di oggetti antitetici, non era che l’esasperazione, in taluni casi insensata, del grande equilibrio, delicatezza e complessità con cui i capolavori storici avevano sfruttato l’accostamento delle antitesi. Sicuramente Leonardo fu il più grandioso dei surrealisti.
Il cubismo poi, non faceva che esasperare ed riconoscere come risultato finale, quelle configuirazioni geometriche che l’arte del passato aveva sempre utilizzato come base strutturale per creare le forme finali. Impianti geometrici che poi i veri pittori facevano accuratamente sparire ad opera finita.
Ma fin qui nulla da dire, le sfumature particolari e gli sviluppi che questi primi generi presero, portarono a grandi ed importanti risultati. Il problema sorse quando le volpi, coscientemente, attraverso l’applicazione dei principi del manifesto dei “Grandi Mercanti”, svilupparono questo indirizzo, lo ingigantirono e lo fecero degenerare a tal punto da portarlo alle sue estreme, distruttive conseguenze.
Se i nuovi movimenti da una parte servivano come analisi dell’attività artistica per ricondurla in se stessa, dall’altra furono utilizzati per distruggerla: la scarsa definizione delle figure, la loro deformazione, la loro scomposizione, giustificò alla fine la loro scomparsa. Si cominciò a parlare del colore come fosse l’unico fautore dell’artisticità del quadro indipendentemente da tutto il resto e, il colore, questo giochetto piccolo, piccolo, da boscimani o poco più, si affermò isolatamente come grande categoria artistica.
Si arrivò poi all’esaltazione del tratto, del segno, della macchia, della vibrazione, del nulla.
Si arriva adesso a dire che l’arte stessa nella sua essenza, non deve significare. appunto, assolutamente nulla.
Il manifesto infame permise l’emergere di personaggi cerebralmente disastrati spacciati per grandi geni: regressi evolutivi come Schifano, Vedova, Fontana, per citare nomi “caserecci”, Warhol, Kandinsky, Tanguy, Mirò, per citarne di internazionali, producendo decine ma anche centinaia di opere al giorno (Warholo spacciava serigrafie tirate a 100 pezzi come "opere uniche" perchè ad ogni stampa nel telaio si chiudeva qualche foro e le vendeva a un miliardo di lire cadauna), gonfiarono i mercati nazionali ed esteri di scarabocchi immondi che, a loro volta, gonfiarono le tasche, oltre che degli pseudo-artisti, di un’infinità di mercanti e di volpi. In certi momenti della loro vita, non mancarono di cadere in questo ingordo meccanismo anche vere ed indiscutibili personalità artistiche, non escluso lo stesso Picasso.
Campeggiano adesso queste stupidaggini, non solo alle pareti di tanti sciocchi che credono invece di fare sfoggio di grande sensibilità pittorica ma addirittura alle pareti di colossali musei super pubblicizzati .
Gli architetti andarono intanto acquisendo un potere parallelo a quello dei critici ( soprattutto negli USA), con cui entrarono subito in combutta: l’uno garantiva l’altro e l’interesse di entrambi era quello di inventarsi un’arte succube dei loro intenti. Grandi macchie di colore incorniciate vennero dichiarate enormi capolavori perché ben si intonavano al divano firmato dal tal architetto, enormi tavole monocrome divennero storiche manifestazioni dello sviluppo dell’intelligenza artistica perché esaltavano il paralume del tal altro designer e via di seguito così in un’apoteosi di stupidità e di truffa totale esplicata attraverso oggetti che, guarda caso, avevano sempre lo stesso comune denominatore: un bassissimo costo di produzione.
L’arte nuova, che si era finalmente liberata dai legami antichi di adattamento agli schemi nobiliari ed ecclesiastici, che era finalmente esplosa nella sua coscienza di oggetto di prima importanza che rendeva a sé secondo, giustamente, l’ambiente in cui era collocata, veniva adesso fatta regredire ad uno stato ancora peggiore del precedente: non soccombeva più, ora, a grandi ideali umanistici o religiosi, anche se discutibili, bensì alla prevaricazione di strutture di interni, di mobili, di pavimenti, di tappeti, e tutto questo agli ordini di architetti il cui, nemmeno segreto desiderio, era che si vedesse il loro prodotto, non quello di qualcun altro, vuoi anche artista famoso.
