IL VERO SIGNIFICATO DELL’ANNUNCIAZIONE DI LEONARDO
(PARTE PRIMA)
FIG. 1
Di questo argomento, del quale qui presento un sunto a puntate, trattai per esteso nel testo “Dichiarazione d’amore” ediz. Girasole Ravenna 2006, un piccolo volume in cui dimostro come, sotto le mentite spoglie di un’ “Annunciazione”, Leonardo da Vinci abbia nascosto un significato iconografico umanistico ben più vicino ai reali valori dell’uomo, probabilmente al più importante di questi valori, cioè il rapporto fra uomo e donna, in poche parole l’”amore”.
Il dipinto rappresenta infatti la dichiarazione d’amore di un uomo ad una donna.
Non si pensi che io sia il solo ad avere intuito il senso recondito di quest’opera, già il Reymond nel suo “Trattato della pittura” (pp. 120-122) così si esprime:
“ Quale motivo più seducente di quello che mette in scena un uomo giovane e bello che si inginocchia ai piedi di una donna?....
Questa non è più l’umile Maria che si inchina, muta di sorpresa, all’annuncio del miracolo celeste, è una regina ai piedi della quale si prostra un adoratore, una regina adorna di tutti i doni della vita: giovinezza, bellezza, ricchezza....
E’ una principessa, una gran dama fiorentina che, gentilmente, lascia la sua lettura e guarda diritto davanti a sé, senza manifestare alcuna sorpresa alla vista di questo angelo prostrato ai suoi piedi....
....il motivo dell’Annunciazione tende a divenire non solamente un poema di umiltà ma un poema d’amore.”
Come potete vedere fu un pittore ad avere questa intuizione assolutamente aliena allo spirito razionalistico e freddo di uno storico dell’arte e fu appunto solo recuperando questa immagine del Reymond che un mestierante della storia dell’arte (senza dubbio almeno dotato di buona sensibilità) potè tornare a suggerire, per questo capolavoro giovanile un’affascinante lettura “stilnovistica” (vedi A. Natali, “L’Annunciazione di Leonardo, la montagna sul mare”, Silvana editoriale, 2000, pag.86):
“L’Annunciata, gentildonna fiorentina, ascolta in un giardino il messaggio d’amore di un soave giovinetto che, piegato un ginocchio innanzi a lei, parla tra il silenzio dei cipressi e degli abeti, mirandola con occhi pieni di dolcezza. Né si ritrae intimorita, né abbassa ella il puro sguardo di Madonna, e solo per meraviglia leva un poco la mano sinistra.”.
Questo passo critico, che genialmente si rifà all’intuito di un pittore, risponde ad una prassi consueta alla Storia dell’Arte dei secoli passati, che spesso utilizza analisi portate avanti da pittori e riesce così ad entrare, perlomeno in parte, nei meccanismi complessi e spesso segreti, delle composizioni pittoriche, meccanismi che sol un addetto al mestiere è in grado di comprendere.
Purtroppo il secolo appena trascorso non solo ha completamente abbandonato questa prassi, ma addirittura i moderni storici dell’arte rifuggono inorriditi da qualsivoglia tipo di collaborazione con i pittori (che sono i soli, veri addetti al mestiere) e, infischiandosene del fatto di essere completamente incapaci di disegnare, completamente ignari di tecniche pittoriche (soprattutto di quelle rinascimentali, estremamente complesse), di conoscenze prospettiche, di anatomia (soprattutto prospettica), delle leggi di composizione armonica, di dinamica espressiva e fisiognomica, etc., hanno trasformato la Storia dell’Arte in un agglomerato di vaniloqui che sono, nella maggioranza dei casi, privi di un qualsiasi senso.
E’ per questo che mi sono visto costretto a trasformarmi anche in Storico dell’Arte per poter finalmente riunificare in un’unica persona le due caratteristiche (pittore famoso e storico dell’Arte, appunto) che solamente possono permettere di entrare nei complessi artifizi pittorici che spesso nascondono, nei dipinti, significati assai più complessi di quelli percepibili in superficie.
