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25 gennaio 2015 7 25 /01 /gennaio /2015 16:07

Enorme meraviglia ha destato in me il colossale salone dedicato al centenario di Burri gestito dalla fondazione omonima, meraviglia e stupore perchè non posso, assolutamente non posso credere che delle persone, degne di definirsi tali, potessero guardare le cose esposte in quello stand senza comprendere che nulla avevano a che fare con l'arte (in verità di persone intente a guardare non ce n'erano, tutti si limitavano a mettere dentro la testa, a dare uno sguardo generico in giro per poi abbandonare subito ogni velleità di indagine più approfondita e passare ad altri stands). 

Ma come si è potuto arrivare fino a questo? Quale osceno procedimento ha fatto si che si determinasse la grandezza di un artista privo di qualsiasi capacità e la cui dimensione mentale è attestata dal volto suo, la cui nullità delle attitudini il Lombroso avrebbe velocemente determinato? e come si è potuta decretare la "grandezza" degli altri incapaci come lui che affollano il Gota dell'arte nazionale?

Ve lo spiego, cari collezionisti:

vi ricordate gli anni 70 quando, nei negozi del centro, provavate pantaloni nuovi a zampa d'elefante? "Che meraviglia!" dicevate " di più, di più, più larghi qui in fondo! Ecco, questi, meravigliosi, guarda come coprono tutta la scarpa!!"

Non vi sembrò per nulla strano poi, 20 anni dopo, recarvi nel medesimo negozio ed esclamare, provando ancora nuovi pantaloni: "Così, così, più stretti qui in fondo! Ancora di più! Ecco, questi, che strizzano come cavigliere ortopediche! Che meraviglia!! guarda com'è bella la scarpa tutta scoperta!!"

Non vi passò nemmeno per la testa di sentirvi cretini e non vi sognaste nemmeno di chiedervi perchè vi sembrò bella, nel 70, una cosa e perchè poi, dopo, vi sembrò altrettanto bello il suo esatto contrario.

Cosa era successo? Quello che da sempre succede, che il bello ed il brutto sono categorie che solo pochissime persone sono in grado di individuare personalmente, la massa degli individui è priva di tale facoltà e si limita a giudicare bello ciò che gli viene proprosto dall'alto, cioè da individui od organismi che godano di grande credibilità per la fama che hanno acquisito.

Nella moda ci si rifà a grandi nomi come Armani, Versace, La Perla, e via così con altre entità che possono, in certi casi, arrivare a farvi indossare ciofeche immonde solo perchè ampiamente publicizzate e che paiono poi moltiplicare il loro valore semplicemente perchè indossate da una moltitudine di persone: valga per tutti l'esempio dei jeans contemporanei col cavallo alle ginocchia che non solo i giovani più scemi indossano, ma anche gli adulti rincretiniti che giovani vogliono sembrare.

Bene, questo assurdo procedimento è stato, negli ultimi 70 anni, applicato anche all'arte. Approfittando dell'incapacità della stragrande maggioranza delle persone di determinare autonomamente il "bello" e l' "artistico", una categoria di individui in grado di gestire grandi capitali si è introdotta nel mondo dell'arte (fino ad arrivare ad impossessarsene completamente) con lo scopo di ricavarne immensi guadagni, categoria rappresentata dai "grandi mercanti" che stanno adesso dietro alle gallerie più importanti (non solo di questo nostro Paese) e che decidono cosa deve essere immesso nel mercato e quindi ciò che deve essere considerato "artistico".

Proprio perchè erano semplicemente dei mercanti, fin dall'inizio essi furono ben coscienti del fatto che il mercato artigianale, per sua naturale costituzione, era caratterizzato da bassi cicli di produzione e poteva indurre grossi profitti solo per l'artigiano stesso. Essi ben sapevano che era la produzione industriale che moltiplicava all'infinito i profitti e che li trasferiva, dalle tasche dei produttori-operai a a quelle di chi tale produzione gestiva, cioè le loro.

Il mercato dell'arte seria poi, non era nemmeno artigianale, si muoveva su basi ancora più problematiche in quanto gli artisti, al fine di ottenere opere sempre più importanti, dilatavano i tempi di produzione infinitamente al di là di quelli artigianali, arrivando a lavorare mesi e mesi su una sola opera. Tutto ciò stava esattamente agli antipodi della produzione industriale e dei grandi profitti.