L’architetto stesso arrivò, alla fine, a dichiarare artistici i suoi prodotti e a moltiplicare così la beffa ed il danno all’infinito.
Nessuno è adesso più in grado di fermare questo meccanismo perverso, responsabile di un altro atto tra i più regressivi che si possano compiere nei confronti del genere umano:
FAR CREDERE AD UNA PERSONA INTELLIGENTE DI ESSERE STUPIDA ED INSENSIBILE.
Vi faccio un esempio: uno spettatore che alla Biennale di Venezia si trovi di fronte una cosa orrenda ed antiartistica e che, intelligentemente, la giudichi tale, è costretto a rinnegare tale percezione, a rimuovere cioè la verità dalla propria mente per sostituirla con l’errore, cioè con la finta ed infame opinione che, una finta cultura, falsa e perversa, attribuisce a quell’oggetto solo col fine di trarre da esso del denaro. Non c’è atto più incivile, immorale ed antievolutivo del far sì che un essere umano si senta stupido ed insensibile quando invece la stupidità e l'insensibilità si nasconde nell’oggetto che gli sta davanti, in chi l’ha prodotto e in chi ha fatto in modo che fosse collocato in quel luogo.
Il compito dell’arte è quello di educare la gente non di farla diventare stupida quando non lo è.
Ma guardateli questi mediatori dell’arte, Dio mio, guardateli! Trattano le vere opere d'arte, oggetti cioè di fronte a cui ci si dovrebbe inginocchiare e piangere, come fossero salumi, posate, bicchieri... ed esaltano invece le ciofeche come capolavori immensi!
Sono arrivati addirittura a dire che l’arte non deve essere più bella, per poter confondere tutto definitivamente, come se produrre cose belle ed emozionanti fosse facilissimo! Ma solo chi emozioni non ne ha mai provate può dire una cosa del genere, solo chi non è in grado di percepire differenze estetiche (e sono tanti), solo chi possiede solo forme istintuali primitive, legate unicamente ai bisogni primari, può pensare che il bello sia facile, solo cioè, chi è capace di applicare il concetto di "bello" esclusivamente alle categorie materiali dei propri bisogni, chi, in poche parole, vede la bellezza solo in un piatto di spaghetti, in una sana dormita, in un rapporto sessuale, in una defecazione ben riuscita.
A persone come queste è affidato il giudizio sulle opere d'arte.
Solo un imbecille molto prossimo all’alga, che non conosca la meraviglia dei brividi e del pianto che scatenano dentro di noi lo stato più alto di elevazione, solo chi non sappia che sono stati i rari esseri capaci di raggiungere tale stato a guidare la nostra trasformazione da bestie in uomini e, di poi, a produrre la nostra uscita dalle caverne, può sostenere che l’arte non deve essere bella.
Attenti, chi dice questo non è un uomo ma una bestia che tra noi si nasconde.
La gallerista, matita su carta.
Questa lunga argomentazione sul manifesto dei lupi e sulla nascita delle volpi che hanno distrutto l’arte ed il suo mercato era necessaria per arrivare ad una conclusione:
nessuno ha il diritto di separare l’artista dal suo fruitore, nessuno ha il diritto di intromettersi su questa linea sacra. Solo un artista può decidere ciò che è arte e non .E, quando, tra i pittori non ci sia uno che li trascenda e quindi in grado di determinare il valore delle opere degli altri, si cerchi il giudice fuori ma, sempre solo ed esclusivamente nel campo artistico! E, se devono decidere, siano veramente grandi.
Si chiami a decidere della pittura un Baricco, un Moretti, un Balthus, un Vecchioni, un Guccini, un Avati, un Salvatores, un Muti, ma per carità, si impedisca ad esseri squallidi e mostruosi che si nascondono dietro maschere di “Studiosi dell’Arte”, ad esseri che si commuovono solo se gli si pesta un piede, di interferire con ciò che è arte.
Alberto Cottignoli