Ma tornando a noi, questa dissertazione ha il compito di dimostrare, mediante uno studio accuratissimo che evidenzia una quantità di particolari finora ignorati, come la felice intuizione del Reymond corrisponda ad assoluta verità:
non ad un’Annunciazione ci troviamo di fronte, bensì, come già detto, alla dichiarazione d’amore di un uomo ad una donna e a tutte le implicazioni che un tale atto sottende. Questo dipinto trascende i limiti religiosi di un’annunciazione per filosoficamente inoltrarsi, in maniera grandiosa e geniale, nei meandri di quell’immenso sentimento che veramente governa (Freud ben se ne avvide) tutte le azioni degli uomini.
Una cosa anticipo della massima importanza: questo mio studio utilizza le immagini dell’Annunciazione anteriori ai restauri del 2000, chiunque tenti di seguire quanto argomento utilizzando le immagini del “dopo restauro” (appunto in quell’anno effettuato) troverà ben poche corrispondenze a ciò che affermo in quanto nel dipinto sono stati asportati, oltre ai colori, una quantità industriale di particolari di grandissima importanza iconografica e ben visibili invece nelle immagini antecedenti al restauro.
LA NATURA DEL GENIO E LA SUA PRASSI CREATIVA
Ma, oltre ai motivi già sottolineati, perché è praticamente impossibile ad una mente normale come quella dello storico dell’Arte, penetrare all’interno dei meccanismi che il genio utilizza per produrre le sue opere? Perché la mente del genio funziona in modo esattamente contrario a quello delle persone normali:
il genio vive la realtà come amalgama armonico, la sua mente assotiglia le differenze tra le cose e tende delicate strutture oltre i baratri illusori che paiono separare i dati che ci giungono dalla realtà materiale e psichica: la sua mente affratella ed assomiglia entità che ai “normali” paiono completamente diverse.
Le menti normali invece operano in senso contrario, frantumano il fluire del reale, frazionano la sua complessa , armonica, organica unità, perché si nutrono esclusivamente di differenze e, dove tali diversità non trovano, addirittura se le fabbricano, credendo così di poter riuscire a capire, mentre si allontanano invece sempre più, inevitabilmente, dalla verità delle cose.
Il processo di “differenziazione” occupa gran parte della vita di un uomo normale, e diventa la base fondamentale, estremamente limitata, di ogni sua forma di analisi speculativa, egli perciò non è in grado di affratellare a questo procedimento anche quello contrario (che in fondo la prassi della vita normale non richiede), cioè quello della sintesi e della similitudine.
Questa dimensione diversa e rarissima del genio ha fatto si che egli cozzasse quasi sempre contro uomini piccoli (tra i quali gli storici dell’arte quasi sempre rientrano), impossibilitati a comprendere i miracoli che poteva produrre l’attività sintetica e, non potendo essi penetrare i segreti di una mente agli antipodi della loro, piuttosto che riconoscere i propri limiti hanno inventato, per le opere che dovevano studiare, delle spiegazioni od iconografie alternative, che nulla avevano a che vedere col senso reale del quadro, iconografie quasi sempre improbabili oppure spudoratamente false od insensate, arrivando spesso a definire, per quel che riguarda l’arte visiva, “errori pittorici” i procedimenti geniali utilizzati dal pittore semplicemente perché non riuscivano a dare loro una giustificazione.
Quella della “Storia dell’Arte” è, da sempre, storia di “uomini piccoli” che disperatamente tentano di capire “uomini grandi” senza mai riuscirci. Uomini piccoli che spesso non resistono alla tentazione di sentirsi grandi anch’essi e a cui non par vero di approfittare dell’ignoranza dei loro lettori e del decesso degli artisti, per esibirsi in argomentazioni che chiaramente e ridicolmente dimostrano come essi (vedi Berenson e Longhi) si sentano più intelligenti del genio di cui stanno scrivendo.
