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13 maggio 2015 3 13 /05 /maggio /2015 23:07
Fig.1 ricostruzione fotografica d’assieme della parte fondamentale del ciclo pittorico in esame che si sviluppa in realtà su tre pareti

Fig.1 ricostruzione fotografica d’assieme della parte fondamentale del ciclo pittorico in esame che si sviluppa in realtà su tre pareti

Ringrazio innanzitutto il Vesuvio e le centinaia di persone scomparse in quel tragico frangente, il cui sacrificio ha permesso che questo capolavoro potesse giungere fino a noi anche se ancora quasi del tutto incompreso.

Ma s’è fatto tempo, dopo duemila anni, che finalmente di questo dipinto venga svelato il segreto.

L'AUTORE DEL DIPINTO

Lo sconosciuto autore di quest'opera viene comunemente definito "pittore locale" in quanto comparato con altre pitture parietali pompeiane che rivelano maggiore maestria nell'esecuzione, soprattutto per quanto riguarda l'anatomia dei personaggi. Chi così semplicemente lo definisce sembra non rendersi conto del fatto che tutte le altre pitture di Pompei non sono che copie di opere greche, e per giunta copie delle copie che dall'attica venivano fatte pervenire in Italia. La perizia degli altri pittori che operarono a Pompei non è quindi da imputare ai pittori medesimi, bensì a chi, ad Atene, produsse gli originali che loro copiarono. Alla luce di questa precisazione la dimensione dell'autore del ciclo che prendo adesso in esame, che agisce invece in piena autonomia (rivelata con certezza dal tema del dipinto che sarà ben chiarito alla fine della trattazione) si eleva enormemente al di sopra dei pedissequi copisti che decorarono le case di Pompei. Nel panorama generale di tutta quella che definiamo "Arte romana" e che invece si manifesta semplicemente nel copiare gli originali greci, questo dipinto assurge ad importanza colossale in quanto ci ritroviamo faccia a faccia con un'opera ad altissimo livello che finalmente si manifesta come prodotto di un pittore romano che lavora in totale indipendenza (anche se i riferimenti presenti all'interno del ciclo si rifanno alla mitologia greca). Il valore di questo dipinto, al di là di quello estetico, che è altissimo, sta anche nel suo essere una delle rarissime grandi manifestazioni artistiche che possiamo definire veramente "romana" e non semplicemente e tristemente "copia di opera greca".   

 

ANALISI DEL DIPINTO

 

Due cose sono da chiarire anzitutto per poter capire il senso di questo grandioso ciclo pittorico, la prima, mai presa in considerazione, è che, a parte il rosso delle pareti, il colore dominante in tutti gli episodi, fondamentalmente quello delle vesti, è il VIOLA (anche se il restauro ha eliminato le infinite sfumature di questo colore che il pittore aveva utilizzato e che davano al dipinto una ricchezza cromatica che adesso non possiede più), la seconda è che il giovanissimo personaggio raffigurato all’inizio del ciclo non è di sesso maschile ma femminile.

Riguardo al secondo problema chiarisco che probabilmente i restauri novecenteschi nella zona dell’inguine hanno confuso le cose ma, le forme del personaggio sono categoricamente femminine e quella traccia all'inguine presente dopo il restauro intesa come attributo sessuale maschile (che non possiede invece alcuna forma determinata in tal senso in quanto neppure sono presenti i testicoli, fig. 2) non rappresenta assolutamente nulla del genere. Basta infatti controllare la foto scattata prima del restauro (fig.2a)

Fig. 2 Ingrandimento dell’inguine della bambina dopo il restauro

Fig. 2 Ingrandimento dell’inguine della bambina dopo il restauro

Fig.2a,  Ingrandimento dell'inguine della bambina prima del restauro

Fig.2a, Ingrandimento dell'inguine della bambina prima del restauro

Fig.2b,  Evidenziazione della zona dell'inguine della bambina prima del restauro

Fig.2b, Evidenziazione della zona dell'inguine della bambina prima del restauro

per rendersi conto che la linea che avrebbe dovuto individuare il fallo non terminava, nel suo ritorno in alto verso destra, su quella dell'inguine, ma piegava nuovamente verso il basso a ricostruire una seconda protuberanza (fig.2b, part.A) con una specie di peduncolo in cima: una cosa che nulla aveva a che vedere con l'attributo sessuale maschile ed il motivo che spinse il restauratore ad agire in tal modo incongruente, probabilmente ci resterà sempre ignoto.  Ma un'altra linea prende invece evidenza dalla foto antecedente al restauro, quella segnalata in rosso al part. B della fig.2b, una linea che era modulata in modo da individuare il delicato segno della fessura di un sesso femminile!!! 

Conferma poi senza ombra di dubbio tutto questo, il fatto che gli episodi successivi si riferiscano all’evolversi di eventi riguardanti sempre il medesimo personaggio, che è chiaramente femminile e non maschile e quindi non si vede cosa c’entri l’inserimento nell’episodio iniziale di un personaggio di sesso diverso o addirittura di un Dioniso fanciullo, quando, per rispettare la cronologia è invece appunto necessaria, all’inizio dello sviluppo degli eventi, la rappresentazione della protagonista ancora bambina. Ma che del medesimo personaggio si tratti ce lo rivela un particolare: il piccolo papiro, che la bambina legge attentamente nel primo episodio, lo ritroviamo nell’episodio successivo, inserito nella veste del personaggio che versa da bere a lei, oramai cresciuta.

 

Per quanto riguarda il colore viola, basta fare riferimento al mito di Dioniso ed Ametista per rendersi conto che, per l’antichità greco-romana, il colore del vino viene ritenuto il viola, quali che siano le motivazioni (probabilmente all’epoca permaneva  nel vino il colore del mosto) poco interessa, fatto sta che è chiaro che questo è il colore attribuito al vino a quei tempi.