Come si poteva trasformare il mercato dell'arte in mercato industriale? La cosa sembrava impossibile all'inizio, ma la stupidità degli uomini rende possibile ogni cosa, anche la più incredibile. Partendo dal presupposto che la caratteristica basilare del mercato industriale è quella di fare in modo che il prodotto costi il meno possibile all'origine, come si potevano abbassare tali costi all'origine quando gli artisti chiedevano, giustamente, per opere che erano costate loro anche mesi di lavoro, delle cifre astronomiche? semplicissimo, si doveva fare in modo che gli artisti producessero opere di costo iniziale bassissimo perchè loro, i mercanti, potessero pagarle il meno possibile (il sogno era quello irrealizzabile di ogni industriale, cioè quello di arrivare ad azzerare i costi delle uscite) : avrebbero poi provveduto loro, i mercanti, a moltiplicarne il "valore" delle opere una volta che le avessero inserite sul mercato.

Ma come avrebbero potuto, i mercanti, pagare pochissimo le opere agli artisti? semplicissimo, veniva in loro soccorso il primo dei principi industriali: ridurre al massimo i tempi di produzione!

Il primo passo necessario per ridurre tali tempi di produzione fu quello di appropriarsi delle sedi adibite all'esibizione ed alla propaganda delle opere d'arte: gallerie, riviste d'arte, grandi sedi espositive, prima fra tutte la Biennale di Venezia. Una cura particolare venne poi dedicata alle aste.

Scattò anche un'operazione ancora più subdola, la creazione "ad hoc"  di una schiera di "Critici d'arte" che avvallassero le nuove  produzioni artistiche conferendo loro l'aura di artisticità che invece non si sognavano nemmeno di possedere.

Una volta impossessatisi dei media tutto divenne facilissimo, si trattò solo di scegliere degli imbrattatele che con grandi pennellesse riempissero a casaccio grandi tele o che addirittura le ricoprissero con bombolette spray di un unico demenziale colore, ed il gioco era fatto: in questo modo il pittore poteva produrre decine di quadri al giorno che gli si potevano così pagare quattro soldi e non le cifre astronomiche che prima chiedevano per i quadri seri che erano costati loro, nei casi più semplici, almeno degli interi giorni di lavoro. 

Il pittore di ciofeche era poi contentissimo, bastava dargli € 50 a quadro ed era ricco, visto che poteva produrne anche una ventina al giorno (€ 1.000 di guadagno giornaliero!! cosa potevano chiedere di più dei totali incapaci dal cervello di gallina per delle ciofeche su cui, se non publicizzate a tappeto, tutti avrebbero sputato sopra?) ed i mercanti potevano gestire guadagli immensi rivendendoli cadauno a decine e decine di migliaia di euro.

Bastò cominciare ad inserire nel circuito delinquenziale precostituito le ciofeche sopraccitate e tutto si realizzò secondo le loro spettative ed i collezionisti reagirono esattamene come con la moda: come erano passati dai calzoni a zampa d'elefante al loro contrario esatto, cioè a quelli strettissimi, cominciarono anche a passare dai capolavori dell'arte al loro contrario, cioè alle ciofeche, convinti da tutto un sistema espositivo e di critica che le porcate che venivano loro proposte fossero vere opere d'arte.

Come poteva quell'opera essere una ciofeca? era comparsa in pompa magna alla Biennale di Venezia e sulle copertine delle massime riviste specializzate! e poi Pinco Cojones (grande critico spagnolo) e Pallino Truffino (grande critico nostrano), ne avevano parlato per ore a RAI 1 esaltatando l'immensità creativa dell'autore!

Ma il tocco finale veniva e viene dato dalle aste, in quanto ai grandi mercanti basta consegnare, alle succitate vendite pubbliche, le ciofeche prodotte dai loro "pittori" assieme ad un cospicuo assegno immediatamente incassabile, dopo di che quello che avviene in asta non interessa più ai gestori della vendita pubblica medesima:

basta che un emissario dei grandi mercanti provveda allora a collocarsi in sala con la sua palettina numerata in mano ed un altro si piazzi ad un qualsiasi telefono esterno. E' necessario che prosegua a spiegarvi cosa succede appena l'asta comincia?  Ci siete già arrivati da soli probabilmente: i due amichetti cominciano a rilanciarsi addosso fino a che il (loro) dipinto non ha superato il valore massimo di stima.