Valga per tutti l’opinione di Kenneth Clark, docente presso la Los Angeles University, massimo esperto di Leonardo della prima metà del novecento, che definisce l’Annunciazione “ABOMINIO DELL’ARTE PITTORICA” semplicemente perché non riesce a capire il senso recondito di molti particolari del dipinto che a lui sembrano errati.
Ma passiamo adesso all’analisi concreta di questo quadro che probabilmente rappresenta l’opera più grande che mai sia stata dipinta in tutte le epoche e in tutte le culture.
LA MONTAGNA DEL PAESAGGIO DI FONDO DELL’ANNUNCIAZIONE
Fig. 2
Il particolare che per primo mi i colpì in questo dipinto, per il suo legame evidente con una logica umanistica e non religiosa, fu la montagna che domina il paesaggio centrale (individuato dal riquadro in rosso in fig.1)
Perché, proprio al di sopra del fuoco del quadro (il punto a cui tutte le linee, quindi tutte le cose convergono o, invertendo il cammino, dal quale tutte le cose prendono origine), Leonardo aveva dipinto questo picco che sovrastava in modo anomalo tutti gli altri sulla sinistra (fig. 2)? Una sapiente velatura, che simulava una nebbia leggera, era poi stata distesa da Leonardo sui monti più piccoli e distanti rendendo l’anomalia di questo picco enorme, in primo piano, ancora più evidente.
Da un punto di vista pittorico il risultato era negativo (quindi un errore) in quanto limitava l’effetto prospettico di “lontananza” che questo spaccato di paesaggio avrebbe generato in contrapposizione con le grandi masse in primo piano (giardino e figure). Ma poteva Leonardo, da genio qual era, non essersene reso conto? L’anomalia di quel picco doveva quindi, forzatamente, essere “significante” da un punto di vista iconografico, altrimenti egli non lo avrebbe mai reso in quel modo (lo stesso Antonio Natali, direttore degli Uffizi, gli attribuisce valore antropomorfo nel suo testo “L’annunciazione di Leonardo. La montagna sul mare”, peccato però che egli faccia la sua analisi dopo il restauro, quando oramai di “antropomorfo” la montagna non aveva più nulla. Egli semplicemente si avvede delle sue incongruenti dimensioni e la interpreta come una simbolica “prefigurazione del Cristo”.
Mi soccorse allora un ingrandimento a grandezza naturale del picco medesimo (pubblicato anche dai Classici d’Arte Rizzoli, fig. 2), ingrandimento che rivelò immediatamente le caratteristiche anomale che lo contraddistinguevano.
Nella mia pubblicazione sopraccitata dedico ben 30 pagine alla dimostrazione del fatto che questa “montagna” ha una chiara conformazione antropomorfa (determinata anche dalla sovrapposizione di una nuvola i cui margini Leonardo fuse sapientemente con quelli della montagna):
essa infatti rappresenta un personaggio incappucciato col volto girato verso sinistra che stringe al petto un libro . E non solo, il monolito che si erge, più piccolo, davanti a questo personaggio, con la sua cima piatta inclinata verso di quello, rappresenta il leggio relativo appunto al libro che tale personaggio stringe al petto.
La foto sotto (fig. 3) è stata realizzata aumentando la scurezza dell’immagine originale (quella in fig. 2), cosa che ha reso molto più evidente la figura ammantata ed è stata utilizzata per la copertina della mia pubblicazione.