 

IL MITO DI AMETISTA

 

Dioniso si invaghì della ninfa Ametista che cercò di sfuggirgli, ma il Dio le scagliò contro i suoi leopardi. Ella allora chiese aiuto ad Artemide a cui aveva votato la sua verginità e la Dea per salvarla la trasformò in una statua di cristallo. Il Dio allora, preso dal furore, rovesciò sulla statua una coppa di vino che diede al cristallo quel colore: nacque così l’ametista (fig. 3).

 

Fig. 3  Cristalli di ametista
Fig. 3  Cristalli di ametista

Fig. 3 Cristalli di ametista

Bene, non è adesso difficile immaginare, anche in assenza di dati storici, che il colore utilizzato nei baccanali fosse il viola e che gli adepti avessero le vesti di questo colore. Basta infatti osservare attentamente tutto questo ciclo pittorico per rendersi conto che la quasi totalità delle cose che hanno a che fare con Dioniso ed i suoi riti, soprattutto le vesti ed i panni, sono di colore viola.

I DANNI APPORTATI DAL RESTAURO

Occorre pero puntualizzare una cosa: il pittore dipinse le vesti dei personaggi con sfumature di viola di varie tonalità, cosa che dava una raffinatissima ricchezza cromatica al dipinto (tutto ciò è ben fruibile dalle foto di qualche anno fa), purtroppo il restauro contemporaneo ha asportato le velature che producevano le succitate differenze di tonalità e ci è rimasta solo la base viola monocromatica utilizzata dall’artista come supporto. Tutte le vesti appaiono adesso di un colore viola pressoché identico e ciò da luogo ad un’omogeneità cromatica ossessiva che terrorizzerebbe l’autore se questi potesse tornare in vita. Ci si chiede perché i restauratori novecenteschi, coi poveri mezzi che possedevano, riuscirono a mantenere inalterate le varianti cromatiche, mentre quelli moderni, dotati dei mezzi più sofisticati, abbiano invece prodotto tali enormi danni.

Forse che la spiegazione si nasconde nelle diverse motivazioni morali che differenziano i moderni restauratori dagli antichi?

Bene, a parte i problemi succitati relativi al restauro, siamo adesso in grado di ricostruire il senso globale di questo ciclo.

PRIMO EPISODIO

Fig. 4  Fanciulla che legge un papiro attorniata da due donne

Fig. 4 Fanciulla che legge un papiro attorniata da due donne

Fig.4a Ingrandimento del vassoio e del suo contenuto

Fig.4a Ingrandimento del vassoio e del suo contenuto

La fanciulla, che vediamo all’interno di una stanza (fig. 4) che molto probabilmente non è quella della sua famiglia, viene educata da una “insegnante”, evidentemente molto particolare (la figura femminile dietro di lei), ai primi principi dionisiaci in presenza di una matrona: che di insegnamenti dionisiaci si tratti ce lo confermano il fatto che la bambina sia nuda, la spalla scoperta dell’”insegnante” e il delicatissimo color viola della sua veste, ottenuto, ci pare, da una leggerissima velatura di viola su un bianco brillante (probabilmente a sottolineare il tentativo di sovrapposizione dei principi negativi dionisiaci all’animo ancora candido ed inconsapevole della bimba). Inquietante è la matrona sulla sinistra che guarda la scena tenendo il braccio destro appoggiato al fianco con atteggiamento perentorio confermato dalla piega verso il basso dell'angolo bocca che sottolinea un atteggiamento determinato e prevaricatore (ma su questo torneremo alla fine).

Importantissima, in questa scena, è la postura della bambina che legge il papiro che le è stato dato: essa ha LE SPALLE LEGGERMENTE SOLLEVATE E RISTRETTE, CIOE' HA L'ATTEGGIAMENTO DI CHI SI TROVA DAVANTI QUALCOSA CHE LO SPAVENTA E CON CUI NON VORREBBE AVERE A CHE FARE. E' questo atteggiamento contrito che ci da la sicurezza di trovarci di fronte ad una innocente bambina e non certo a Dioniso fanciullo che avrebbe invece letto con grande interesse e godimento gli insegnamenti relativi al proprio culto.

 

Sulla destra poi, è già presente uno personaggio femminile dall'atteggiamento ambiguo che ci guarda ammiccante, certa di essere da noi adulti capita, che muove verso l’episodio successivo.

Sul contenuto del vassoio si è a lungo discusso ma, un ingrandimento del pre-restauro, pare suggerire che si tratti di una pezza di stoffa di color viola bordata in oro accuratamente ripiegata. Ci convince di questo il fatto che nel secondo episodio la protagonista (la donna di spalle oramai adulta) stia controllando con la mano sinistra appunto un drappo viola che un'ancella le porge, appoggiato sulla scatola entro cui probabilmente era contenuto (fig.5). La cosa è ultriormente confermata dal fatto che, sempre nell'episodio successivo, la protagonista stringa nella destra il ramoscello che veniva portato dall'ancella del primo episodio assieme al vassoio. Per quanto riguarda l'abbigliamento di questa ancella incedente, notiamo come ella abbia il capo cinto da una corona di foglie e, particolare determinante, come la parte di veste che le cinge i fianchi sia di colore viola. Queste caratteristiche accennano già a quanto succederà in seguito: le foglie che simboleggiano la dimensione boschiva e il ramoscello simile a quello che compare nella mano della protagonista nell’episodio successivo (ricordiamo che l’esito del rito dionisiaco era collegato al ciclo vitale della vegetazione), nonché la comparsa del colore viola nella veste, paiono volerci pacatamente introdurre in una dimensione dionisiaca che tenderà poi a concretizzarsi negli episodi successivi.