Si può in questo modo fingere la realizzazione di cifre colossali, tanto nessuna percentuale sarà pagata all'asta nè dall'acquirente nè dal venditore, perchè il gestore della vendita pubblica ha già incassato il suo assegno e quindi fatto il suo bel guadagno garantito fin dall'inizio.

Attraverso queste finte vendite si convincono poi gli acquirenti a comprare altri pezzi simili a quelli venduti in asta in un modo molto semplice, così infatti si esibisce il gallerista: "Ma guardi questo pezzo! ne è stato venduto uno all'asta praticamente identico a 5 milioni di euro e io glielo cedo a € 400.000! Lei non può non afferrare al volo questa occasione incredibile!". Come rinunciare allora, a cotanto "affare"? 

Le finte vendite alle aste servono poi a convincere gli acquirenti-pirla che il prodotto da loro comprato aumenta di valore ogni anno:"Ma che investimento magnifico" dicono ogni volta, "anche quest'anno ho guadagnato una cifra!". Qualche dubbio gli viene quando chiedono di vendere all'asta il loro pezzo (acquistato per € 400.000 da un gallerista) e il gestore (appena ha capito che si tratta di un privato) gli risponde "Benissimo, lo mettiamo con prezzo di riserva a € 30.000". "Come," reagisce il pirla "ma se l'ho pagato € 400.000 ed uno simile l'avete venduto proprio voi a 5 milioni di euro!" "Ma caro signore, se ha quel valore non c'è problema, vedrà che in asta lo realizzerà, noi dobbiamo partire da prezzi bassi per essere certi della vendita!"  Voi credete che il super pirla-privato accetti di metterlo in vendita? ovviamente non ci pensa neanche e si tiene il suo quadro sperando di non essere stato truffato. "Ma si, si dice, se lo avessi messo all'asta sicuramente avrebbe fatto almeno 6 milioni di euro!" e dorme così pirleschi sonni tranquilli.

Quando all'asta vedete ciofeche contemporanee realizzare cifre assurde, state tranquilli, è denaro che nessuno paga ed i quadri "venduti" non sono di privati ma di uno dei grandi truffatori che gestisce il mercato. 

 

Questo è quanto, ma una cosa vogliamo precisare alla fine: il fatto che la novella critica d'arte delinquenziale ha giustificato l'imporsi sul mercato delle ciofeche contemporanee come GENIALE APERTURA CULTURALE A 360 GRADI DELLA CONCEZIONE ARTISTICA ed ai collezionisti non è parso vero di sentirsi appunto, anch'essi, aperti a 360 gradi sul mondo dell'arte.

Voi non sapete, cari collezionisti, come se la ridono Grandi Mercanti e galleristi a vedervi a Bologna come in tutte le altre manifestazioni, APERTI si, MA A 90 GRADI.

Alberto Cottignoli

 

(Questo articolo è in fieri ma ha già una sua struttura estremanente importante e ritengo necessario che venga pubblicato in fretta anche se incompleto.Nei prossimi giorni provvederò a completarlo )

  

 

 

 

 


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commenti

G
Ci provano ancora nelle televendite di tv locali, ma loro ti fanno un favore, ti fanno fare un grande investimento!<br /> Evidentemente sono anni che i polli guardano e chiamano, e continueranno a farlo.<br /> <br /> Una cosa che non ho mai capito: l'idea di "opera d'arte" come investimento. Se è arte deve piacere, non si sta comprando un pacchetto di azioni finanziarie. Il valore dell'opera non si conta con banconote fruscianti, dove sta il piacere nel guardarla o, perchè no, nell'emozionarsi? <br /> Mettersi una tela imbrattata sul caminetto solo perchè "vale 1 milione più di quello che mi è costata", che senso ha? Ma poi chi te lo da il milione per ricomprarla... mha...
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