Fig. 3 La copertina posteriore di “Dichiarazione d’amore”
Mi limiterò qui a pubblicare solo alcune delle foto che utilizzai per la dimostrazione e citerò, per chi avesse dei dubbi, anche il fatto che il prof. Riccardo Fubini , ordinario di Storia all’Università di Firenze ha sostenuto in questi giorni (21 ottobre 2014) in conferenza presso l’Accademia di Scienze e Lettere La Colombaria di Firenze, assieme a Massimo Giontella (chiaramente rifacendosi alla mia pubblicazione del 2006), l’effettiva volontà di Leonardo di rappresentare con quella montagna una figura femminile velata che stringe al petto un libro, anche se egli discorda con me sull’identità del personaggio rappresentato (vedi Corriere della Sera di Firenze , Culture, 21/10/2014): “Abbiamo le prove che durante il restauro sia andata perduta una parte del dipinto che rappresentava il profilo di una donna velata in corrispondenza della cima della montagna:...”).
Il Fubini, nel suo studio iconografico, tende a sostenere il fatto che Leonardo in questo dipinto si rifarebbe ad un particolare evento storico (tra l’altro di limitata importanza), mentre non solo la sua collocazione sul fuoco del quadro (che è, come già detto, il punto da cui tutte le cose traggono origine) ma decine e decine di altri particolari del quadro confermano senza ombra di dubbio la vera identità del personaggio:
trattasi della “Grande Madre”, a cui più volte Leonardo fa riferimento nei suoi scritti, cioè quell’entità indefinita che il nostro genio ritiene responsabile della comparsa della vita sulla terra, colei da cui tutto ciò che è vitale dirama (cosa riconosciuta dallo stesso Carlo Pedretti, massimo esperto mondiale di Leonardo, in un articolo a me dedicato sul Corriere della Sera: “....così la montagna...è diventata per Cottignoli la Grande Madre, una sorta di “Origine du Monde”....certo in sintonia con la grandiosa visione geologica di Leonardo, quella del Codice Hammer e di tanti memorabili testi sulla natura...”).
Il Pedretti scrive però poi che un tal personaggio non c’entra nulla con la committenza religiosa del quadro, ma è facilmente smentito non solo dal fatto che non esiste alcuna committenza religiosa documentata, ma soprattutto da un’infinità di particolari, mai finora rilevati nel dipinto, che confermano (in barba all’aspetto superficiale) l’assoluta laicità dell’episodio rappresentato.
I ritocchi pittorici attraverso i quali Leonardo fece in modo che fosse percepibile questo personaggio ed il libro che stringe al petto (ben visibili prima del restauro), sono evidenziati ampiamente nella mia pubblicazione, come pure la conformazione a “leggio” della montagna subito antistante la figura della Grande Madre, ma mi limito qui, per motivi di scorrevolezza, a pubblicare solo alcune foto esplicative della metodologia da me utilizzata per rivelare l’antropomorfismo della montagna, che fu ottenuto da Leonardo sovrapponendo la massa di una nuvola alla montagna stessa e facendo poi fondere i suoi bordi con la struttura di quella (rimandando, per una dimostrazione più completa, alle 30 pagine che a questa figura dedico nella mia pubblicazione).
Fig. 4 La parte sommitale della “Grande Madre”
Ma controlliamo con un ingrandimento la cima della montagna in questione: possiamo vedere gli occhi (part. A), il naso (part. M), la zona in ombra del volto che ne testimonia la pseudosfericità (part. L), le pieghe del velo (part. C-G), la scollatura a V (part. E), i bordi della scollatura resi attraverso i bordi superiori della nuvola (part. D-F), la zona scura del collo sottostante il volto (part. B-H) e lo spigolo del bordo del libro (part. Z). Sottolineiamo poi come l’ombra della parte inferiore dei seni sia stata ottenuta utilizzando le zone in ombra della nuvola (part. N).
Vediamo poi, in fig. 10-11, la comparazione di questa cima con una foto (fig. 9) che evidenzia la sua assoluta identità con la postura della montagna e la perfetta corrispondenza del picco in secondo piano con la forma di un libro tenuto stretto al petto (è ben visibile nel dipinto, come già detto, il ritocco in chiaro leggermente inclinato che segna lo spigolo del bordo del libro).