SECONDO EPISODIO

Questa tensione dionisiaca si sviluppa infatti già concretamente nell’episodio successivo,che ha tutto il sapore della cerimonia di iniziazione (fig. 5),

Fig. 5   Tre donne attorno ad un tavolo

Fig. 5 Tre donne attorno ad un tavolo

Fig.5a Particolare della protagonista che solleva il drappo viola

Fig.5a Particolare della protagonista che solleva il drappo viola

infatti vediamo che la protagonista, seduta di spalle, è già coronata di foglie, ha il capo coperto da un fazzoletto listato di viola e il telo stesso che copre la sedia è viola nella parte inferiore. Ella solleva poi con la mano sinistra (come già detto) una stoffa viola appoggiata su una scatola, che probabilmente la conteneva, che le viene porta da un'ancella, quasi a soppesare la possibilità di vestirsi anch'ella di quel colore. Ci conferma il rito di iniziazione alle pratiche dionisiache il fatto che ella stringa nella destra un ramoscello simile a quello che portava la donna nell’episodio precedente

 Fig. 6 Particolare del vaso che versa acqua

Fig. 6 Particolare del vaso che versa acqua

Fig.6a  Particolare di pre-restauro

Fig.6a Particolare di pre-restauro

e che si accinga a lavarlo nell’acqua che il personaggio alla sua destra versa dal recipiente (fig. 6) nella vaschetta che vediamo sotto la mano della protagonista, a simboleggiarne la vitalità e la rinascita (di nuovo si ricorda come l’esito del rito dionisiaco fosse collegato al ciclo vitale della vegetazione). Il restauro moderno ha cancellato parte della mano che stringe il ramoscello e la parte terminale della vaschetta in cui viene versata l'acqua che erano probabilmente integrazioni novecentesche(fig.6a).

Ma da quale inquietante personaggio riceve acqua la vaschetta in cui sta per essere immerso il ramoscello (fig. 7)!

                      Fig. 7  Particolare della donna che versa acqua con il vaso

Fig. 7 Particolare della donna che versa acqua con il vaso

Trattasi di una donna le cui orecchie stanno acquisendo l’appuntita forma di quelle dei satiri ( vedremo poi il completo sviluppo delle orecchie nei personaggi dell’episodio successivo), che ha testa coronata di foglie e la veste di color viola e, dalla parte di questa stretta ai fianchi, spunta un rotolo di pergamena.

Ma in che inquietante posizione si trova questo rotolo!

Sicuramente si tratta della stessa pergamena con insegnamenti dionisiaci che la protagonista leggeva da bambina ma, il suo inserimento in questo punto, con questa forma, con queste dimensioni e con questo colore, evidenzia senza ombra di dubbio l’intenzione del pittore di simboleggiare un fallo eretto, in perfetta attinenza con le orecchie satiresche del personaggio e col suo vestiario anche se questi è di sesso femminile.

Con che animo poi, la protagonista si disponga a divenire una “panisca”, possiamo percepirlo dalla sua espressione (fig. 8):

Fig.7  Particolare del volto della protagonista

Fig.7 Particolare del volto della protagonista

Gli angoli della bocca piegati in basso, la pupilla spostata invece in alto, semicoperta dalla palpebra, denotano la profonda amarezza con cui ella si sta sottoponendo a questa cerimonia. E’ ben chiaro che ella sta subendo una costrizione a cui non può sottrarsi ma che le sue intenzioni sarebbero ben altre.

E’ poi qui necessario far presente che l’iconografia tradizionale sostiene una colossale sciocchezza, e cioè che la protagonista si accingerebbe ad un “bagno rituale”, sottintendendo quindi che la struttura che le sta davanti sia una vasca e che quindi il personaggio di destra stia versando acqua nella vasca medesima

Bene, è invece ben visibile che la parte sinistra della supposta "vasca" non è che una scatola sorretta dall'ancella (sotto è infatti ben visibile in fig.5, il rosso della parete retrostante) e che quanto si trova davanti alla protagonista si limita a un piccolo supporto sulla sua destra, che sorregge la vaschetta e che risulta nascosto dalla sua persona. Ancor più ci inquieta il fatto che non ci si sia accorti che l’acqua che esce dal vaso scenderebbe sul bordo della "supposta vasca" e non dentro (fig. 6), ma quello che veramente non riusciamo a capire è come qualcuno abbia potuto pensare che per riempire una vasca si possa utilizzare un recipiente di quelle dimensioni: non basterebbero centinaia di viaggi per avere una quantità di acqua sufficiente.

Completa l’interpretazione della cerimonia di iniziazione il fatto che la protagonista stia guardando sulla destra la raffigurazione di un habitat tipicamente dionisiaco (fig. 9).

TERZO EPISODIO

Fig. 9   Scena di ambientazione dionisiaca

Fig. 9 Scena di ambientazione dionisiaca

Sottolineiamo come tutta questa parte di pittura a destra della protagonista, che va dal sileno alla menade col velo sopra la testa, può essere interpretata come una sua dimensione mentale più che una situazione concreta. Questa zona interrompe infatti la progressione degli eventi e ha lo scopo di far capire allo spettatore che il fulcro ispiratore di tutta la rappresentazione è appunto la dimensione dionisiaca ed i suoi riti.