Fig. 9 La foto da cui sono stati ricavati i contorni di fig.11
E’ poi evidente in fig. 2, la conformazione anomala della montagna davanti alla figura appena individuata, che si presenta a cima piatta inclinata verso la Grande Madre (e questa cima piatta è all’altezza esatta in cui dovrebbe trovarsi il piano di un leggio).
IL PAESAGGIO DI FONDO DELL’ANNUNCIAZIONE
Tutto il senso del quadro prende quindi inizio da qui, dal varco luminoso che potevamo ammirare al centro del dipinto (potevamo, perché adesso, dopo il restauro, di luminoso non ha proprio più nulla) ed evidenziato all’interno della cornice rossa in fig. 1, un paesaggio dalle cui nebbie occhieggia una moltitudine di cime rocciose soffuse dal chiarore di un’alba che solo possiamo intuire, un paesaggio incorniciato però da due cipressi, le mortuarie sentinelle onnipresenti ad ogni momento della nostra vita.
Là, in quella “lontananza”, non solo fisica ma temporale, Leonardo collocò l’”Origine”, il “ Mistero”, la “Forza Sconosciuta”, la “Meraviglia”che che diede origine alle infinite forme vitali che percorrono questa nostra terra.
Sperò Leonardo, che fosse, questa fonte, cosciente, ma non potè saperlo mai.
Lo sperò però con tutte le sue forze e se ne costruì, come sempre fecero gli antichi, un’immagine che a noi umani ed all’aspetto nostro si riconducesse.
Diede allora forma ad una montagna, ad una di quelle montagne le cui cavità egli stesso esplorò alla ricerca di una ragione, del “Gran Segreto” che sta alla base della vita, ad una di quelle montagne le cui acque sgorgano primigenie a fecondare la terra, e questa forma concretizzò appunto nel monolito chiaro che domina l’interno di questo rettangolo, dandogli parvenze umane.
Forme androgine di sicuro, ma più femminine che mascoline (che sempre gli parve essere il ventre della donna il custode supremo del segreto) e con volto di sfinge, a rappresentare la risposta mai avuta, e che forse mai ci sarà dato udire.
E sfinge fu, con, stretto al petto, il grande libro su cui Ella, la grande forma primigenia della Vita, la “Grande Madre”, scrisse e scrive tutto ciò che è stato e che ha da venire. Di fronte a Lei dipinse poi, anch’essa enorme, una cima tronca, pseudo rettangolare, un assoluto assurdo geologico in quel contesto: un leggio, cioè la sede, oserei dire il Trono, che competeva al libro custode di ogni segreto (rinnovo, a chi avesse dei dubbi, il ricorso alle 30 pagine che alla determinazione di questa figura dedico nel mio libro).
LA “GRANDE MADRE” ANCHE NEL DIPINTO DI PIERO DI COSIMO
Fig. 5
Fig. 6 Particolare della “Liberazione di Andromeda” (Piero di Cosimo)
Se dei dubbi qualcuno avesse sulla volontà di Leonardo di dipingere la montagna in forma antropomorfa femminina, citerò un esempio analogo che possiamo rintracciare nel capolavoro di Piero di Cosimo (contemporaneo e amico di Leonardo): la “Liberazione di Andromeda”. Questa identificazione (mai operata prima) è della massima importanza in quanto il disegno di base del quadro in questione è sempre stato storicamente attribuito allo stesso Leonardo e quindi risulta una conferma delle sue intenzioni anche per ciò che riguarda l’Annunciazione.
Fig. 7
La prima cosa che notiamo all’estrema destra del quadro del Di Cosimo è la presenza di una strana conformazione sulla vetta che, ad una più attenta analisi (sull’originale custodito anch’esso agli Uffizi), si rivela essere una nuvola che si sovrappone alla cima (part. A), esattamente come nell’Annunciazione (anche se Leonardo la sovrappone, nella sua figura, all’altezza del petto), ed anche qui la massa della nuvola si unisce a quella della montagna a formare, in questo caso, il volto di una donna inclinato in avanti (nell’originale sono ancora visibili addirittura le tracce di grafite del disegno di base che individuano il profilo del volto, soprattutto il naso e il colore di incarnato con cui il viso è stato velato) e la chioma che scende dietro il collo verso destra (part. B).
Naturalmente non del solo volto si tratta ma, esattamente come per l’Annunciazione, possiamo individuare, più in basso, tutto il corpo di questa figura, anche se, in questo caso, la donna non è in piedi ma accovacciata.
E’ evidente il ventre rigonfio (part. C), le ginocchia allargate e le mani (rappresentate da due ciuffi d’erba) poggiate sulle ginocchia medesime (part. D). A confermare senza ombra di dubbio l’intenzione di produrre una figura femminile accovacciata, interviene un ben indicativo particolare: tra le sue cosce, proprio dove dovrebbe trovarsi l’attributo sessuale femminile, compare una fessura della roccia da cui sgorga un torrente (part. E) che discende verso valle e di cui è chiaramente visibile il solco (nell’originale è ben visibile l’acqua che scorre all’interno delle cosce).
Questa figura, a differenza di quella dell’Annunciazione, è facilmente individuabile (lo si deve probabilmente al fatto che il quadro è di soggetto pagano e non religioso, quindi non necessitante di essere nascosto) ma la sua esistenza, la sua collocazione, l’artificio fondamentale utilizzato per produrla (la sovrapposizione della nuvola) e il suo evidente significato iconografico (è chiaramente la “Grande Madre” in quanto da lei sgorga l’acqua fonte di vita da cui sembra trarre origine, sulla sinistra, tutto quanto vediamo muoversi nel quadro), ci fanno acquisire assoluta certezza che il disegno dell’Andromaca sia frutto della stessa mano di quello dell’Annunciazione. Se non bastasse evidenzierò (fig. 12) i particolari identici dei paesaggi in cui queste montagne sono collocate che legano queste due conformazioni in modo indissolubile:
Fig. 12
1) Entrambe le montagne si trovano all’estrema destra del paesaggio(nell’Annunciazione la montagna è al centro, si, ma anche lì all’estrema destra del paesaggio)
2) Entrambe si ergono solitarie nelle loro dimensioni dominanti (nell’Annunciazione ci sono altre montagne ma molto più piccole e velate di nebbia fin quasi ad annullarne la percezione)
3) Davanti ad entrambe c’è una collina più scura di dimensioni inferiori, part.b
4) Sotto entrambe le montagne è presente un centro abitato
5) A sinistra di entrambe, in basso, è presente il mare (o lago che sia)
6) Sul mare è presente in entrambe un pontile, part. c
7) Su entrambi i mari sono presenti, al largo, delle barche (part. d).
Se a tutto ciò aggiungiamo l’utilizzo della sovrapposizione anomala della nuvola, artificio utilizzato in entrambi i dipinti, non possiamo avere alcun dubbio sul fatto che l’idea sia della medesima persona (come storicamente affermato) e se è evidente la natura procreativa della figura femminile di Piero, ne consegue che la medesima natura dobbiamo attribuire alla figura di Leonardo: sono entrambe raffigurazioni, anche se differenziate, della “Grande Madre”.
Ma non finisce qui, a conferma dell’attitudine di Leonardo a lavorare in tal modo, vediamo come in un altro quadro egli abbia dipinto una montagna in forma di personaggio, trattasi del “Bacco”, custodito al Louvre.
Fig. 13 Il “Bacco” del Louvre
Fig. 14
BREVE SPECIFICA SULLE MIE QUALIFICHE (vedi poi biografia)
Allego una mail speditami da James Beck, massimo esperto mondiale di pittura rinascimentale italiana, Columbia University, New York, con cui collaborai per 5 anni, in cui egli afferma praticamente che io sarei il più grande Storico dell’Arte esistente.