L’habitat dionisiaco che interrompe simbolicamente la successione degli eventi non merita molta attenzione in quanto facilmente interpretabile: il sileno e la menade all'estrema destra non hanno bisogno di commenti, come pure la capra (evidente simbolo di accoppiamento), ma si resta incerti sulla natura dei due personaggi centrali: quello che suona il flauto e quello che accarezza il cerbiatto (non ci sembra infatti che lo stia allattando, non c’è infatti nessuna evidenza del seno e se il pittore avesse voluto farci capire questo avrebbe allargato maggiormente verso sinistra il tratto che separa il braccio dal pettorale): inoltre non può trattarsi di un satiro e di una “panisca”, come più volte affermato, in quanto i satiri non si sono mai sognati di indossare delle vesti e l’identificazione con una panisca della seconda figura è di nuovo impossibile in quanto dovrebbe avere orecchie normali e non satiresche ed innaturalmente allungate come quelle che vediamo. L’ipotesi più probabile è quindi quella già accennata: ci troviamo di fronte ad una dimensione mentale della protagonista nella quale degli esseri umanissimi prendono forme negative associabili ai personaggi dei riti dionisiaci in cui sono immersi. Lo stesso personaggio che versa l’acqua nell’episodio precedente è da interpretarsi in tal modo in quanto non esistono né nella realtà né nella mitologia personaggi di tal genere.

QUARTO E QUINTO EPISODIO

Ma continuiamo l’analisi di questo capolavoro spostandoci ancora verso destra, dove di nuovo riprende la narrazione degli eventi che interessano la protagonista (fig. 10)

Fig. 10 Dal sileno che mostra il vaso alla figura alata

Fig. 10 Dal sileno che mostra il vaso alla figura alata

Tutto ricomincia con un vecchio sileno che, dice la lettura iconografica tradizionale, offre da bere ad un satiro, ma anche qui riscontriamo un errore evidente:

Fig. 11  Particolare del sileno che mostra il contenuto del vaso a un adepto

Fig. 11 Particolare del sileno che mostra il contenuto del vaso a un adepto

in primis non si tratta di satiro (i satiri hanno volti caprini e capelli incolti, spessissimo stempiati e non indossano mantelli ma al massimo pelli di leopardo e non sono certo accuratamente pettinati come questo che vediamo e quello a lui retrostante) ma di adepto vissuto nell’interiorità della protagonista come satiro, il quale non si sta minimamente sognando di bere dallo skyphos. Il sileno gli porge il contenitore perché lui vi guardi dentro ed è appunto questo che l’adepto sta facendo! Egli non si accinge a bere, bensì sta guardando con estrema attenzione l’interno del vaso! Ce lo rivela la pupilla sua che fissa il fondo del vaso e non il liquido (fig. 11) che, con quella inclinazione sarebbe invece spostato verso di lui. Ciò che avviene è di un’evidenza disarmante, si sta praticando l’”oinomanzia”, cioè la lettura dei fondi del vino rimasti all’interno dei vasi, finalizzata a predire il futuro! Una pratica largamente in uso tra i romani e dalla quale si sviluppò poi quella della lettura dei fondi di thé e di caffè. E di chi sia il futuro che viene letto ce lo dice la testa del vecchio sileno e lo sguardo suo girati verso sinistra, verso la protagonista dell’episodio di iniziazione (la raffigurazione antecedente interposta, di habitat dionisiaco, abbiamo già detto che non fa parte della successione degli eventi) e la tragicità di quanto l’adepto-satiro veda nel vaso ci è rivelata dall’altro adepto a lui retrostante che innalza sopra il compagno una maschera tragica anch’essa di sileno. E’ da questo momento in poi infatti, che il ritorno non è più possibile e la nostra protagonista si immerge definitivamente nei riti dionisiaci fino, come vedremo in seguito, alle più estreme conseguenze. Domina infatti il proseguire della rappresentazione, in un nuovo episodio sulla destra, un Dioniso ebbro e discinto, mollemente e sensualmente disteso probabilmente tra le braccia di Afrodite (il cedimento dell’intonaco ci impedisce un sicuro riconoscimento di questo personaggio assiso su trono, ma pochi dubbi sussistono sulla sua natura) mentre, proseguendo verso destra

Fig. 12  La protagonista inginocchiata davanti al fallo

Fig. 12 La protagonista inginocchiata davanti al fallo

ricompare la protagonista (fig. 12) inginocchiata adesso davanti alla “cesta mistica” dentro la quale, sotto un telo viola, si nasconde un simbolo fallico di grosse dimensioni la cui forma è ben evidente.

Inquietante è poi l’asta, sicuramente un tirso, visto che vediamo un frammento di nastro giallo pendere dall’asta (part. A) molto simile a quelli che penzolano in quantità dall’altro tirso appoggiato alle gambe di Dioniso,

 

      Fig. 13  Dioniso sdraiato su Afrodite (?)

Fig. 13 Dioniso sdraiato su Afrodite (?)

Fig. 14  Particolare del nastro che penzola dal tirso

Fig. 14 Particolare del nastro che penzola dal tirso

con cui qualcuno (probabilmente lo stesso dio del vino) l’ha obbligata ad inginocchiarsi davanti alla cesta premendola sulla spalla sinistra.

Anche qui siamo costretti a rilevare un colossale errore nella lettura iconografica tradizionale relativa all’atteggiamento della protagonista inginocchiata (fig. 15), lettura che recita “...una giovane donna in atto di proteggere il contenuto di un paniere coperto da un panno...”: ma quale atto protettivo? possibile che non ci si sia accorti del tirso che l'ha obbligata ad inginocchiarsi e che nessuno si sia chiesto come faccia il panno a reggersi, teso com’è verso l’alto? Quale magica forza lo attira? Forse che la nostra protagonista, è un’antenata del mago Silvan ed esperta quindi di levitazione? Forse che il panno è stato inamidato ad arte o forse che è sostenuto da quello, anch’esso forse abbondantemente inamidato che si distacca dai fianchi del personaggio alato?

Fig. 15  Particolare delle mani della protagonista e del panno che copre il fallo

Fig. 15 Particolare delle mani della protagonista e del panno che copre il fallo

Nessuno si è accorto che la mano della protagonista sovrapposta al panno è di fattura scadentissima al contrario di quella che accarezza il fallo che è invece molto ben eseguita? E come mai il panno termina in alto con quella netta linea orizzontale che lo fa levitare nel nulla, in modo assolutamente insensato? Come non capire che questa zona era sicuramente danneggiata all’epoca della scoperta e che un restauratore novecentesco ha operato un restauro completamente privo di senso? Sicuramente il panno era sostenuto in alto dalla mano della protagonista, mano che era naturalmente atteggiata in modo leggermente diverso.

Ma risolto questo problema, andiamo a cercare di decodificare chi sia e quale funzione abbia la figura alata armata di frusta.

La sua natura è sicuramente problematica ma tendiamo ad identificarla, con un certo margine di certezza, con una delle Lare, custodi della virtù di epoca etrusca (rappresentate quasi sempre alate), personaggi il cui culto, popolarissimo, attraversa tutto il periodo romano per arrivare poi addirittura ad assimilare le Lare agli angeli cristiani. L’atteggiamento di questo personaggio corrisponderebbe perfettamente alla natura di queste divinità, preposte appunto anche alla salvaguardia dei canoni di dirittura morale a cui la protagonista sta venendo meno: ella (la Lara) tenta, infatti, minacciandola con la frusta mentre si accinge a scoprire il fallo, di far desistere la protagonista dalle sue intenzioni.

Notiamo poi come la lettura iconografica tradizionale di un altro particolare di questo episodio sia assolutamente priva di senso: l’idea che questo personaggio alato stia frustando la donna dipinta sull’altra parete e non quella davanti a lui è semplicemente assurda, la postura delle gambe della supposta “Lara” non è assolutamente ricollegabile con un’azione diretta alle proprie spalle ma solo con un’azione laterale alla sua destra, la frusta è quindi alzata per colpire la figura inginocchiata davanti al fallo e la motivazione evidente è determinata dal fatto che ella sta compiendo un’azione moralmente disdicevole. Vediamo infatti come la donna alata sia visibilmente disgustata da quanto avviene davanti a lei e come cerchi di non vedere e di allontanarsi simbolicamente da quanto sta accadendo, alzando la mano sinistra (un gesto talmente usuale da potersi addirittura ritenere retorico e non si capisce perchè non sia stato riconosciuto).

Riguardo al fatto che la supposta “Lara” guarda verso destra, essa è così girata per due motivi: per distrarre lo sguardo dalla protagonista e da quanto ella sta facendo e contemporaneamente per invitaci a entrare nell’episodio seguente. Già avevamo visto come in ogni episodio fosse presente un personaggio che invitava con lo sguardo e l’azione  a passare all’episodio successivo: la donna con vassoio nel primo episodio ci invita a seguirla nel secondo e nel secondo la protagonista è girata a destra verso la rappresentazione dionisiaca; qui poi, la menade con velo alzato all'estrema destra dell'episodio, guarda di nuovo verso destra ad introdurci alla quarta scena. La figura alata è quindi anch’essa girata verso destra per assecondare la prassi di passaggio all’ultimo episodio rappresentato nella parete adiacente.

 

 

In ogni caso è chiaro che la figura alata interpretabile come “Lara” rappresenta una sorta di “divinità” positiva (infatti è l’unico personaggio alato) che si oppone alla discoverta del fallo.

Possiamo azzardare un’ipotesi: la figura sembra rappresentare il genio alato (una Lara appunto) preposto all’attività sessuale regolare, cioè legato ad un sano coinvolgimento sentimentale, ovviamente contrario all’orgiastica ed indiscriminata gestione dell’attività sessuale tipica dei riti dionisiaci: una specie di moraleggiante fustigatore non ignoto, anche se in altre forme, a tutte le epoche storiche. Non dimentichiamo che tutto questo corrisponde al fatto che poi dalle Lare sembrano essere derivati i “Lari”, cioè le divinità protettici della famiglia romana e quindi anche dei rapporti sessuali attuati all’interno di legami sentimentali ed istituzionalizzati.

Sottolineando che riteniamo che questa interpretazione sia molto vicina al vero, passiamo a decodificare l'episodio successivo.

SESTO EPISODIO

Fig. 18  Epilogo: la protagonista divenuta adepta dei culti dionisiaci

Fig. 18 Epilogo: la protagonista divenuta adepta dei culti dionisiaci

Chiarito che il personaggio seminudo affranto sulle ginocchia della donna che vediamo sulla parete adiacente (fig. 18), non piange perché viene frustato, diviene chiaro che si tratta sempre della nostra protagonista, oramai iniziata ai riti dionisiaci, ma perché si dispera? Questa sua reazione conferma l’impressione che fin dall’inizio avevamo avuto, suggerita fin dal primo episodio dall'atteggiamento della bambina e dall’espressione di lei cresciuta che avevamo rilevato nell'episodio successivo dell’iniziazione: ella si sta consacrando a Dioniso contro la propria volonta! Quali che siano le motivazioni di questa costrizione non lo sapremo mai, ma è indubbio che quella di diventare panisca non è una sua scelta.

Essendo fin da piccola soggetta ad insegnamenti dionisiaci possiamo immaginare che si tratti di un’orfana priva di beni e quindi costretta a comportarsi in tal modo per sopravvivere, ma in ogni caso la povertà deve essere stata senza dubbio la causa fondamentale del suo dover accettare le scelte che le furono imposte.

Ci conferma comunque il suo ingresso nella comunità dionisiaca il fatto che adesso indossi il panno viola che prima copriva il fallo nella cesta e il fatto che a consolarla sia una donna, in vesti discinte, con corona di foglie che le cinge i capelli.

SETTIMO EPISODIO

Le ultime due figure fanno invece parte di un episodio successivo, l’ultimo, che il pittore ha dovuto collocare molto vicino a quello precedente (la donna in lacrime) per motivi di spazio: la donna seminuda danzante è anche in questo caso sempre la protagonista in quanto ben si vede che ella è appena stata spogliata, dalla donna dietro di lei, del panno viola che indossava nell’episodio precedente (fig. 19).