Allego altresì un’intervista del Corriere a Marco Meneguzzo docente di Storia dell’Arte a Brera che sottolinea la correttezza delle mie analisi, in questo caso relative alla Madonna del Parto di Piero della Francesca
MANZONI IN VATICANO?
Cari colleghi, storici dell’arte, che leggete i capolavori antichi come se fossero tante sciocchezze perché non potete certo mettervi al pari col genio che li produsse, voi, causa l’avvilimento a cui assoggettate la grande pittura, siete i responsabili del tragico accreditarsi nel mondo delle oscene, finte ciofeche dell’arte contemporanea.
Se veramente i capolavori del passato avessero la loro giusta lettura le opere contemporanee apparirebbero in tutta la loro superficialità, faciloneria e stupidaggine, mentre l’incapacità degli addetti al mestiere di capire alcunché delle meraviglie del passato, fa si che avvenga esattamente il contrario.
Verrà il giorno in cui vedremo, in Vaticano, al posto della Pietà di Michelangelo, una scatoletta di merda, si spera almeno ben sigillata?
Ma di chi è la colpa maggiore dell’affermarsi delle porcherie dell’arte contemporanea, oltre a mercanti, critici d’arte e banche, banche che in assoluto anonimato finanziano questo lucroso disastro? I maggiori colpevoli sono i “Grandi Collezionisti”, disgraziati fabbricanti di detersivi, di sardine in scatola, di preservativi e quant’altro, spesso quasi analfabeti e privi di qualsiasi sensibilità estetica che, magari quando cascano loro i capelli rimediano in maniera geniale col “riporto”, sono loro i veri colpevoli: questa razza disgraziata non compra le opere d’arte perché “gli piacciono”, ma semplicemente perché “gli mancano”, come una moneta o un francobollo! Basta che gli si faccia credere che il pittore è famoso ed ecco che questi colossali pirla ne vogliono possedere un’opera, magari semplicemente per non essere secondi all’industriale amico più fesso di loro. Spesso manco gli interessa guardare attentamente l’opera, basta che sia dell’autore che gli manca.
Al mercato dell’arte tutto ciò non sembra vero: la più orrenda ciofeca può diventare così “oggetto artistico da collezione” cosa che permette di ridurre infinitamente le spese di acquisto presso gli artisti.
“Spruzzami una tela tutta d’azzurro con uno spray” dice il mercante all’artista “ci metti pochissimo e puoi farne 50 al giorno, se te le pago € 10 l’una guadagni € 500 al giorno (15.000 al mese) e sei ricco”.
“Io poi” prosegue il mercante “organizzo mostre, articoli sui giornali, pubblicità fittizie con prezzi finti sempre più alti e la gente si convince che sei famoso, allora arrivano quei pirla di “grandi collezionisti” ed il gioco è fatto: sono centinaia di migliaia solo in Italia e non si riuscirà nemmeno ad accontentarli tutti. E man mano che i “pirla collezionisti” abboccano, i prezzi crescono.”
Basterebbe eliminare tutti i grandi collezionisti e l’arte contemporanea tornerebbe finalmente sul binario giusto, quello determinato da chi i quadri li compra perché “gli piacciono”. Che solo questa è la motivazione corretta per acquistare un’opera d’arte.
Miei cari colleghi “Storici dell’Arte”, che non fate che ripetere stancamente ciò che dissero Berenson e Longhi (che mai, di nemmeno di un quadro capirono qualcosa) e che mi ignorate perché troppo vi spavento, a voi mi rivolgo rifacendomi allo splendido Sordi del “Marchese del Grillo” sperando che capiate la “sottile ironia”:
IO SONO CIO’ CHE PRIMA DI ME NON E’ STATO MAI E CHE DOPO DI ME NON POTRA’ MAI PIU’ VENIRE E, VOI ……. NON SIETE UN CAZZO.