                     Fig. 19  Particolare  della donna che spoglia la protagonista

Fig. 19 Particolare della donna che spoglia la protagonista

Che questa nuda danzante sia la medesima donna piangente il pittore ci da la prova anche se, purtroppo, il restauro a modificato il colore della banda di stoffa che emerge da sotto gomito destro della donna in lacrime,

                  Fig. 20  Le bande di stoffa di colore identico prima dei restauri.

Fig. 20 Le bande di stoffa di colore identico prima dei restauri.

ma come possiamo vedere nella foto ( Fig. 20, part. B) antecedente il restauro, essa aveva lo stesso colore di quella che scorre dalle gambe alla spalla sinistra della fanciulla nuda! Trattasi quindi della stessa striscia di stoffa che adesso ella indossa quale unico “vestimento”, vestimento che tale più non è e che, infatti, gonfiato e spostato dal vento, lascia completamente scoperte le parti essenziali del corpo.

Nessun dubbio quindi che si tratti sempre della protagonista oramai trasformata in panisca.

Stupisce il particolare della banda di stoffa color ocra tesa al vento: quasi a simboleggiare una vela pronta a far della donna un oramai ingovernato vascello, preda d’ogni mutar di vento che con se trascini il suo corpo.

L’epilogo è adesso chiarissimo: il processo di iniziazione si è concluso e la protagonista, divenuta una seguace di Dioniso, pare adesso identificarsi in una menade che liberamente espone il suo corpo nudo, danzante, a chi sia pronto a concupirla.

L’ATMOSFERA TRAGICA CHE DOMINA IN TUTTO IL DIPINTO

Non possiamo però fare a meno di notare la profonda tristezza che impregna tutto il ciclo pittorico: nel primo episodio ci inquieta la matrona che con evidente atteggiamento impositivo e sguardo trucido (mano girata appoggiata sul fianco e angolo della bocca piegato in basso) fissa l’insegnante (riconoscibile dallo stilo che stringe nella mano destra) e la bambina che, con espressione spaurita e stringendosi nelle spalle, legge sul papiro gli insegnamenti di iniziazione ai riti dionisiaci che le sono imposti. Non poco ci inquieta anche l’”insegnante” dietro di lei che par chiedere alla matrona se veramente vuole che lei trasmetta quelle cose alla bambina, e pure ci in quieta l’ espressione triste della donna incedente con vassoio in mano che pare dirci “Ma vedete a cosa viene costretta?” e non si salva da un’espressione spaurita e stupita pure la donna alla sinistra del tavolo a cui la protagonista solleva un pezzo di veste viola, che guarda con disappunto l’altra donna sempre vestita di viola che versa, anch’essa con volto tristissimo, l’acqua nella bacinella. Del profilo della protagonista nel secondo episodio già abbiamo detto, di come amarezza e tristezza traspaiano dal suo volto, ma molto ci stupisce la mestizia con cui il sileno suona la lira e di come egual tristezza traspaia dai volti dei personaggi dalle lunghe orecchie che vediamo dietro di lui. La menade alla destra della capra poi, volge lo sguardo indietro spaventata e par voler fuggire da quanto accade dalla parte destra del dipinto ed il movimento suo di fuga verso sinistra è reso mirabilmente dal gonfiarsi del mantello sopra la sua testa. Di nuovo ritroviamo poi un vecchio sileno che invece di essere felice per l’arrivo della nuova adepta, guarda verso la cerimonia di iniziazione con una incongruente espressione rabbuiata e contrariata, per nulla felice dell’epilogo letto nei fondi del vino (che per lui dovrebbe essere invece altamente positivo) fondi che fa leggere anche all’adepto dietro di lui che pure pare meravigliarsi di quanto vede. Esalta poi il carattere negativo della scena l’esposizione della maschera tragica di sileno sopra i due personaggi. Ancora, spostandosi sempre verso destra, ci conferma la dimensione tragica degli eventi, il volto tristissimo della protagonista ma soprattutto il tirso premuto sulla spalla che l’ha obbligata a inginocchiarsi davanti al fallo.

Del personaggio alato e della sua espressione disgustata che evolve addirittura in un tentativo di fustigazione, già abbiamo detto.

Culmina poi, la tristezza di tutto il ciclo, nell’immagine della protagonista affranta e piangente per quello che viene costretta a fare e, identica tristezza, coinvolge poi i volti sia della donna che la accoglie sulle sue ginocchia sia di quella che la spoglia nell'ultimo episodio.

Questa apoteosi di tristezza che nessuno sembra avere mai colto, dove anche personaggi come i sileni ed i satiri, soliti all’allegria più sfrenata, ci appaiono invece tragicamente melanconici, conferma la lettura iconografica di quest’opera: essa ci narra di una donna obbligata controvoglia ad essere introdotta ai riti dionisiaci.

CONCLUSIONI

Ci chiediamo però, chi poteva dare questa importanza ad un argomento simile tanto da far dipingere una stanza, addirittura la più importante di una grande casa patrizia, in questo modo e con tanta tristezza? Chi mai volle vivere ogni giorno in mezzo a questi tragici fantasmi che raccontano in questo modo avvolgente e tristissimo una storia di prevaricazione e di costrizione ad una squallida attività sessuale promiscua, attività per cui in tutto l’affresco si avverte una totale repulsione?

Solo la protagonista del ciclo pittorico può aver fatto dipingere tutto questo, nessuno poteva avere motivazioni così forti da far realizzare questo grandioso lavoro ed il coraggio di vivere attorniato da queste immagini se non chi avesse subito personalmente le tragiche prevaricazioni di cui prendiamo atto nel dipinto.

Molto probabilmente la domina era una prostituta arricchita attraverso la professione del meretricio che, una volta cessato l’esercizio, volle riscattarsi facendo in modo che chiunque frequentasse la sua casa, potesse sapere che ella non scelse di sua volontà quel triste lavoro ma che vi fu costretta, da bambina, da squallidi personaggi, contro la sua volontà.

Alberto Cottignoli

BREVE SPECIFICA SULLE MIE QUALIFICHE (vedi poi biografia)

Allego una mail speditami da James Beck, massimo esperto mondiale di pittura rinascimentale italiana, Columbia University, New York, con cui collaborai per 5 anni, in cui egli afferma praticamente che io sarei il più grande Storico dell’Arte esistente.

Allego altresì un’intervista del Corriere a Marco Meneguzzo docente di Storia dell’Arte a Brera che sottolinea la correttezza delle mie analisi, in questo caso relative alla Madonna del Parto di Piero della Francesca 

 

POMPEI: LA VILLA DEI MISTERI (FINALMENTE SVELATI)
POMPEI: LA VILLA DEI MISTERI (FINALMENTE SVELATI)
POMPEI: LA VILLA DEI MISTERI (FINALMENTE SVELATI)

MANZONI IN VATICANO?

Cari colleghi, storici dell’arte, che leggete i capolavori antichi come se fossero tante sciocchezze perché non potete certo mettervi al pari col genio che li produsse, voi, causa l’avvilimento a cui assoggettate la grande pittura, siete i responsabili del tragico accreditarsi nel mondo delle oscene, finte ciofeche dell’arte contemporanea.

Se veramente i capolavori del passato avessero la loro giusta lettura le opere contemporanee apparirebbero in tutta la loro superficialità, faciloneria e stupidaggine, mentre l’incapacità degli addetti al mestiere di capire alcunché delle meraviglie del passato, fa si che avvenga esattamente il contrario.

Verrà il giorno in cui vedremo, in Vaticano, al posto della Pietà di Michelangelo, una scatoletta di merda, si spera almeno ben sigillata?  

Ma di chi è la colpa maggiore dell’affermarsi delle porcherie dell’arte contemporanea, oltre a mercanti, critici d’arte e banche, banche che in assoluto anonimato finanziano questo lucroso disastro? I maggiori colpevoli sono i “Grandi Collezionisti”, disgraziati fabbricanti di detersivi, di sardine in scatola, di preservativi  e quant’altro, spesso quasi analfabeti e privi di qualsiasi sensibilità estetica che, magari quando cascano loro i capelli rimediano in maniera geniale col “riporto”, sono loro i veri colpevoli: questa razza disgraziata non compra le opere d’arte perché “gli piacciono”, ma semplicemente perché “gli mancano”, come una moneta o un francobollo! Basta che gli si faccia credere che il pittore è famoso ed ecco che questi colossali pirla ne vogliono possedere un’opera, magari semplicemente per non essere secondi all’industriale amico più fesso di loro. Spesso manco gli interessa guardare attentamente l’opera, basta che sia dell’autore che gli manca.

Al mercato dell’arte tutto ciò non sembra vero: la più orrenda ciofeca può diventare così “oggetto artistico da collezione” cosa che permette di ridurre infinitamente le spese di acquisto presso gli artisti.

Spruzzami una tela tutta d’azzurro con uno spray” dice il mercante all’artista “ci metti pochissimo e puoi farne 50 al giorno, se te le pago € 10 l’una guadagni € 500 al giorno (15.000 al mese) e sei ricco”.

“Io poi” prosegue il mercante “organizzo mostre, articoli sui giornali, pubblicità fittizie con prezzi finti sempre più alti e la gente si convince che sei famoso, allora arrivano quei pirla di “grandi collezionisti” ed il gioco è fatto: sono centinaia di migliaia solo in Italia e non si riuscirà nemmeno ad accontentarli tutti. E man mano che i “pirla collezionisti” abboccano, i prezzi crescono.”

Basterebbe eliminare tutti i grandi collezionisti e l’arte contemporanea tornerebbe finalmente sul binario giusto, quello determinato da chi i quadri li compra perché “gli piacciono”.  Che solo questa è la motivazione corretta per acquistare un’opera d’arte.

Miei cari colleghi “Storici dell’Arte”, che non fate che ripetere stancamente ciò che dissero Berenson e Longhi (che mai, di nemmeno di un quadro capirono qualcosa) e che mi ignorate perché troppo vi spavento, a voi mi rivolgo rifacendomi allo splendido Sordi del “Marchese del Grillo” sperando che capiate la “sottile ironia”:

IO SONO CIO’ CHE PRIMA DI ME NON E’ STATO MAI E CHE DOPO DI ME NON POTRA’ MAI PIU’ VENIRE  E, VOI ……. NON SIETE UN CAZZO.

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commenti

F
Sono convinto che i riti dionisiaci erano possibili grazie ad una eucarestia “enteogena”, una sostanza (i.e., una droga) che provoca una dissoluzione dell’ego e una comunione con il divino. Vivo in Peru dove è ancora possibile vivere tale esperienza con rituali tradizionali usando sostanze preparate con piante dell’Amazonia che provocano stati di euforia come si vedono in tante rappresentazioni dei Misteri. Quindi, identifico perfettamente negli affreschi le situazioni ed emozioni che si vivono in tali rituali. Vorrei sapere dall’autore, dove posso trovare un riferimento al restauro della tela che ricopre il “fallo”, cioè una conferma che la tela sia stata modificata da un restauratore tipo Lorena Bobbitt e che non stia ricomprendo qualche altro mistero? Infatti, non è possibile che l’oggetto che ricopre la tela purpurea alla sinistra della donna che ci si suggerisce sia la “protagonista” (e non una sacerdotessa) nella seconda scena, sia lo stesso ricoperto (di taglia diversa) nella fig. 12? Come nella Metamorfosi di Kafka, e sotto l’effetto di enteogeni in un contesto rituale (da esperienza personale, la terminologia psichedelico o allucinogeno è un understatement e non descrive l’effetto del kykeon) la realtà si trasforma rompendo i parametri di una realtà obiettiva. Sono quasi 50 anni da quando per la prima volta da bambino ho visto questi affreschi. Mi dispiace che nell’ultima visita abbia notato un notevole deterioro. La spiegazione che sento sempre dagli esperti, ossia che il segreto dei misteri eleusini è un pene (anche se rappresenta la fecondità) non mi convince. Se questo pene non è stato decapitato dal restauratore, allora non credo che il manto effettivamente ricopra questo mistero. Gradirei qualsiasi riferimento che l’autore mi potrebbe concedere per continuare la mia ricerca. Grazie, Ferdinando Pisani
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A
Articolo meraviglioso. Da giovane studioso e appassionato dell'argomento ho apprezzato moltissimo la sua disamina di questo capolavoro. Mi è dispiaciuto leggere "l'educato" commento del direttore dei lavori dal quale mi sarei aspettato un interessante dibattito e non una stroncatura spicciola. Sopra ogni cosa rimane il suo attento lavoro di osservazione di tutti i particolari dell'affresco, osservazione che rende straordinaria la lettura dell'opera, da me (per quanto possa contare) pienamente condivisa.Pertanto, la ringrazio e le inoltro un caro saluto!
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S
sono il direttore dei lavori di villa dei misteri, ho letto quanto scrive e sono certo che sono stronzate di alta levatura, a cominciare "dai restauratori settecenteschi" la villa è stata scavata nel novecento.<br /> la prego, prima di scrivere altro, si documenti su restauratori e su opera
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S
Da un esperto come lei mi sarebbe piaciuto una confutazione un po' più nei dettagli, perché gli spunti erano tanti e il lavoro meritava una stroncatura più attenta al di là del linguaggio usato. Un po' più di pathos, ma nomen omen.<br /> S. Stohr
A
Carissimo, Le riconosco che, essendo io fondamentalmente uno studioso di iconografie non mi sono documentato sulla data della scoperta degli affreschi e (ritenendola poco importante per gli scopi che mi prefiggevo) l'ho erroneamente e superficialmente collocata nel periodo storico degli scavi pompeiani e provvederò immediatamente a correggermi. <br /> Riguardo al resto invece, Le faccio presente che non è corretto, da parte di uno studioso, definire "stronzate di alta levatura" le cose che dico senza spiegare per ognuna di esse la motivazione per cui le ritiene delle "stronzate". Dal suo modo di esprimersi, tra l'altro "...sono certo che sono stronzate etc...." si evince che Lei non ha nemmeno preso in considerazione l'ipotesi di verificare quanto affermo ma che le consideri stronzate "a priori" senza nemmeno averle controllate. Questo procedimento "casereccio" mi sembra assai lontano da qualsiasi approccio culturale e oltre tutto non mi pare che Lei abbia i titoli per contraddire quanto affermo dal punto di vista iconografico. La invito in ogni caso a comportarsi da studioso corretto e, visto che si è preso la briga di giudicare cose che non rientrano nelle Sue competenze, di provvedere lo stesso a specificare, punto per punto, quali sono le stronzate che ho scritto e a spiegare per ognuna il perchè.<br /> Riguardo ai restauri , quale Direttore della Sezione Analisi Estetiche per ArtWatch International (Columbia University-New York), io conobbi bene quando era in vita Lionetto Tintori, serissimo e grandissimo restauratore che da sempre precisava "GLI AFFRESCHI NON POSSONO ESSERE RESTAURATI MA SOLO CONSERVATI, QUALSIASI INTERVENTO DI PULITURA (quindi di moderno restauro) RISULTA DISTRUTTIVO". <br /> Certo che se Lei pensa che la Cappella Sistina non sia stata distrutta e gli Scrovegni non siano anch'essi stati massacrati (anche se in do minore), compiango i pittori di affreschi le cui opere avranno a che fare con Lei.<br /> La consolo poi dicendole che il Suo restauro mi è sembrato uno dei meno dannosi tra quelli eseguiti su affresco ma certamente non <br /> poteva sfuggire anch'esso a una serie di problemi, primo tra tutti quello riguardante la varietà dei toni dei viola presenti nell'affresco, portati quasi tutti su un unico tono. Non me ne voglia perchè affermo che il Suo restauro ha apportato dei danni mentre quelli del '900 molto meno, si tratta solo di precisare che Lei ha "RESTAURATO" mentre nel '900 hanno "CONSERVATO" esattamente come faceva il Tintori.<br /> Le faccio presente che ebbi già modo di distruggere quei delinquenti incalliti di Basile e Serra sulle prime pagine di quotidiani nazionali e di denunciare alla magistratura lo scempio operato sull'Annunciazione di Leonardo. Per gli Scrovegni, io visitai ripetutamente il cantiere di restauro e mi resi conto sul luogo del massacro (che l'amico Vittorio Sgarbi allora viceministro mi promise di far cessare con intervento governativo), riconosciutomi dai restauratori medesimi intenti al lavori (50 poveri ragazzi privi di qualsiasi esperienza, pagati una miseria, a cui avevano dato un tampone in mano) che si vergognavano mortalmente per i danni che stavano facendo. <br /> Capisco che il restauro sia la sua fonte di reddito ma non faccia finta di sapere che gli affreschi subiscono danni enormi dai restauri contemporanei.<br /> Attendo con ansia che Lei mi puntualizzi una per una le mie "stronzate" e giustifichi accuratamente per ognuna la motivazione.<br /> Cordialmente, Alberto Cottignoli